La sfida accademica
Per lo più ce li immaginiamo a bordo delle rispettive barche e intenti a darsi battaglia a colpi di remi sul Tamigi, l’ultimo sabato di marzo come tradizione comanda. Ma gli studenti di Oxford e Cambridge, (due università al vertice della classifica degli atenei più prestigiosi al mondo, tanto che il loro ormai è un marchio vero e proprio) si affrontano pure su un campo da rugby, solitamente il secondo giovedì di dicembre.
Il 9 pomeriggio, nello stadio della nazionale inglese di Twickenham, disputeranno infatti il 129° Varsity Match che, tanto Oltremanica quanto negli Stati Uniti, è un appuntamento universitario diffuso in molte altre realtà.
L’affare è molto semplice: due squadre, diverse discipline, un calendario stagionale e il resto viene da sé. Nomi illustri che ne hanno fatto la storia, rivalità mai assopite, voglia di essere l’università migliore, magari non nelle graduatorie mondiali, ma almeno sul campo da gioco, che sia di calcio, da football, da rugby o un fiume.
Sfida sportiva, onore accademico - Oxford e Cambridge. I primi indossano la maglia color blue Navy con colletto chiaro, gli altri a strisce orizzontali bianco-azzurre. Quelli di Oxford hanno sul petto la corona che compare nel simbolo dell’università accompagnata dal motto «Dominus illuminatio mea».
Cambridge, invece, vanta il leone, elemento fondamentale nel logo per riconoscersi e contraddistinguersi dagli altri. Il Varsity Match applica al meglio il concetto latino del Mens sana in corpore sano, ragazzi che fanno funzionare il cervello al punto da meritarsi di entrare nel prestigioso club di “Oxbridge” e che al contempo ben si applicano nell’arte dello sport.
La prima edizione risale al 1872 e da lì in poi si è ripetuta ad eccezione degli anni di guerra, quando anche le brillanti e promettenti menti finirono uccise nelle trincee del ’15-’18 o sparse tra Europa, Asia e Africa nella Seconda guerra mondiale.
Ci sono partite rimaste nella leggenda: nel 1878 e 1879 furono posticipate per nebbia, mentre nel 1919 a mala pena i giocatori si scorgevano nel campo, giusto per rendere omaggio al famoso (e tradizionale) fumo di Londra. Nel 1981 (centesima contesa) si giocò nella neve.
Oxford insegue i rivali nei trionfi, con 53 incontri aggiudicati contro i 61 di Cambridge, che è uscita vincente un anno fa per 31 a 27. Nella formazione compariva l’ex nazionale australiano Dan Vickerman, ora studente di Agraria, ma la lista di nomi famosi nel pianeta ovale che hanno partecipato è lunga e compare anche quello di Nick Mallett, attuale allenatore sudafricano dell’Italia, che si impose con Oxford nel 1979.
Gli ottanta minuti magici all'inseguimento dell'ovale - «La cosa bella è che devi essere uno studente a tempo pieno per prendere parte», dichiarava orgogliosamente un anno fa Vickerman, che nel curriculum sportivo vanta due presenze ai Mondiali. Nessun professionista o nessun ingaggio appositamente orchestrato in vista del match: una pagina di rugby da vecchi tempi.
Il Varsity, recita uno slogan, è «l’unica partita di rugby che prepari per 364 giorni. Hai solo 80 minuti per giocarla e tutto dipende da lei: se vinci se in paradiso, se perdi all’inferno». Nella perfida Albione la storia della palla ovale ha due filoni principali.
C’è chi è diventato grande giocando nei college e nelle università e chi andava ad allenarsi dopo una giornata passata in miniera, soprattutto in Galles dove il rugby è una religione. E allora si va al di là della semplice partita. D’altronde, Oxford e Cambridge sono rimasti per secoli il ritrovo dell’upper class odiata, osteggiata e probabilmente invidiata da quella operaia.
Da lì è uscita la classe dirigente di un impero, che fossero avvocati, economisti, industriali, banchieri, matematici, scrittori, artisti: quelli che sedevano nella stanza dei bottoni, prevalentemente di animo conservatore. Tant’è l’intellettuale comunista Philip Toynbee negli anni ’40 se ne uscì con questa battuta: «Una bomba sotto il parcheggio Ovest di Twickenham durante una partita porrebbe fine al fascismo in Inghilterra per generazioni».
Sessant’anni dopo David Cameron, oggi Primo ministro conservatore laureato a Oxford, in un discorso riservò una citazione di riguardo in favore della figlia di Toynbee, editorialista di spicco nel giornalismo di sinistra. I tempi cambiano per tutti.
Dario Mazzocchi, Lettera43.it
Anche qui: RightNation.it
Il 9 pomeriggio, nello stadio della nazionale inglese di Twickenham, disputeranno infatti il 129° Varsity Match che, tanto Oltremanica quanto negli Stati Uniti, è un appuntamento universitario diffuso in molte altre realtà.
L’affare è molto semplice: due squadre, diverse discipline, un calendario stagionale e il resto viene da sé. Nomi illustri che ne hanno fatto la storia, rivalità mai assopite, voglia di essere l’università migliore, magari non nelle graduatorie mondiali, ma almeno sul campo da gioco, che sia di calcio, da football, da rugby o un fiume.
Sfida sportiva, onore accademico - Oxford e Cambridge. I primi indossano la maglia color blue Navy con colletto chiaro, gli altri a strisce orizzontali bianco-azzurre. Quelli di Oxford hanno sul petto la corona che compare nel simbolo dell’università accompagnata dal motto «Dominus illuminatio mea».
Cambridge, invece, vanta il leone, elemento fondamentale nel logo per riconoscersi e contraddistinguersi dagli altri. Il Varsity Match applica al meglio il concetto latino del Mens sana in corpore sano, ragazzi che fanno funzionare il cervello al punto da meritarsi di entrare nel prestigioso club di “Oxbridge” e che al contempo ben si applicano nell’arte dello sport.
La prima edizione risale al 1872 e da lì in poi si è ripetuta ad eccezione degli anni di guerra, quando anche le brillanti e promettenti menti finirono uccise nelle trincee del ’15-’18 o sparse tra Europa, Asia e Africa nella Seconda guerra mondiale.
Ci sono partite rimaste nella leggenda: nel 1878 e 1879 furono posticipate per nebbia, mentre nel 1919 a mala pena i giocatori si scorgevano nel campo, giusto per rendere omaggio al famoso (e tradizionale) fumo di Londra. Nel 1981 (centesima contesa) si giocò nella neve.
Oxford insegue i rivali nei trionfi, con 53 incontri aggiudicati contro i 61 di Cambridge, che è uscita vincente un anno fa per 31 a 27. Nella formazione compariva l’ex nazionale australiano Dan Vickerman, ora studente di Agraria, ma la lista di nomi famosi nel pianeta ovale che hanno partecipato è lunga e compare anche quello di Nick Mallett, attuale allenatore sudafricano dell’Italia, che si impose con Oxford nel 1979.
Gli ottanta minuti magici all'inseguimento dell'ovale - «La cosa bella è che devi essere uno studente a tempo pieno per prendere parte», dichiarava orgogliosamente un anno fa Vickerman, che nel curriculum sportivo vanta due presenze ai Mondiali. Nessun professionista o nessun ingaggio appositamente orchestrato in vista del match: una pagina di rugby da vecchi tempi.
Il Varsity, recita uno slogan, è «l’unica partita di rugby che prepari per 364 giorni. Hai solo 80 minuti per giocarla e tutto dipende da lei: se vinci se in paradiso, se perdi all’inferno». Nella perfida Albione la storia della palla ovale ha due filoni principali.
C’è chi è diventato grande giocando nei college e nelle università e chi andava ad allenarsi dopo una giornata passata in miniera, soprattutto in Galles dove il rugby è una religione. E allora si va al di là della semplice partita. D’altronde, Oxford e Cambridge sono rimasti per secoli il ritrovo dell’upper class odiata, osteggiata e probabilmente invidiata da quella operaia.
Da lì è uscita la classe dirigente di un impero, che fossero avvocati, economisti, industriali, banchieri, matematici, scrittori, artisti: quelli che sedevano nella stanza dei bottoni, prevalentemente di animo conservatore. Tant’è l’intellettuale comunista Philip Toynbee negli anni ’40 se ne uscì con questa battuta: «Una bomba sotto il parcheggio Ovest di Twickenham durante una partita porrebbe fine al fascismo in Inghilterra per generazioni».
Sessant’anni dopo David Cameron, oggi Primo ministro conservatore laureato a Oxford, in un discorso riservò una citazione di riguardo in favore della figlia di Toynbee, editorialista di spicco nel giornalismo di sinistra. I tempi cambiano per tutti.
Dario Mazzocchi, Lettera43.it
Anche qui: RightNation.it
6 commenti:
La battuta di Toynbee è rimasta celebre e dopotutto aveva una sua brillantezza. Rileggendola oggi non ho potuto non pensare che
ogni Paese ha i "fascisti" che si merita.
Beh, concordando con la brillantezza del detto, vien da dire che ogni Paese ha anche i "progressisti" che si merita ...
Mah... Personalmente, la battuta di Toynbee non mi pare così brillante rispetto a molte altre che arrivano da lassù. Tipo quelle di Churchill, ecco.
Penso sia proprio come dici tu, Abr. Ringo, quanto alla battuta va da sè che di fronte a Churchill non resta niente. Però concedimi che scomodarLo contro Toynbee è come usare un'atomica contro un formicaio.
Come si può competere con chi definì il generale Montgomery "Imbattibile nella sconfitta, insopportabile nella vittoria"?
;)
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