martedì 2 febbraio 2010

Sei Nazioni meno cinque: gli Inni


Celebrare i 100 anni del Cinque-Sei Nazioni: una storia di tradizioni, di scontri epici e campali tra Nations (da tradurre correttamente in Popoli): lo si può senza far cenno al fenomeno degli Inni? Simboli di unione, richiamo identitario e predisposizione alla sfida, un po' ridicoli e desueti nel Terzo Millennio Globalizzato, ma che si calano in modo del tutto appropriato nel contesto degli scontri ritualizzati propri dello sport di combattimento a squadre per eccellenza: i giocatori di rugby non li cantano e non si commuovono per finta o per posa, così come il loro pubblico.
Ogni singolo Inno del Sei Nazioni ha la sua storia peculiare e in alcuni casi legata proprio al rugby.
C'è il più antico di tutti, God Save The Queen: si esegue dal 1745 e non tutti sanno che non esiste nessuna norma costituzionale o legge che stabilisca questo ad Inno del Regno Unito o l'Inghilterra: è una consuetudine, una TRADIZIONE che esiste e sussiste in quanto popolare nella accezione migliore del termine, una cosa da far uscire pazzi i nostri Azzeccagarbugli Statalisti Centralisti Costituzio
nalisti, quelli che siamo tutti uguali davanti alla Norma, cioè sotto di loro.
La paternità stessa dell'Inno è controversa: qualcuno sostiene che la musica sia dell'italiano GianBattista Lullo e le parole nientepopodimeno che di Madame de Maintenon, la favorita di Re Sole Luigi XIV.
Abbiamo poi il marziale, glorioso e terrificante La Marseillaise, originalmente "Canto di Guerra per l'Armata del Reno" scritto e composto a Strasburgo, non Marsiglia, da Rouget de Lisle nel 1792 per chiamare alle armi i Citoyens contro gli invasori Austriaci e Prussiani che verranno sconfitti a Valmy. Il nome deriva dai volontari che si mossero a tal canto da Montpellier (città di rugby) passando per Marsiglia.
Rimanendo nel campo delle marcette marziali c'è il nostro Fratelli d'Italia (titolo originale: "Inno agli Italiani" o anche "Canto degli Italiani"), scritto in anni patriotticamente frementi dal genovese Goffredo Mameli, morto a vendidue anni combattendo per Garibaldi a Roma nel 1849 e musicato da un altro genovese, tal Michele Novaro. L'Inno è ufficialmente definito "provvisorio" in Costituzione, ma come molte cose provvisorie in Italia s'è installato definitivamente.
Questi tre sono Inni ufficiali - veri e propri, provvisori o consuetudinari che si voglia - mentre gli altri del Sei nazioni sono Canti di Popolo.
O di Federazione, come quello irlandese: Ireland's Call, scritto da Phil Coulter nel 1995 con sonorità da film western, fu infatti commissionato direttamente dalla Irish Rugby Football Union per essere usato al posto dell'Inno Irlandese Amhràn na bhFiann (The Soldier's Song) per non prevaricare gli Irlandesi del Nord, sudditi di Sua Maestà Britannica che partecipano alla Nazionale. Un inno giovane, ma quando fu cantato in sequenza con Soldier's Song al Croke Park riaperto per la prima volta dopo il Bloody Sunday a squadre inglesi, le lacrime apparvero negli occhi degli irlandesi, decretandone forse un brillante futuro.
L'inno gallese è Hen Wlad Fy Nhadau, Land of my Fathers, anch'esso fa sovvenire epicità Hollywoodiane e come God Save è inno impostosi per tradizione: scritto nel 1856 con altro titolo da un James (Evan) di Pontyprydd come Tom Jones, il cantante gallese più famoso, guadagnò progressivamente popolarità al punto da venir copincollato come inno ufficioso in altre terre celtiche: Cornovaglia (Bro Goth Agan Tasow) e Bretagna francese (Bro Gozh ma Zadoù).
Chiude la scena il più bello, struggente e forse il più significativo di tutti anche come genesi, assieme a quello irlandese il più legato al rugby: "Flower of Scotland", composizione di un duo folk degli anni Sessanta, Les Corriers, nato del tutto avulso da commissioni e ufficialità.
La storia è quella delle tradizioni che non sono muffa stantìa immobilista: da tempo esisteva un inno semi-ufficiale scozzese, "Scots Wha Hae Wi’ Wallace Bled" ("Noi siamo scozzesi del sangue dei Wallace" - Wallace essendo il famoso "Braveheart"), con testo del poeta Burns: cornamuse, fiero, "alto", possedevava apparentemente tutti i crismi ma si sa, al cuor non si comanda e quell'inno non è mai diventato granchè popolare. "Flowers of Scotland" invece si impose proprio grazie ai test match di rugby: veniva cantato sugli spalti in contrapposizione e sovrapposizione all'inno britannico provocando notevole imbarazzo nelle autorità, fino al giorno in cui la Principessa Anna d'Inghilterra sorella della Regina e spettatrice fissa dei test match al Murrayfield, si alzò in piedi in kilt e si mise a cantarlo assieme a tutta la folla estasiata.
Da allora andare allo stadio di Edimbro per sentire la folla che lo canta tra cornamuse e tamburi vale da solo il prezzo del biglietto, trasferta aerea inclusa.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Bellissimo post!
E - obviously - concordo in pieno su Flower of Scotland.
A me (che con la Scozia non ho nulla da spartire) fa venire un groppo in gola anche solo sentirlo in TV... chissà cosa dev'essere sentirlo al MurrayField!

Abr ha detto...

Grazie Forthose.
Anch'io gli Scots li capisco poco nel senso letterale del termine, ma un test match a Murrayfiled come detto si ripaga prima ancora che inizi la partita!

ringo ha detto...

Maledetto, mi hai letteralmente rubato il post che stavo scrivendo... Beh, adesso lo giro e rigiro e ci aggiungo altro al mio...

Abr ha detto...

.. le idee migliori vengono sempre la notte prima, il giorno dopo è sempre tardi ... ;)

Cambia argomento vah, non sovrapporti e dedicati alla attualità: il sottoscritto è campione in carica di tutti i nozionismi epici, curiosi e inutili.

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