All Blacks azzannati ma tengono l'osso
New Zealand tour - Twickenham
England 16 - 26 New Zealand
Pomeriggio ad alta tensione a Twickenham, in quel di Londra. Il tabellino dice che tra Inghilterra e Nuova Zelanda vincono gli All Blacks per 26-16. Ma come spesso capita, quello inglese è un bulldog che, per quanto sdentato non è mai morto, e allora ecco che lo spettacolo non manca. Sarà contento il tallonatore neozelandese Mealamu che alla vigilia se l'era un po' presa perché i media locali non avevano dato abbastanza risalto a lui e compagni, giunti Oltremanica per tentare nuovamente il Grand Slam in questo novembre, ghiotta anticipazione di Mondiali del prossimo anno.
Succede un po' di tutto con gli australi che nel primo tempo entrano a Fort Alamo e potrebbero garantirsi vita tranquilla, ma i padroni di casa non hanno alcuna voglia di soccombere dopo aver ripetuto il mantra che questi AB sono battibili. E' vero, ma lo sono da squadre del livello dell'Australia. Peccato che abbiano quasi sempre in riserbo un piano B, mentre quelli di coach Martin Johnson no, chiamati a convivere per la prima volta dopo l'estate down under.
L'inizio inglese è rampante: il bulldog con la croce di san Giorgio non è più quello di un tempo, vuole allargare il gioco dando velocità e qualità al possesso. La Nuova Zelanda controlla e riparte, rendendosi pericolosa con l'estremo Muliaina e Hosea Gear, esplosione di muscoli dediti alla corsa. Decide così di premere sull'acceleratore per sfidare i rivali sul fiato: chi più ne ha, meglio è.
Primo tempo - Al 9' arriva il primo tentativo dalla piazzola per Dan Carter da posizione defilata sulla sinistra e l'ovale non passa tra i pali, dopo che il vecchio Steve Thompson è sanzionato dall'arbitro francese Romain Poite per non essersi levato dall'onnipresente Richie McCaw in ruck. Al 13' la risposta inglese è chiara e diretta, quando una punizione è giocata velocemente e taglia in due le difesa nemica. E' un faccia a faccia frenetico. Sarà per questo che gli AB vogliono dire la loro contro un pubblico che carica i propri beniamini.
16': dalla rimessa laterale, parte l'orchestra neozelandese con Sonny Bill Williams all'esordio che mette in luce le proprie abilità gestuali e consegna a Jerome Kaino il pallone giusto per aprire il varco. Così accade, peccato che la terza linea non abbia una gran visuale e invece di servire Muliaina passa al largo, dove comunque c'è Hosea Gear che secondo l'italiano De Santis (TMO) resiste all'urto di Chris Ashton e fa toccare palla a terra prima che i suoi piedi tocchino fuori: una classica decisione 50-50. Carter dalla bandierina non sbaglia ed è 0-7.
Parentesi su SB Williams e Shontayne Hape, 22enne kiwi che veste la maglia bianca: il primo alterna cose buone ad altre meno eclatanti, mantiene un profilo basso, evidentemente necessita di tempo per entrare in tutti i meccanismi. Ecco, appunto, i meccanismi, gli automatismi: quelli che mancano agli inglesi nei momenti clou. Fabbisogno evidente ma che non si improvvisa in ottanta minuti di partita.
Automatismi che invece non mancano certo ai Tutti Neri e fanno la differenza nella produttività: gli AB cominciano ad infilarsi tra le maglie delle guardie di Johnson e al 20' conquistano una mischia sui 5 metri portando la pressione fin dentro l'area di meta inglese. Suona il tamburo tuttonero, il piatto lo scuote Kieran Read dopo due veloci raggruppamenti appena fuori la mischia ordinata: 14-0 con la conversione di Carter.
Il primo morsettino del bulldog mai domo arriva dall'indisciplina neozelandese nell'area del breakdown cui l'arbitro è particolarmente attento e così al 25' Toby Flood apre le marcature per i suoi. Nel frattempo, tra gli avanti, è accesa la sfida tra Andrew Sheridan e Owen Franks: "una volta io, una volta tu" si mettono alle corde vicendevolmente. Proprio dagli avanti punta a far danni l'Inghilterra, con una maul che però non avanza su rimessa laterale al 28': la palla allora va ai trequarti che provano in tutti i modi a scardinare il cancelletto del giardino dietro casa degli AB, che però resistono e negano la meta che riaprirebbe subito i conti. Carter allunga al 31' (17-3) e al 33' si registrano già 64 placcaggi per il cane che non demorde.
Gli avanti conquistano un altro calcio di punizione dalla mischia, Flood però sbaglia da posizione centrale. Nick Easter dà il via ad un break pericoloso, peccato che Mike Tindall rovini tutto con una pessima trasmissione.
Gli uomini di Graham Henry gigioneggiano e Ben Foden li arringa con una folata sulla destra, portando l'armamentario nei 22. La palla gli torna in mano dopo un paio di fasi e quando sembra fatta, viene tenuto alto e non c'è il touchdown dell'ultimo istante del primo tempo.
Secondo tempo - Un certo qual eccesso non di leziosità ma di quello che si potrebbe definire "fame placata" dei neozelandesi provoca guasti al motore anche all'inizio della ripresa. Come detto sopra, il guaio per gli iavversari è che gli AB hanno sempre un piano B (tipo un calcio di alleggerimento ben calibrato di Muliaina), mentre il bulldog per quanto mai morto, è appunto un po' sdentato, costretto com'è ad improvvisare con interpreti mediamente inferiori agli avversari sul piano degli skill individuali. Impavidi e pure masochisti, gli inglesi non smettono mai di crederci. Al 44' è ancora Flood a infilare tre punti da un fallo fischiato a Tony Woodcock in mischia. Nel giro di tre minuti gli risponde Carter, così con nonchalance, tanto per mantenere le distanze.
La confidenza è un'arma a doppio taglio per la Nuova Zelanda: a volte serve per liberarsi dell'enorme pressione English, a volte per pasticciare e cedere il possesso ai rivali. E così si arriva al momento fatidico.
54': corsa di SB Williams sulla destra, la palla arriva a Joe Rokocoko che invece di provare a rientrare o assorbire il placcaggio, va di piede poco fuori dai 22m avversari. Foden chiama il mark, l'Inghilterra riparte a tutta birra, Ashton prosegue l'azione e infine ecco che arriva l'altro neozelandese di nascita Dylan Hartley, entrato al posto di Thompson in prima linea a portare quell'extra beat di determinazione che serviva agli Albionici: schiaccia in meta dando l'impressione allungandosi del doppio movimento, ma l'importante è che il TMO dica di sì: 20-13, partita sotto break.
Ma Carter, sempre con nonchalanche, ri-distanzia immediatamente le squadre sul più sicuro +10. Al 60' Ashton nega a Muliaina la meta del ko, intercettando l'ultimo passaggio smarcante dopo essersi fatto saltare dall'estremo: un esempio del non mollare mai albionico. McCaw è ovunque, as usual, spesso anche dove non dovrebbe essere: bello il siparietto con l'arbitro, che a un certo punto con tipico humour francese gli chiede: "Richie, when will I see something good from yours?". Hartley come sempre viaggia su una lunghezza d'onda più alta degli altri: la partita è già tosta di per sè, intensa e piena di giocatori insanguinati, ma lui a fine di una ruck si butta sul capitano AB a peso morto, di proposito, e Brad Thorn gli fa presente che così non si fa con parole sue, sbattendolo a terra.
Al 65' Flood riporta i suoi al break. L'inerzia dello scontro è passata dalla parte del bulldog, che magari tanto lucido non è ma si lustra il muso e riparte all'attacco, mentre capitan Lewis Moody lascia il campo. Porta a casa anche una testata rifilatagli da Mealamu nella prima parte di gara. Non ci sarebbe da sorprendersi se saltassero fuori provvedimenti disciplinari in settimana.
Al minuto 67' entra Delon Armitage per Mark Cueto. Si presenta subito come parte del contesto determinato ma poco lucido, stende con un placcaggio alto Isaia Toeava, entrato al posto del re dei leziosismi Rokocoko: ok che magari è il modo migliore per fermarlo, ma non in quel momento di partita. Carter lo punisce riportando nuovamente gli ospiti a distanza di sicurezza, 26-16. Al 72' arriva il giallo per Kaino, entrato lateralmente in ruck: in realtà paga la serie di infringments deliberati posti in essere dai Tutti Neri appena gli avversari entrano nei loro 22m e provano a giocare multifase, e Poite al proposito si merita un bravò! Gli All Blacks paiono alle corde, gli inglesi si riversano in avanti e invece di mirare ai pali, vanno a giocarsi una rimessa nei 22m.
L'aria si surriscalda, gli assalti si susseguono, lo scontro è totale. Ed ecco che Hape può andare a segno al debutto contro la "sua" nazionale, ma Toeava si ripaga le spese di viaggio intervenendo con un placcaggio a spostare, non forse ortodosso ma efficace che lo butta fuori dal campo ad un passo dalla bandierina, manco fosse la Fracci impattata da John Cena. Carter sbaglia un drop di ripartenza dai propri 22, è evidente che la benzina è finita. Il cagnaccio prova l'ultimo azzanno, ma non arriva.
Finisce così, con gli All Blacks che pur dall'alto della loro manifesta e confermata superiorità corale e individuale dovranno sudarsi la gloria, in una Europa più primitiva e lenta degli Australi, ma ancora ricca di orgoglio e volontà di difendere le proprie case dai "barbari". Quanto all'Inghilterra, quella che appena sente un primo assaggio di Coppa del Mondo, si fa seria e indossa il vestito buono per una partita di rugby, è sempre la solita mastina, e basta guardare in faccia coach Martin Johnson per capire come mai.
Impressionismi (by Abr) - Si conferma la netta superiorità di squadra degli All Blacks su questa Inghilterra - del resto come dice il Socio, gli automatismi non si improvvisano - e la determinazione albionica a far sudare gli avversari fino alla fine, anche se molto superiori e loro indietro col programma. Da parte inglese, è stato sicuramente presuntuoso - o meglio, tipicamente da Martin Johnson - tentare di "scimmiottare" gli ospiti nel gioco, sfidandoli nei breakdown; vero è anche che, come sottolinea il Socio, gli All Blacks han sempre pronto un "Piano B" da mettere in atto in caso di necessità, anche avessero gli avversari adottato un atteggiamento più "chiuso" (magari, con Wilkinson disponibile ...). Epperò gl'inglesi, non mollano veramente mai ... ammirevoli: anche da queste piccole cose, si capisce come mai Churchill sia nato lì.
A livello individuale e di reparto, netta è stata la supremazia Tutta Nera nel cardine del gioco moderno, la terza linea: i due "gemelli" Moody e Croft col supporto dell'espertissimo Nick Easter si sono sacrificati in un lavoro letteralmente sanguinoso di tamponamento senza fine, ma sono rimasti lontani dalla efficacia scientifica, specialistica del trio Kaino-McCaw-Read. Anche i due dietro di loro, Palmer e Lawes, rimangono nell'anonimato del lavoro di quantità, mentre i loro colleghi AB "approfittano" dei propri guai fisici e schierano a fianco del preziosissimo thug Thorne una "terza terza ala", Sam Withelock preferito al più standard Boric, assicurandosi uno sfondatore in più nel gioco aperto. Davanti in prima linea finisce pari e patta grazie ai progressi nella tecnica di Owen Franks e per la sagacia di Tony Woodcock, anche se alla fine la bilancia delle mischie ordinate pende lievemente a favore degli inglesi, ma non così nettamente come probabilmente speravano. Tra i tallonatori, Hartley meriterebbe un discorsetto: grinta da vendere ma sempre sul filo del rasoio disciplinare. Poi uno si chiede come mai gli si preferisca il venerando Thompson.
In mediana, Youngs e Flood non inventano nulla nè riescono a razionalizzare granchè, nel clima di grande improvvisazione, di ottimismo della volontà che attanaglia gli inglesi; tanto che nel finale, un ancora meno logico ma più aggressivo Danny Care in mediana farà una buona figura. Sull'altro lato della barricata esordio da titolare positivo per Mahewson; poi c'è Dan Carter, non solo pronto all'incasso ma a sacrificarsi a portar palla e prender botte se serve, anche se alla fine perde lucidità e commette un paio di errori in fila e in inferiorità numerica, cosa che ad altre squadre - o con altri avversari, come capitato al suo sostituto Donald a Hong Kong - poteva costar carissimo.
In mezzo Tindall e Hape sono stati un po' l'anello debole: i varchi ogni tanto di aprono persino nelle maglie difensive All Blacks, ma quando succede devi approfittarne e non traccheggiare. E, a proposito di occasioni, a dieci centimetri dalla meta si vede la differenza tra un killer come Toeava e uno ancora ragazzotto come Hape. Davanti a loro un duo tutto muscoli e velocità ma poco integrato (anche per loro vale il discorso sugli automatismi), il solito Ma'a Nonu ricco di iniziativa e The Chosen One, SB Williams, che ha adottato un profilo molto basso, non era assatanato dall'idea di dover fare il fenomeno: s'è visto nella prima meta (suo il break) e in un paio di occasioni nel secondo tempo, poi molta difesa. Nel triangolo allargato le poche certezze inglesi: Cueto-Ashton-Foden sono una garanzia, e Delon Armitage lo si lasci a casa per carità di patria. Sul versante neozelandese, di Muliaina si può solo dire che ogni anno che passa è il suo anno migliore, mentre duplice è il giudizio sulle ali: Rokocoko-Gear, a vederli stasera uno si domanda come mai il primo ci sia sempre e il secondo mai, tra i Tutti Neri.
England: Ben Foden; Chris Ashton, Mike Tindall, Shontayne Hape, Mark Cueto; Toby Flood, Ben Youngs; Nick Easter, Lewis Moody (capt), Tom Croft; Tom Palmer, Courtney Lawes; Dan Cole, Steve Thompson, Andrew Sheridan
Replacements: Dylan Hartley, David Wilson, Dave Attwood, Hendrie Fourie, Danny Care, Charlie Hodgson, Delon Armitage
New Zealand: Mils Muliaina; Joe Rokocoko, Sonny Bill Williams, Ma'a Nonu, Hosea Gear; Dan Carter, Alby Mathewson; Kieran Read, Richie McCaw (capt), Jerome Kaino; Sam Whitelock, Brad Thorn; Owen Franks, Keven Mealamu, Tony Woodcock
Replacements: Hika Elliot, Ben Franks, Anthony Boric, Liam Messam, Andy Ellis, Stephen Donald, Isaia Toeava
England 16 - 26 New Zealand
Pomeriggio ad alta tensione a Twickenham, in quel di Londra. Il tabellino dice che tra Inghilterra e Nuova Zelanda vincono gli All Blacks per 26-16. Ma come spesso capita, quello inglese è un bulldog che, per quanto sdentato non è mai morto, e allora ecco che lo spettacolo non manca. Sarà contento il tallonatore neozelandese Mealamu che alla vigilia se l'era un po' presa perché i media locali non avevano dato abbastanza risalto a lui e compagni, giunti Oltremanica per tentare nuovamente il Grand Slam in questo novembre, ghiotta anticipazione di Mondiali del prossimo anno.
Succede un po' di tutto con gli australi che nel primo tempo entrano a Fort Alamo e potrebbero garantirsi vita tranquilla, ma i padroni di casa non hanno alcuna voglia di soccombere dopo aver ripetuto il mantra che questi AB sono battibili. E' vero, ma lo sono da squadre del livello dell'Australia. Peccato che abbiano quasi sempre in riserbo un piano B, mentre quelli di coach Martin Johnson no, chiamati a convivere per la prima volta dopo l'estate down under.
L'inizio inglese è rampante: il bulldog con la croce di san Giorgio non è più quello di un tempo, vuole allargare il gioco dando velocità e qualità al possesso. La Nuova Zelanda controlla e riparte, rendendosi pericolosa con l'estremo Muliaina e Hosea Gear, esplosione di muscoli dediti alla corsa. Decide così di premere sull'acceleratore per sfidare i rivali sul fiato: chi più ne ha, meglio è.
Primo tempo - Al 9' arriva il primo tentativo dalla piazzola per Dan Carter da posizione defilata sulla sinistra e l'ovale non passa tra i pali, dopo che il vecchio Steve Thompson è sanzionato dall'arbitro francese Romain Poite per non essersi levato dall'onnipresente Richie McCaw in ruck. Al 13' la risposta inglese è chiara e diretta, quando una punizione è giocata velocemente e taglia in due le difesa nemica. E' un faccia a faccia frenetico. Sarà per questo che gli AB vogliono dire la loro contro un pubblico che carica i propri beniamini.
16': dalla rimessa laterale, parte l'orchestra neozelandese con Sonny Bill Williams all'esordio che mette in luce le proprie abilità gestuali e consegna a Jerome Kaino il pallone giusto per aprire il varco. Così accade, peccato che la terza linea non abbia una gran visuale e invece di servire Muliaina passa al largo, dove comunque c'è Hosea Gear che secondo l'italiano De Santis (TMO) resiste all'urto di Chris Ashton e fa toccare palla a terra prima che i suoi piedi tocchino fuori: una classica decisione 50-50. Carter dalla bandierina non sbaglia ed è 0-7.
Parentesi su SB Williams e Shontayne Hape, 22enne kiwi che veste la maglia bianca: il primo alterna cose buone ad altre meno eclatanti, mantiene un profilo basso, evidentemente necessita di tempo per entrare in tutti i meccanismi. Ecco, appunto, i meccanismi, gli automatismi: quelli che mancano agli inglesi nei momenti clou. Fabbisogno evidente ma che non si improvvisa in ottanta minuti di partita.
Automatismi che invece non mancano certo ai Tutti Neri e fanno la differenza nella produttività: gli AB cominciano ad infilarsi tra le maglie delle guardie di Johnson e al 20' conquistano una mischia sui 5 metri portando la pressione fin dentro l'area di meta inglese. Suona il tamburo tuttonero, il piatto lo scuote Kieran Read dopo due veloci raggruppamenti appena fuori la mischia ordinata: 14-0 con la conversione di Carter.
Il primo morsettino del bulldog mai domo arriva dall'indisciplina neozelandese nell'area del breakdown cui l'arbitro è particolarmente attento e così al 25' Toby Flood apre le marcature per i suoi. Nel frattempo, tra gli avanti, è accesa la sfida tra Andrew Sheridan e Owen Franks: "una volta io, una volta tu" si mettono alle corde vicendevolmente. Proprio dagli avanti punta a far danni l'Inghilterra, con una maul che però non avanza su rimessa laterale al 28': la palla allora va ai trequarti che provano in tutti i modi a scardinare il cancelletto del giardino dietro casa degli AB, che però resistono e negano la meta che riaprirebbe subito i conti. Carter allunga al 31' (17-3) e al 33' si registrano già 64 placcaggi per il cane che non demorde.
Gli avanti conquistano un altro calcio di punizione dalla mischia, Flood però sbaglia da posizione centrale. Nick Easter dà il via ad un break pericoloso, peccato che Mike Tindall rovini tutto con una pessima trasmissione.
Gli uomini di Graham Henry gigioneggiano e Ben Foden li arringa con una folata sulla destra, portando l'armamentario nei 22. La palla gli torna in mano dopo un paio di fasi e quando sembra fatta, viene tenuto alto e non c'è il touchdown dell'ultimo istante del primo tempo.
Secondo tempo - Un certo qual eccesso non di leziosità ma di quello che si potrebbe definire "fame placata" dei neozelandesi provoca guasti al motore anche all'inizio della ripresa. Come detto sopra, il guaio per gli iavversari è che gli AB hanno sempre un piano B (tipo un calcio di alleggerimento ben calibrato di Muliaina), mentre il bulldog per quanto mai morto, è appunto un po' sdentato, costretto com'è ad improvvisare con interpreti mediamente inferiori agli avversari sul piano degli skill individuali. Impavidi e pure masochisti, gli inglesi non smettono mai di crederci. Al 44' è ancora Flood a infilare tre punti da un fallo fischiato a Tony Woodcock in mischia. Nel giro di tre minuti gli risponde Carter, così con nonchalance, tanto per mantenere le distanze.
La confidenza è un'arma a doppio taglio per la Nuova Zelanda: a volte serve per liberarsi dell'enorme pressione English, a volte per pasticciare e cedere il possesso ai rivali. E così si arriva al momento fatidico.
54': corsa di SB Williams sulla destra, la palla arriva a Joe Rokocoko che invece di provare a rientrare o assorbire il placcaggio, va di piede poco fuori dai 22m avversari. Foden chiama il mark, l'Inghilterra riparte a tutta birra, Ashton prosegue l'azione e infine ecco che arriva l'altro neozelandese di nascita Dylan Hartley, entrato al posto di Thompson in prima linea a portare quell'extra beat di determinazione che serviva agli Albionici: schiaccia in meta dando l'impressione allungandosi del doppio movimento, ma l'importante è che il TMO dica di sì: 20-13, partita sotto break.
Ma Carter, sempre con nonchalanche, ri-distanzia immediatamente le squadre sul più sicuro +10. Al 60' Ashton nega a Muliaina la meta del ko, intercettando l'ultimo passaggio smarcante dopo essersi fatto saltare dall'estremo: un esempio del non mollare mai albionico. McCaw è ovunque, as usual, spesso anche dove non dovrebbe essere: bello il siparietto con l'arbitro, che a un certo punto con tipico humour francese gli chiede: "Richie, when will I see something good from yours?". Hartley come sempre viaggia su una lunghezza d'onda più alta degli altri: la partita è già tosta di per sè, intensa e piena di giocatori insanguinati, ma lui a fine di una ruck si butta sul capitano AB a peso morto, di proposito, e Brad Thorn gli fa presente che così non si fa con parole sue, sbattendolo a terra.
Al 65' Flood riporta i suoi al break. L'inerzia dello scontro è passata dalla parte del bulldog, che magari tanto lucido non è ma si lustra il muso e riparte all'attacco, mentre capitan Lewis Moody lascia il campo. Porta a casa anche una testata rifilatagli da Mealamu nella prima parte di gara. Non ci sarebbe da sorprendersi se saltassero fuori provvedimenti disciplinari in settimana.
Al minuto 67' entra Delon Armitage per Mark Cueto. Si presenta subito come parte del contesto determinato ma poco lucido, stende con un placcaggio alto Isaia Toeava, entrato al posto del re dei leziosismi Rokocoko: ok che magari è il modo migliore per fermarlo, ma non in quel momento di partita. Carter lo punisce riportando nuovamente gli ospiti a distanza di sicurezza, 26-16. Al 72' arriva il giallo per Kaino, entrato lateralmente in ruck: in realtà paga la serie di infringments deliberati posti in essere dai Tutti Neri appena gli avversari entrano nei loro 22m e provano a giocare multifase, e Poite al proposito si merita un bravò! Gli All Blacks paiono alle corde, gli inglesi si riversano in avanti e invece di mirare ai pali, vanno a giocarsi una rimessa nei 22m.
L'aria si surriscalda, gli assalti si susseguono, lo scontro è totale. Ed ecco che Hape può andare a segno al debutto contro la "sua" nazionale, ma Toeava si ripaga le spese di viaggio intervenendo con un placcaggio a spostare, non forse ortodosso ma efficace che lo butta fuori dal campo ad un passo dalla bandierina, manco fosse la Fracci impattata da John Cena. Carter sbaglia un drop di ripartenza dai propri 22, è evidente che la benzina è finita. Il cagnaccio prova l'ultimo azzanno, ma non arriva.
Finisce così, con gli All Blacks che pur dall'alto della loro manifesta e confermata superiorità corale e individuale dovranno sudarsi la gloria, in una Europa più primitiva e lenta degli Australi, ma ancora ricca di orgoglio e volontà di difendere le proprie case dai "barbari". Quanto all'Inghilterra, quella che appena sente un primo assaggio di Coppa del Mondo, si fa seria e indossa il vestito buono per una partita di rugby, è sempre la solita mastina, e basta guardare in faccia coach Martin Johnson per capire come mai.
Impressionismi (by Abr) - Si conferma la netta superiorità di squadra degli All Blacks su questa Inghilterra - del resto come dice il Socio, gli automatismi non si improvvisano - e la determinazione albionica a far sudare gli avversari fino alla fine, anche se molto superiori e loro indietro col programma. Da parte inglese, è stato sicuramente presuntuoso - o meglio, tipicamente da Martin Johnson - tentare di "scimmiottare" gli ospiti nel gioco, sfidandoli nei breakdown; vero è anche che, come sottolinea il Socio, gli All Blacks han sempre pronto un "Piano B" da mettere in atto in caso di necessità, anche avessero gli avversari adottato un atteggiamento più "chiuso" (magari, con Wilkinson disponibile ...). Epperò gl'inglesi, non mollano veramente mai ... ammirevoli: anche da queste piccole cose, si capisce come mai Churchill sia nato lì.
A livello individuale e di reparto, netta è stata la supremazia Tutta Nera nel cardine del gioco moderno, la terza linea: i due "gemelli" Moody e Croft col supporto dell'espertissimo Nick Easter si sono sacrificati in un lavoro letteralmente sanguinoso di tamponamento senza fine, ma sono rimasti lontani dalla efficacia scientifica, specialistica del trio Kaino-McCaw-Read. Anche i due dietro di loro, Palmer e Lawes, rimangono nell'anonimato del lavoro di quantità, mentre i loro colleghi AB "approfittano" dei propri guai fisici e schierano a fianco del preziosissimo thug Thorne una "terza terza ala", Sam Withelock preferito al più standard Boric, assicurandosi uno sfondatore in più nel gioco aperto. Davanti in prima linea finisce pari e patta grazie ai progressi nella tecnica di Owen Franks e per la sagacia di Tony Woodcock, anche se alla fine la bilancia delle mischie ordinate pende lievemente a favore degli inglesi, ma non così nettamente come probabilmente speravano. Tra i tallonatori, Hartley meriterebbe un discorsetto: grinta da vendere ma sempre sul filo del rasoio disciplinare. Poi uno si chiede come mai gli si preferisca il venerando Thompson.
In mediana, Youngs e Flood non inventano nulla nè riescono a razionalizzare granchè, nel clima di grande improvvisazione, di ottimismo della volontà che attanaglia gli inglesi; tanto che nel finale, un ancora meno logico ma più aggressivo Danny Care in mediana farà una buona figura. Sull'altro lato della barricata esordio da titolare positivo per Mahewson; poi c'è Dan Carter, non solo pronto all'incasso ma a sacrificarsi a portar palla e prender botte se serve, anche se alla fine perde lucidità e commette un paio di errori in fila e in inferiorità numerica, cosa che ad altre squadre - o con altri avversari, come capitato al suo sostituto Donald a Hong Kong - poteva costar carissimo.
In mezzo Tindall e Hape sono stati un po' l'anello debole: i varchi ogni tanto di aprono persino nelle maglie difensive All Blacks, ma quando succede devi approfittarne e non traccheggiare. E, a proposito di occasioni, a dieci centimetri dalla meta si vede la differenza tra un killer come Toeava e uno ancora ragazzotto come Hape. Davanti a loro un duo tutto muscoli e velocità ma poco integrato (anche per loro vale il discorso sugli automatismi), il solito Ma'a Nonu ricco di iniziativa e The Chosen One, SB Williams, che ha adottato un profilo molto basso, non era assatanato dall'idea di dover fare il fenomeno: s'è visto nella prima meta (suo il break) e in un paio di occasioni nel secondo tempo, poi molta difesa. Nel triangolo allargato le poche certezze inglesi: Cueto-Ashton-Foden sono una garanzia, e Delon Armitage lo si lasci a casa per carità di patria. Sul versante neozelandese, di Muliaina si può solo dire che ogni anno che passa è il suo anno migliore, mentre duplice è il giudizio sulle ali: Rokocoko-Gear, a vederli stasera uno si domanda come mai il primo ci sia sempre e il secondo mai, tra i Tutti Neri.
England: Ben Foden; Chris Ashton, Mike Tindall, Shontayne Hape, Mark Cueto; Toby Flood, Ben Youngs; Nick Easter, Lewis Moody (capt), Tom Croft; Tom Palmer, Courtney Lawes; Dan Cole, Steve Thompson, Andrew Sheridan
Replacements: Dylan Hartley, David Wilson, Dave Attwood, Hendrie Fourie, Danny Care, Charlie Hodgson, Delon Armitage
New Zealand: Mils Muliaina; Joe Rokocoko, Sonny Bill Williams, Ma'a Nonu, Hosea Gear; Dan Carter, Alby Mathewson; Kieran Read, Richie McCaw (capt), Jerome Kaino; Sam Whitelock, Brad Thorn; Owen Franks, Keven Mealamu, Tony Woodcock
Replacements: Hika Elliot, Ben Franks, Anthony Boric, Liam Messam, Andy Ellis, Stephen Donald, Isaia Toeava
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