mercoledì 24 novembre 2010

Inglesi e boeri alla resa dei conti

"Martin Johnson ha reso l'Inghilterra nuovamente una forza mondiale". Peter De Villiers lo ha detto chiaro e tondo in questi giorni che anticipano lo scontro di Twickenham tra padroni di casa e Sud Africa, uscita con le ossa rotte dal Murrayfield sabato scorso con la Scozia e quindi obbligata n rinunciare ai sogni di Grand Slam nel tour britannico. Ma rimane il revival della finale di Parigi del 2007 e allora poco importa che la trasferta ad Edimburgo sia andata male, perché inglesi e Springboks arrivano alla resa dei conti.
I primi hanno fatto lo scalpo all'Australia e hanno azzannato i polpacci degli All Blacks finché hanno potuto, retrocedendo in termini di prestazione con Samoa, ma è un dato di fatto che Johnson sia riuscito a incollare i pezzi di un vaso traballante sulle mensole. Del gruppo fa parte gente nuova che non pare intenzionata a indossare i panni della meteora. Il piano di gioco presenta delle varianti interessanti per cui non è solo una questione di snervare la difesa avversaria con un filotto di ruck, ma prevede di innescare i ball carrier per muovere palla al largo o almeno quel tanto che basta per dare respiro alla manovra, come si suol dire in codesti casi.
Quanti ai campioni del Mondo in carica, il 2010 è stato anno infausto e pieno di guai. La pressione mediatica si è fatta sentire in patria e non solo, come dimostrano gli obiettivi puntati su giocatori come Bakkies Botha per coglierne al volo un gesto indisciplinato: dettagli che lasciano il segno. De Villiers un giorno sì e l'altro no è sulla graticola, per rompergli ulteriormente le scatole hanno paragonato la sua nazionale a quella di Jake White e gli animi si sono fatti ancora più nervosi. A novembre sono comunque arrivate le vittorie su Irlanda e Galles. E nel 2009 si sono presi tutto quello che c'era in palio.
Cosa è successo in quest'anno, allora? Che gli Springboks hanno dovuto fare i conti, secondo l'ex apertura inglese Stuart Barnes, con due assenze pesanti: di un Fourie du Preez in piena forma e di Heinrich Broussow. E' come se ai neozelandesi mancassero Dan Carter e Richie McCaw e abbiamo avuto più volte dimostrazione di come gli All Blacks fatichino senza questi due uomini chiave.
Perché se Carter è il principe delle aperture, du Preez (nella foto mentre fugge all'inglese Paul Sackey) è l'equivalente tra i mediani di mischia, sottolinea Barnes, al punto che se Bryan Habana nel 2007 è stato nominato Man of The Year, molto lo deve al compagno di squadra che ha ottime qualità nel gioco al piede e nel dettare angoli e tempi di passaggi all'ala sudafricana, in affanno nell'ultimo periodo. Il 2009, continua Barnes, è stato l'anno di Brussow - e appunto del Sud Africa che ha conquistato il Tri Nations e la serie con i British & Irish Lions -, mentre lo scorso marzo la terza linea ha dovuto arrendersi ad un brutto infortunio al ginocchio che richiede tempo per rimettersi in carreggiata.
Perché poi, scorrendo il resto dell'elenco, troviamo un Victor Matfield che rimane una delle seconde linee più furbe, un Botha che al di là delle testate e dei colpi proibiti, è un braccatore di prima qualità, un Morné Steyn che ha saputo mantenere il suo livello eccellente anche nell'ultimo periodo, un Frans Steyn che può ricoprire diversi ruoli nei piani di coach De Villiers, sempre ammesso che federazione e Racing Metro non si scannino diplomaticamente.
Gli ingredienti ci sono, occorre solo quell'amalgama di cui in Nuova Zelanda sono gelosi custodi, arrivando ad un compromesso per concedere a Carter di giocare per qualche mese nella vecchia Europa. E se allora è sbagliato dare per spacciati i mastini inglesi prima dei grandi appuntamenti, conviene non sbilanciarsi nel predire il futuro dei giganti boeri.

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