venerdì 20 agosto 2010

Polemizzare con gli arbitri, non con i fatti

Siamo alla vigilia della ripresa del Tri Nations, con la serie di gare in terra africana; difficile negare, anche da parte dei più accesi estimatori degli All Blacks, che Il leit motif di questa edizione non sia stata la condiscendenza arbitrale nei loro confronti.
Alle "sensazioni" corroborate gara dopo gara, si aggiunge ora la certificazione dei fatti, coi quali non si può polemizzare. Nelle prime cinque partite di TriNations, se i sudafricani hanno preso un giallo mediamente ogni sei falli fatti e gli australiani uno ogni sette, prima di veder sventolare il cartellino sul naso di un All Blacks è stato loro mediamente concesso di commettere 47 (quarantasette) falli.
Vero è che c'è fallo e fallo: fare uno spear tackle è più grave del rallentare il gioco, ma a questi livelli di differenza siamo in piena "legge dei grandi numeri", con buona pace del gran capo degli arbitri, il neozelandese Paddy O'Brien.
A fronte di statistiche del genere dovrebbe esser chiaro a tutti che c'è qualcosa che non va, anche senza dover per forza ipotizzare bias arbitrali favorevoli ai neozelandesi, deliberati o "subliminali" che siano. Nel rugby infatti conta non solo la loro gravità dei falli ma anche il loro numero - un approccio falloso sistematico è comportamento "antisportivo" o tradotto malamente ma efficacemente dall'inglese, gioco "cinico". Gli arbitri sono tenuti a punirlo e se non lo fanno con efficacia e continuità, può essere che debbano ancora "organizzarsi", rendersi ben conto della sistematicità dell'l'infrazione.
Tant'è, secondo noi a pensar male si fa peccato ma almeno parzialmente ci si azzecca: anche senza tener conto dell'antico legame tra O'Brien e coach Graham Henry, palesatosi in tutta la sua arroganza post gara a San Siro, umanamente ci sta un po' di condiscendenza arbitrale nei confronti dei prossimo guest mondiali, al fine di evitar veti e preclusioni alla gita down under.

Se si desidera entrare nel merito dell'approccio falloso sistematico degli All Blacks, nessuno a nostro avviso lo ha descritto meglio di Bob Dwyer, ex coach australiano campione del Mondo.
La sua sintesi è perfetta: "Esattamente come gli All Blacks hanno compreso la necessità di ovali veloci per alimentare il loro gioco d'attacco, così hanno riconosciuto la minaccia alla loro difesa rappresentata dal ricircolo veloce di palla degli avversari". Da questo principio - sintetizzabile in un umanissimo ma reprimibile "non far fare agli altri quello che piace fare a te" - consegue tutto il loro atteggiamento falloso.
"Infatti, prosegue Dwyer, ero convinto che la difesa neozelandese fosse molto vulnerabile dagli attacchi con palla mossa velocemente, come mostrato dalle due mete relativamente banali segnate dagli Springbok nel secondo test a Wellington e da qualche tentativo simile provato dai Wallabies". Sentendosi vulnerabili, spiega Dwyer, gli All Blacks "si sforzano di limitare al massimo i ricicli veloci dei loro avversari".
E lo fanno con le buone o ....: "Non ci sarebbe nulla di male, fino a a quando lo attuano rimanendo dentro le regole del gioco. E' qui che io e molti altri mettiamo in discussione le loro tattiche. I placcatori in maglia nera cadono a terra regolarmente dal lato sbagliato e non posso credere che sia sempre per fatalità".
Il coach spiega nel suo sito bobdwyerrugby.com : "Questo impedisce agli avversari di arrivare rapidamente a sostegno del compagno placcato e consente ad altri All Blacks a supporto di attaccare gli avversari a l'ovale ancora per terra. Inoltre i mediani avversari trovano difficoltoso raggiungere la palla e per "pulirla" sono obbligati ad alzarla sopra i corpi avversari per passarla. Questo rallenta la rimessa in gioco dell'ovale e offre tempo prezioso alla difesa. Ciò è illegale", conclude Dwyer.
L'altro fallo sistematico degli All Blacks è quello che i commentatori australiani hanno definito "outrageously offside" quando portano loro stessi palla nel breakdown (vedi in foto una ruck a caso con palla Kiwis, contro il Galles): siamo sempre lì, ci si "tuffa" oltre l'ovale.
"Tutti i giocatori fanno la loro parte e se McCaw, Franks e Conrad Smith sono da tempo "specialisti seriali" del settore, uno che ha recentemente appreso e perfezionato la tecnica è Kieran Read. E' un approccio efficace in modo devastante, procura mete - ma è illegale".

Mica finisce qui con gli offside vergognosi, ci sarebbe da evidenziare anche la posizione sistematicamente fallosa della linea difensiva quando l'avversario entra nei 22metri Kiwis. L'abbiamo sottolineato nei commenti in questo blog e fortunatamente l'ha fatto l'arbitro Kaplan nell'ultima partita con l'Australia: è stato un primo, ancora parziale tentativo di render consapevole la classe arbitrale e di limitare queste tattiche dei Tutti Neri.
Sarà stato per coincidenza o per appagamento, ma con quella "cura" gli All Blacks sono passati da sette mete realizzate fuori casa a sole due in casa, alla faccia del "positive rugby" di Henry. Una "cura" che potrebbe risultare benefica per i neozelandesi stessi: meglio qualche giallo a McCaw, Smith e Read to think about adesso che tra un anno, come capita regolarmente a ogni Mondiale ... Per carità, poi invece si può anche "raccontare a tutta la gente/ del tuo falso incidente" e spiegare, credendoci, che si è stati eliminati per un in avanti non visto da Barnes.

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