Italia, qualcosa è cambiato
[Premessa: per il sottoscritto è stata la prima partita dell'Italia vista in casa, le altre volte si trattava di andare Oltremanica]
C'è aria nuova, dalle nostre parti. D'accordo gli ottantamila a San Siro contro la Nuova Zelanda, con il corredo di chi ci è andato perché c'erano in campo gli All Blacks, garantendo uno spettacolo insolito, non solo dalle nostre parti. Tanto che sabato sera, bevendo un birra e parlando con un sudafricano, questo mi ha fatto i complimenti quando gli ho fatto presente che "una settimana, in Milano, c'erano 80.000 presenti". "Neanche in Inghilterra", mi ha risposto. Già. E nemmeno in Sud Africa. Un evento senza precedenti, diciamolo chiaramente.
Sabato, a Udine, eravamo in 30.500, in una città "a ridosso della Slovenia", nel profondo Nord che rischiava di essere escluso completamente dalla lotteria per la Celtic League, tentativo della Federazione di darsi un tono all'estero. Al punto di arrabbiarsi se poi salta fuori che da Rovigo in su sono meglio organizzati che a Roma. Nelle ultime ore il colpo di scena: il presidente Dondi ha detto che il Flaminio non è per scontato lo stadio della Nazionale per i prossimi appuntamenti tra i quali il Six Nations. Qualcosa è cambiato davvero.
Non è un affare di regionalismo, tutto ciò. Ma solo una considerazione a metà tra numeri e storia, tradizione. Il sabato di Udine, ecco, ha detto anche questo. I nostri hanno messo a segno la 13esima sconfitta consecutiva, ma la gente sta dalla loro. Nonostante i limiti, ma grazie anche ai punti saldi come la mischia. Tra qualche giorno, ad Ascoli, il test definitivo: occorre vincere con più di 15 punti di scarto su Samoa per fregarle il poste nel ranking mondiale. Sarà un match fisico, come lo è stato contro gli Springboks, messi alle corde nella seconda parte del primo tempo quando l'Italia si è decisa a giocare a rugby e non a pretendere di insegnare lo spostamento al piede ai sudafricani. Con i piedi abbiamo un po' di problemi, tanto che non disponiamo di uno che sappia piazzare le punizioni, cosa che ci tornerebbe molto utile in vista della partita contro i pacifici, dediti a commettere parecchie infrazioni.
A Udine, nella fila davanti alla quale sedevamo io, il Socio e l'amico Simone c'era un filotto di sudafricani, compresa una bella famigliola. E di tifosi ospiti ce n'erano in giro la sera per la città. Molti sono arrivati con la macchina noleggiata appena scesi dall'aereo, molti da Londra o dintorni, dove lavorano in pianta stabile. Insomma: il mondo del rugby gira ben diversamente da quello del calcio. Sarà per questo che fa tanta paura ai soliti giornalai che si autoelevano al grado di saccenti. Gli stadi, intanto, si riempiono. La passione monta, non è così limitata alla stagione del Sei Nazioni, qualcosa si sta smuovendo anche in questo senso. Ovviamente, dopo sabato e l'impegno di Ascoli, calerà il silenzio, il campionato italiano non se lo ricorderà nessuno, i fratelli Bergamasco torneranno ad essere fighi per signorine e signorini da spiattellare sui calendari. Così gli Azzurri saranno chiamati a dover fare sempre gli straordinari per rimettere insieme il pubblico delle ultime settimane. Con la consapevolezza, oggi, che qualcosa è cambiato.
La tradizione del nostro rugby è lunga, a differenza dell'opinione di molti. E' mass mediatica da poco: ma con delle buona fondamenta si può alzare un'abitazione di un piano. Basta essere ancorati alle stesse fondamenta e lasciar perdere le strategie politiche. Chi segue questo sport, da questa parte del fiume intesa come nazione, sa bene che servono dosi massicce di pazienza, costanza, sopportazione. Nessuno nasce campione, nessuno nasce grande. Ci affidiamo, nello stesso tempo, alle spalle larghe dei nostri ragazzi che scendono in campo e che ci danno soddisfazioni, anche in occasione della tredicesima sconfitta di fila.
Prima o poi vinceremo. E ci divertiremo ancora di più.
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