"Shall be my brother"
Molto semplicemente, è la migliore preparazione sportiva per i rigori della guerra. Non hanno dubbi a West Point, l’accademia tra tutte le accademie militari d’America e del mondo. Tra lezioni, corsi, esercitazioni e operazioni simulate di guerra, hanno trovato lo spazio per infilarci non solo lo sport in generale (Mens sana in corpore sano), ma anche la palla ovale. Il rugby è una delle attività che i cadetti sembrano preferire, tanto che ormai la formazione è protagonista fissa delle fase a playoff del campionato collegiale.
“Il rugby replica quello che ti può accadere in combattimento”, ha sapere uno dei ragazzoni che di West Point, “meglio ancora del football. E io adoro il football. Mentre entrambi sono fisici, di impatto e presuppongono un gioco di squadra per l’obiettivo finale, solo alcuni ruoli sono davvero esposti nel football. A rugby, invece, ciascuno deve assumersi una scelta tattica e strategica in tempo reale e ci sono poche interruzioni durante la partita e fisicamente diventa molto dispendioso”. Più faticano, più stanno meglio.
L’accademia dal
Il coach dei giorni d’oggi si chiama Rich Pohlidal e negli spogliatoi, prima di un match, arringa i suoi come se si trovassero su un aereo pronti a catapultarsi dietro le linee nemiche o se da lì a qualche istante dovessero sbarcare su qualche spiaggia e sotto il fuoco nemico. Prima del fischio di inizio, si abbracciano e recitano una preghiera. Il motto della squadra è invece tratto dell’Enrico V di William Shakespeare e a questo blog suona famigliare: We few, we happy few, we band of brothers / For he today that sheds his blood with me / Shall be my brother.
“Il rugby è la cosa migliore qui”, racconta Mike Sheehan, uno dei centri, “rende il resto della vita – che alcune volte è molto dura – più divertente. E i ragazzi che giocano a rugby formano probabilmente il miglior gruppo di amici che abbia mai avuto. Ci chiamiamo fratelli”. Samuel Aidoo ha servito in Iraq e Afghanistan con i Rangers prima di arrivare a West Point e conferma: “I comandanti di plotone con i quali sono stato in contatto erano giocatori di rugby e volevo stare con loro, con quel tipo di persone che il rugby attrae. Sottolineavano la responsabilità individuale e l’importanza della squadra, del gruppo. Non c’era spazio per le stelle – it was all about self-sacrifice”.
“Duty, Honour, Country” è il motto di
(Dichiarazioni riprese da Rugby World, numero di agosto 2010)
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