martedì 15 dicembre 2009

Pianeta... casa Italia

C'è un'aria frizzantina in giro dopo il week end di coppe europee: si fa infatti un gran parlare dell'Italia, del suo rugby e dei risultati mogi tra Heineken e Challenge Cup, accompagnando il tutto con l'interrogativo se il nostro rugby possa davvero atterrare in Celtic League. Bastassero certe sonore sconfitte (esempio quella di Viadana contro gli Ospreys), diremmo di no. Ma è un po' il giochino stupido che andava di voga qualche anno fa, quando erano non pochi quelli che si interrogavano se l'Italia meritasse il posto nel Six Nations alla luce di certe edizioni da dimenticare. Come se fosse facile tenere il ritmo di federazioni che coltivano ambizioni internazionali da molto più di tempo di noi, che hanno alle spalle una realtà solida e un movimento forte e radicato in lungo e in largo. Insomma: sì, le nostre potrebbero benissimo andare in Celtic, dipende cosa si intende per nostre.
Qui non abbiamo mai nascosto, per correttezza, un certo debole - se così si può chiamare - verso Treviso, l'unico club che finora ha dimostrato le credenziali per presentarsi ad una platea esigente non solo dal punto di vista agonistico, ma soprattutto da quelle di management. Oltremanica non scherzano, mica come da noi che si affidano ad una candidatura (Roma) per poi scoprire che non ci sono le coperture finanziarie necessarie, posticipando un'operazione da fare immediatamente. Tornando a bomba, ripetiamo che se davvero la Fir vuole "esportarsi" in Magners League, è libera di farlo, ma potrebbe andare a finire che una delle prescelte sia una ripescata, appunto Treviso. La quale sabato ha tentato di replicare alla convincente performance contro Munster sul campo dei Saints di Northampton, solida squadra che ravviva non solo la stagione di Premier inglese, ma che promette di prendere il ruolo svolto due edizioni fa dai London Irish in Heineken. Mica male, no? Non dimentichiamo, inoltre, il Parma che si impone sul Bourgoin.
La soluzione c'è, ovviamente: gente, stiamo con i piedi per terra. Umiltà è la parola d'ordine che va ripetuta di questi tempi, troppo belli per essere veri con gli 80.000 di San Siro, i 30.000 di Udine e i 20.000 di Ascoli. Perché alla fine a vedere le partite di campionato ci vanno i soliti, i cosiddetti neofiti rimangono fuori. Colpa della qualità bassa, colpa dei nomi altisonanti che giocano fuori dai nostri confini, colpa di una pessima visibilità non solo televisiva, ma anche sui quotidiani sportivi nazionali. Sarà colpa di tutto ciò, ma è soprattutto colpa del volo pindarico che qualche osservatore e commentatore ha voluto intraprendere. Restiamo con i piedi ancorati a terra, restiamo sul pianeta casa. D'altronde, riprendendo il caso di Viadana, è stata asfaltata da Swansea, catino della nazionale gallese con un nuovo fenomeno messo già sulla lista dei bravi (Dan Biggard). Non è un caso: da noi questo non può accadere perché non ci sono le strutture, gli impianti, ma soprattutto la cura per coltivare l'erba del nostro giardino. Tanto che forse la Fir dovrebbe, prima che guardare oltre la Manica, alle realtà da allevare. Tanto più che non è un'impresa così difficile: i nostri sono club che hanno sede in piccole realtà provinciali, non grandi città dove la dispersione è più probabile; e non c'è l'assillo che, ad esempio, pervade l'ambiente gallese, dove il rugby è in assoluto lo sport nazionale. L'Italia come Azzurri e le società intese come Italia del rugby sono al momento due cose ben distinte e sarebbe buona cosa farlo notare alle facce tristi e ai musi lunghi delle ultime ore. La passione e quindi l'interesse pubblico non trovano linfa nelle adunate oceaniche, ma nel giorno dopo giorno, anche quando di fronte non ci sono gli All Blacks o gli Springboks. E se sono batoste, amen: ne abbiamo sempre prese tante e piano piano abbiamo appreso l'arte di ridarle. Basta stare con i piedi per terra.

9 commenti:

Paolo ha detto...

Sono un neofita. Ho iniziato a seguire il Petrarca quest'anno, e continuo a seguirlo con l'orgoglio di chi vede ragazzi che fino a qualche mese fa erano dei pischelli da vivaio e ora lottano (quasi) alla pari con Albi e Falcons. Di strada da fare ne hanno ancora parecchia, ma possono solo migliorare.
Piuttosto mi domando quanti ce n'è che farebbero il mio percorso. Il rugby è uno sport ostico, difficile da capire, il regolamento è un esame universitario, il gioco inizi a capirlo dopo 200 partite... io mi sono entusiasmato perché vedevo il 6n su La7, e collegarsi col Millennium o con Twickenham era pura magia. Poi veder giocare quelli là è anche un'altra cosa, ma c'era soprattutto quel mix di storia e colori, di leggenda e birra e sfide epocali che mi prendeva.
Ma qui... qui vai al Plebiscito e al confronto sembra una sfida parrocchiale, si conoscono tutti, sono tutti ex rugbisti (e io no, che rabbia), ma perché uno dovrebbe passarci un sabato pomeriggio a vedere trenta marcantoni che si azzuffano?
Poi se vuoi far giocare tuo figlio dove lo porti? Mica c'è il campo sotto casa...
Guarda, io non so cosa ci voglia per far crescere il rugby in Italia, so solo che se non si parte da qui, hai voglia ad avere sponsor e management. Treviso è una splendida realtà, la migliore in Italia, ma ho paura che oltre questo non riesca ad andare finché il brodo di coltura è così misero.
Umiltà e piccoli passi, ma bisognerà anche iniziare a darsi una direzione ben precisa verso cui muoverli, immagino.

Anonimo ha detto...

@Paolo: magari io da neofita Lombardo ho una visione un po' romanzata del Veneto ma non ci credo che non ci siano club a "distanza papà" per portarci tuo figlio.
Vado a memoria ma qui dove abito io, in un raggio di 12km, ci sono almeno 4 società (una è il Monza che non è nemmeno tanto piccola).
Forza, coraggio! ;-)

P.S. Io sono neofita "attivo": dalla scorsa stagione ho iniziato ad allenarmi negli OLD. C'è sempre tempo! :-D

ringo ha detto...

Grazie Paolo per il tuo contributo: è utile per affrontare il discorso perché arriva, guarda caso, da un neofita. E sia ben chiaro che non si vuole fare alcuna distinzione, semplicemente si prova a guardare la materia anche con gli occhi di chi la affronta da poco. Dunque: ci vorrebbe il Socio dato che di mezzo c'è il Petrarca ( ;) ), ma il punto è centrato. Per fare le cose in grande, ma soprattutto bene, occorre andare con calma e non correre. Al sottoscritto, quando si parla di Italrugby, non sono mai piaciuti i confronti con altre nazionali (e lo dice un accanito fan del Galles): tanto che quando ero al Friuli a vedere gli Azzurri e non al Millennium, mi sono divertito comunque moltissimo.
Vogliamo andare all'estero con i club? Ok, ripeto. Ma non è mica così che poi il nostro rugby sarà competitivo nelle coppe europee o simili. Il fieno da mettere sotto il portico me lo devo procurare dai miei campi che gli altri contadini mica sono lì in prestito. Spero di aver reso l'idea.

Abr ha detto...

Mah, se uno desidera seguire attivamente il rugby in Veneto, a meno che non viva a Malga Ciapèla non dovrebbe aver grossi problemi a far giocare figli o se stesso in un club, vista la densità relativamente alta degli stessi. Non saranno proprio sottocasa, ma chi non fa senza pensarci 5-6-10 km per andare al supermercato?
Non vale la pena di far qualche sacrificio pur di sottrarre proprio figlio dalla incultura calcistica, rappresentata da quei genitori mamme in primis ululanti nelle tribune contro l'arbitro e gli avversari?
Chiaro che la densità non c'è perchè il rugby manca dalle scuole, quello sarebbe l'area di intervento maggiore; ma sappiamo, per come è ridotto lo Stato e per la mentalità di molti prof di educazione fisica, non se ne parla.

Non rimangono che i club quindi, e il Veneto è fortunato: il Petrarca in particolare lavora benissimo sui giovani da anni, vincendo tutti i campionati.

Complessità delle regole etc.: sono più uno spauracchio che altro, il rugby si può fruire anche senza conoscerne tutti i dettagli, poi col tempo si comprende.
La differenza col calcio è che per quella complessità non ci si può permettere di tranciare giudizi dal giorno zero, esattamente come in campo non ci si può permettere di zompare addosso all'arbitro: nel rugby è richiesta una "disciplina critica" anche sugli spalti. Questo però lo trovo tutto tranne che un limite.

Grande forthose old glory! Non fare la mia finaccia che mi incricco il collo con uno sbadiglio ...

forthose ha detto...

Secondo me, abr, quello della complessità delle regole rappresenta una sorta di filtro "taglio basso". Come dice Paolo il "problema" per i neofiti esiste. Soprattutto quelli provenienti dal calcio.
L'unica regola che necessità una minima spiegazione nel calcio è forse il fuorigioco. Per il resto basta vedere una partita e in 5 minuti si capisce il tutto.
Nel rugby non basta vedere una partita. Bisogna farsele spiegare un minimo le regole.
Italia-Samoa l'ho vista a casa di mio cognato e, a un certo punto, con voce sconfortata mi dice "non ci capisco niente".
Un altro mio amico invece lo introdussi io al rugby anni fa. Adesso sa a memoria le formazioni di tutti i top team di entrambi gli emisferi ed è lui che mi aggiorna e spiega le variazioni alle regole intervenute ultimamente.
Insomma, secondo me il rugby resterà sempre uno sport per appassionati. Perché, anche da spettatore, ci devi mettere impegno (e ingegno) e non basta mettersi in poltrona con la canotta macchiata di sugo e la Moretti.
Ci vuole almeno una Ale! ;-)

Per quanto riguarda gli Old, mi sa che è insito nella categoria. Noi partiamo in 20 e finiamo regolarmente in 13-14. E "modestamente" io do il mio solido contributo alla lista infortunati con uno stiramento ad ogni allungo. Però che mete alla Habana! :-D

Abr ha detto...

Si esatto, le regole contribuiscono a "filtrare": ci vuole un minimo di cuiosità e appplicazione, magari sorta per glamour dopo aver visto una Haka.
Ma non facciamola più complicata di quanto non sia: non stiamo certo lanciando razzi nello Spazio, trovo molto più complesso trovare il registro chiamate in certi telefonini;: basta seguire con interesse 5 partite del 6Nazioni e si sa il 75%-80% ...
Cosa dorebbero dire gli appassionati di cricket, quello vero non la versione 20-20? Che ce vo' la laurea?

Secondo me, ripeto, più forte della complessità iniziale, una sorta di iniziazione, è il filtro "morale: il rugby non è sport per i sotutto del primo minuto e per commissari tecnici di massa. Anche se a volte, nei forum ...

ringo ha detto...

E qui il Socio dice tutto: "il rugby non è sport per i sotutto del primo minuto e per commissari tecnici di massa". Su questo aspetto va portata avanti la nostra tradizione. Quello che cercavo di dire io dopo aver sentito profumo di bruciato nei dintorni...

Anonimo ha detto...

Il Socio dice anche di più, caro Ringo: "Anche se a volte, nei forum...". Io mi sono "rifugiato" qui in casa vostra prorpio per sfuggire alla puzza di bruciato che si sentiva in un certo forum!

Abr, il mio prof di inglese delle medie ci disse un giorno "you don't explain cricket. You're born with it"
E in effetti non mi sono mai azzardato a comprenderne il senso! :-)

ringo ha detto...

Neanche io mi sono mai azzardato a comprendere il senso del cricket, ma ricordo con orgoglio la palla finita sullo zigomo sinistro durante una vacanza in Scozia, quando mi fu chiesto di fare quello dietro con la mazza: nonostante il caschetto e il guanto per agguantarla, la maledetta è arrivata a segno ;)

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