lunedì 20 luglio 2009

Scenari Peninsulari / 2

Qui si tratterebbe soltanto di quotare quanto scritto dal socio nel post precedente, quello lungo e senza foto, ma che si lascia leggere senza chiedere di essere pazienti. Perché il vero dilemma – se così si vuole chiamarlo – di quello che è accaduto a Bologna sta proprio nel “faso tuto mi” che avrebbe dato fastidio alla Federazione italiana rugby, convinta come non mai che lo sbarco in Celtic League assicuri al rugby italiano prosperità, visibilità e potenzialità.

In effetti, non è mica certa questa conclusione. Dipende sempre dal modo con il quale si decide di approdare ad una realtà comunque ben diversa dalla nostra. La Celtic League è patria, negli ultimi periodi, di formazioni che accedono alle fasi finali di Heineken Cup (basta dare un’occhiata all’ultima finale, per l’appunto) e di giocatori che fanno parte delle nazionali che si contendono il 6 Nazioni (basta dare un’occhiata all’albo d’oro delle ultime due edizioni). La Celtic League è interessante, ma ambigua dal momento che alcune formazioni, come Cardiff nell’ultimo anno, arrivano nelle posizioni finale in campionato, puntando esclusivamente alla scena europea. Per affrontare un campionato così, occorre stile.

Stile lo poteva avere il Treviso targato Munari, diciamocelo sinceramente. Uno che sa e che conosce tutti, non è solo il Vittorio Munari che ci fa piacere ascoltare dai canali di Sky. Lui non le ha mai mandate a dire, tant’è che in occasione di alcune conversazioni di lavoro, lo aveva detto chiaro e tondo che quelli della Federazione, giusto per fare un esempio, mandano in giro per il mondo gente che non sa nemmeno parlare un inglese decente.

Se Treviso voleva correre da sola, aveva il dovere di farlo. È come nel calcio, parliamoci chiaro. Quando si profilava all’orizzonte un campionato che raggruppasse i team pallonari più grandi in Europa, si levarono gli scudi. In questo modo, era la predica della difesa, si tagliano fuori vecchie tradizioni di squadre minori che comunque meritano di militare in Serie A, se ci riescono. Però ecco che esiste la Champions League. E che formazioni storiche stanno fallendo sotto il peso del voler essere per forza di caso al passo con le altre, tra fideiussioni false e altre sceneggiate, in parte riparate da lodi prontamente approvati dalla Figc.

Nel rugby, sul campo come fuori, vige il merito. Treviso di merito ne aveva. Ieri sera è passato su Sky Sport 24 un interessante viaggio nella Marca che ha assistito al fallimento della formazione di calcio. Il pallone rotondo si è sgonfiato, nel centro sportivo gestito dai Benetton tutto invece fila liscio tra basket, pallavolo e rugby. Il Treviso aveva il dovere di correre per conto proprio, è esattamente quel prototipo di formazione italiana che ha strutture e concezione per affrontare un campionato sghembo come la Celtic.

Per affrontare questa avventura al di fuori dei nostri confini, bisogna saper ragionare come hanno fatto fuori confine. In Galles l’approdo alla Celtic è stato quasi obbligatorio. La costruzione del Millennium Stadium aveva provocato voragini nei conti della federazione e da lì è nata l’idea di mettere insieme delle franchigie provinciali: Cardiff, Swansea, Newport, Llanelli e Cardiff, tra le quali cui le ultime due sono e rimangono club. Mentre ha proseguito la sua strada il campionato nazionale gallese.

Proviamo a fare gli economisti e a ipotizzare un lungo periodo: Aironi e Pretoriani, qualora passassero l’esame dei conti a fine settembre, quanto intendono assicurare copertura economica? Dovessero andare male le cose, i board britannici non consentiranno mai di ricorrere ai pasticci all’italiana, come il lodo Petrucci o storie simili. Onestamente, rassicura molto di più una società come Treviso che decide di correre da sola perché se lo fa (e conoscendo tramite Munari il modus operandi dei britannici) ha chiaro in testa che economicamente ce la può fare.

It’s all about money, baby. Anche nei tempi di un rugby professionistico. Ciò non vuol dire che il fascino di questo sport sia andata a marengho. Altrimenti noi non manderemmo avanti questo blog. A Bologna l’hanno fatta grossa. Punto e basta.

6 commenti:

Abr ha detto...

Perfect, Socio: il controcanto visto dal Nord, fuori dal piccolo orticello locale dei lunghi coltelli.
Notato che non c'è una riga di tutto questo sulla stampa celtica?

Anonimo ha detto...

Ringo,
quella di mandare in giro per il mondo a rappresentarci gente che non spiccica una parola di una qualsiasi lingua straniera, è un malcostume tipico italiano in tutti i settori.
Ero molto giovane quando vivevo all'estero ma "ho visto cose che voi umani..." =:-0

Abr, lettura benevola della tua ultima constatazione:
i celts - per loro cultura rispettosi di qualsiasi istituzione - non vogliono immischiarsi in faccende di politica interna che, per ora, non li riguardano.
Lettura malevola (a pensar male si fa sempre bene, diceva il gobbetto!): i celts (di qualsiasi emisfero) - per loro cultura snob e sprezzanti nei confronti di tutto ciò che non è "loro cultura" - considerano il nostro rugby meno di un soldo di cacio e quindi non degno di menzione!

Cmq tutta questa storia mi ha fatto passare l'entusiasmo adolescenziale per l'acquisto del bigletto di ITA-NZ. :-(

Abr ha detto...

Perfect forthose! :)

Per quanto mi riguarda, sto pensando al giretto a Firenze a vedermi i Boks: fuori dalla massa, piu' rugby e meno evento mediatico ... ci sto pensando.

GiorgioXT ha detto...

Alla base dell'esclusione della Benetton , c'è una lotta di potere, meglio il tentativo di consolidare e di non perdere "not an inch" del potere della dirigenza e staff attuale.

Cosa sarebbe successo con una Benetton promossa in Celtic League per meriti? non solo sarebbe stato impossibile per lo staff avere una squadra "da fare e disfare a piacimento" in ottica esclusivamente pro-nazionale , ma oltretutto in caso di successo di TV in celtic League, o meglio di risultati consistentemente migliori di TV rispetto all'altra , in FIR avrebbero avuto due conseguenze negative pesanti : la porta di accesso alla nazionale -prevista da Ascione nelle accademie e franchigie- diventava quella della Benetton, ed inoltre un successo della franchigia "indipendente" automaticamente addebitava l'eventuale insuccesso del'altra alla gestione dello staff (evidentemente non si può più usare la scusa del campionato di basso livello...)

Da qui tutto il meccanismo della votazione, studiato attentamente,(la presenza dei Duchi è la chiave di tutto, non il voto segreto...) e che non può essere decisione di altri se non del presidente

Anonimo ha detto...

dai, abr, non fare il brit-posh e vieni a milàn che ti offro una birra. Anche al socio, obviously!
;-)
Però un pensierino (anche) a Firenze ce lo faccio.

Abr ha detto...

Concordo Giorgio. Pero' manca la spiega della susseguente ira di Kahn-Dondi. Lui oramai par di capire non fa finta, s'e' reso conto che qualcuno dei suoi lo vuole fregare. Ovvio che Benetton e Veneto non gli interessano, e' una mera lotta di potere oramai.
La mandrakata e' stato consentire il voto ai duchi, indubbio. Ed e' l'elemento (vedi update successivi) che cosituira' guarda caso la base dell'azione legale che Benetton fara', a questo punto anticipata dalla Fir stessa che contestera' ed eventualmente annullera' il suo stesso consiglio?! Ma quali Borgia, qua siamo a Macbeth ...

forthose, se tu ci pensi a Firenze, io ci ripenso su Milan ...

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