L'Inghilterra gioca a rugby, l'Italia all'impiccato
Six Nations - Twickenham
England 59 - 13 Italy
E che vuoi dire dopo averne prese quasi sessanta? Non ti resta granché, se non l’abbaglio iniziale dalle gambe corte, quello di un’Italia che osa affrontare l’Inghilterra di Martin Johnson sullo stesso piano della velocità, dello spingere a tutto gas, arrogandosi il diritto di impiccarsi con le proprie mani. Sia chiaro che questi inglesi sono pitbull con la bava alla bocca, hanno fame e sete di vittorie, di fare di questo Six Nations il ruggito in vista del Mondiale e tutti si battono per staccare il biglietto per la Nuova Zelanda. Ma visto che il rugby è quello sport crudo e cinico nel suo insieme dove nulla si crea dal nulla, il risultato finale dice 59-13 per i padroni di casa. Nel 2009 era finita 36-11: dimentichiamoci la partita del Flaminio di un anno fa, quando questa Inghilterra era ancora in fase di travaglio. Ora è cresciuta e ci costringe a dimenticare questo match disputato sotto il sole di Londra. A giocarlo altre dieci volte, avremmo perso dieci volte. Ma ci sono modi e modi.
Otto mete a una. La prima arriva dopo soli tre minuti, quando il leit motiv dell’incontro è già ben chiaro. L’agilità di Toby Flood nell’accelerare non appena fiuta lo spazio è la replica della prima meta fatta all’Inghilterra. Dopo due minuti di prevalenza Azzurra, prima palla in mano e l’apertura inglese si fionda sulla maglia larga lasciata tra Ghiraldini e Parisse e serve quella scheggia impazzita di Chris Ashton che va a marcare sotto i pali, con il solito tuffo d’angelo che coach Johnno così contento non fa. Gli Azzurri terranno finché potranno, per il primo quarto di gara. E rimangono agganciati con i piazzati di Mirco Bergamasco al 4’ e al 12’ minuto per colpa dell’indisciplina dei padroni di casa, che è però roba ben diversa rispetto a quella alla quale ci avevano abituati negli anni scorsi.
I mastini inglesi sono pure frenetici, accelerano e danno sfogo alla potenza sia con gli uomini del pack, ma soprattutto con i trequarti che possono godere di un folletto come Ben Youngs che altrettanto velocemente aziona la trasmissione del pallone, assistito da un uomo tutto fare come Flood. Che sarà anche gracilino rispetto ai compagni, ma ne ha preso tutto il sudore. Prendono il toro per le corna: alla prima carica, Martin Castrogiovanni viene portato a terra, tanto che il nostro pilone alla lunga va in sofferenza e quando i tori vanno in sofferenza, si innervosiscono.
In pochi minuti si scivola sul potabilissimo 10-6, c’è pure un break del capitano Sergio Parisse dal recupero di un ovale mal gestito dagli inglesi, che hanno voglia di segnare. Ma a vederla dall’altro lato, se con questi errori di gestualità rovinano il lavoro sul più bello, allo stesso tempo danno ai nostri l’idea che a spingere forsennatamente qualcosa se ne ricaverà. Peccato che poi negli attimi in cui occorre rifiatare e porre l’accampamento - leggi touch – la coperta è terribilmente corta. Ne perderemo ben otto alla fine. L’Inghilterra concede invece 17 turnover. Ma la logica scarna sta nel risultato, amen. L’Italia prova a muovere palla, non usa il piede e va a sbattere sul muro difensivo, in apnea.
E poi: al 22’ Mirco non trova i pali dalla piazzola per il meno uno; pochi istanti dopo, è sempre l’ala dal ciuffo biondo a intercettare un ovale scambiato a ridosso dell’area di meta, dopo che il pilone Dan Cole rompe troppo facilmente un placcaggio sulla destra e il gioco poi si sposta a sinistra. Mirco accelera ma si isola e viene recuperato dal branco dei pitbull a metà campo. E' l'ultimo sprazzo italiano prima del garbage time finale, a Twickenham gli inglesi hanno giocato a rugby. Così, al 24’, raggruppamento avanzante nei 22 dell’Italia, i bestioni tengono palla lì assimilando le nostre guardie, appena l’ovale è fuori il centro Shontayne Hape punta Orquera, il raddoppio di Sgarbi è tardivo, ricicla per Ashton ed è 17-6. Sette minuti più tardi, altra rimessa ai 5 metri, Cole nuovamente che fa strada per fissare la base, il tallonatore Dylan Harltey fa il palo e Youngs allarga e va a superare la trincea azzurra nel punto più debole, sempre sull’asse di Orquera con l’altra ala Mark Cueto. Simple minds, simple things: 24-6. A giocare a viso aperto, va messo in conto. I mastini in branco latrano braccano e ci chiudono tutti gli spazi.
Al 35’ il vigile Nick Easter sull’impatto con Valerio Bernabò ricicla per capitan Mike Tindall da una rimessa nei nostri 22 ed è 31-6. Tac, tac, tac. In dieci minuti tre mete, ma il peggio verrà nella ripresa, quando i mastini si infileranno da tutti i buchi.
Si va negli spogliatoi, il fiato è corto e le gambe molli. Ci sarebbero anche delle note positive, come la buona prestazione del mediano Fabio Semenzato che tenta di mettere in azione i suoi o di distanziare gli avversari e in un paio di occasioni dimostra coraggio e determinazione nel finire nelle fauci nemiche. Ma determinati e tremendamente concentrati in campo sono gli assaltatori vestiti di bianco che, come detto, nella ripresa mostrano abilità non da ridere nei suoi sherpa. Intanto al 43’ arriva il giallo per Castrogiovanni che impedisce di giocare veloce un ovale al solito Youngs e l’arbitro sudafricano Joubert non fa sconti: li farà più avanti a Matt Banahan per un paio di interventi su Pablo Canavosio e Luke McLean. Lo hanno innervosito dall’inizio, mettendogli una catena al collo non appena tentava un attacco. Il modus operandi inglese è solido anche in questo.
Solo appena il ritmo cala un po’ la truppa di Nick Mallett riesce a mettere in mostra parte del suo repertorio, tra cui il calcio al piede dalla base. È invece strenua la difesa sulla propria linea di meta, si guadagnano metri respingendo l’avanzata dei tank di Sua Maestà. Alla fine arriva un calcio per fallo di Bergamasco in ruck. Flood calcia in rimessa sui 5 metri e il gigante Simon Shaw appena entrato per Louis Deacon commette infrazione nella rimessa. È il periodo dei cambi: entra Santiago Dellapé per Carlo Del Fava, Robert Barbieri per Bernabò, c’è anche Andrea Lo Cicero perché siamo con un pilone in meno.
Gli inglesi sono imprecisi, però rimangono sempre in piedi nel placcaggio: potenzialmente, tutte situazioni che potrebbero creare ulteriori guai. E infatti, l’Italia non fa in tempo a tornare in quindici che arriva la prima meta della ripresa. Al 51’, calcio di punizione che l’Italia va a giocare nei 22 avversari. Viene vinta difficilmente da Parisse e quindi rubata e si aziona Jamie Haskell (che beffa per il nostro Numero 8, suo compagno di squadra a Parigi) che esplora e poi serve il fresco Steve Thompson che ha preso il posto di Hartley nel tallonaggio: quaranta metri bruciati. I mastini scalfiscono con più di dieci fasi, recuperano bene sui palloni fuori dalla ruck magari non perfetti, poi Banahan viene fermato ad un soffio dalla marcatura pesante da McLean e infine giunge per l’hat trick Ashton sotto i pali: 38-6. L’economista Alex Corbisiero intanto impatta sul nastro di Castro.
57’: attaccano, attaccano, accelerano, l’Italia è all’angolo, alle corde, maglie larghe e Danny Care brucia Lo Cicero negli ultimi metri. È tutto così semplice e tremendamente cinico: 45-6 con trasformazione Wilkinson che ha preso il posto di un elegante ed ordinatissimo Flood. Entrano Gonzalo Garcia per Alberto Sgarbi e Fabio Ongaro per Leonardo Ghiraldini che esce sconsolato con la responsabilità non tutta sua di otot rimesse sbagliate in fila. Poi chiamale coincidenze: al 69’, finalmente, la prima touch portata giù bene dagli Azzurri, che imbastiscono una driving maul nei 22 avversari, dove mettiamo piede per la prima volta. Il carretto va e proprio Ongaro marca la meta della bandiera, per il 45-13 con la trasformazione.
Si riprende e gli inglesi riconquistano il calcio di avvio, innescando ancora tutte le energie che loro hanno. Noi no. Stavolta la meta è di Haskell, che se la merita per come si è mosso per tutto il campo con il compagno di reparto Tom Wood. Non lo fermi neanche mozzandogli una gamba. Quando ormai mancano scampoli, l’Italia prova ad andare ancora a segno, muovendo palla al largo e per poco non si concretizza con il passaggio di McLean per Bergamirco intercettato da Ben Foden che però non controlla e la palla va in rimessa. Rimessa nei 22 inglesi, rubata anche questa dagli inglesi che ripartono come dannati e forsennati con Banahan a cottimo che fa mangiare la polvere a Canale e poi chiude tutto Ashton per la quarta meta. 59-13 al 76’.
Parisse lascia il campo zoppicando, anche McLean è acciaccato ed entra Kris Burton. La differenza in termini di consistenza e di cosa concedere oppure no si materializza al 79’ nel placcaggio portato da Wilkinson su Masi a cinque metri dall’area di meta. A caldo meglio fermarsi qui: a dare retta a chi pretende di volare alto, si cade a terra e ci si fa del male.
- Dimenticare Twickenham - by Abr
Da che parte si comincia per analizzare sessanta punti sul groppone? Avevamo posto come soglia di paragone l'ultimo passaggio inglese nel 2009, dove pure regalando un tempo agli avversari (Mauro Bergamasco e Andrea Marcato sacrificati come le Divisioni Folgore e Ariete a El Alamein), ne uscimmo con la metà del passivo odierno.
Emerge allora la prima chiave di lettura di questa gara: dato che noi tanto peggio di allora non siamo, se ne ricava che questa schiacciante vittoria vada prima di tutto attribuita alla mostruosa crescita tecnica, tattica, strategica e di mentalità degli inglesi. A tratti pareva di aver davanti gli All Blacks e non la squadra timida e conservativa vista al Flaminio non più tardi di un anno fa.
Va dato a a Martin (Johnson) quel che è di Martin: come ha smesso di incaponirsi sul blocco degli ex (anche se non rinuncia ai Tindall, Shaw e Wilko stesso), come ha iniziato a fidarsi da quanto emergeva dalla Premiership - il blocco arretrato dei Saints, la regìa dei Tigers, senza perdere la tradizionale ruvidità degli avanti - questa Inghilterra è decollata. E ora ha ragionevolmente solo la Francia (vedremo domani) tra sè e un mondiale in pole position.
Non è solo questione di scelte di Hape piuttosto che Foden o di Haskell e Palmer (due "stranieri", alla faccia dei diktat federali) piuttosto che Wood; non è manco solo questione di avanti spaccaossa che ti triturano le terze linee avversarie come fossero fuscelli. Nemmeno è solo "lavoro a cottimo", da parte di tutti per guadagnarsi tra la concorrenza agguerrita il posto per gli Antipodi - o solo l'orgoglio di un Ashton che risponde ai cazziatoni per le celebrazioni delle mete, marcandone quattro con due tuffi.
Non non è solo questo. Oltre a tutto questo, 'sti qui non si siedono sugli allori, non fanno i sufficienti: fanno il loro dannato homework ogni volta, preparano le partite, studiano gli avversari anche quelli scarsi, e quando scendono in campo con noi sanno di dover targettare Orquera piuttosto che aggredire in rimessa i lanci di Ghiraldini nel secondo tempo.
Chapeau a questa Inghilterra che ci "onora" prendendoci maledettamente sul serio per ottanta minuti e disossandoci per benino: la cosa più difficile per una compagine di classe e tradizione è la full immersion nell'umiltà, il non prendersi pause con nessuno, fregandosene se la merce da centellinare per le Grandi non sia il fiato ma le energie nervose: sanno che devono ancora dimostrare di esserlo e hanno ben chiaro cosa serva per poterlo dire (cioè emulare il 2003).
Come han fatto? Due cose principali: punti di incontro e linea del vantaggio aggrediti con la foga del branco di pitbull (vedi foto) e dal secondo tempo, assalto alla rimessa laterale: cioè prevenire il possesso e riconquistarlo immediatamente senza far prigionieri. In più come collateral, attenzione agli errori per concederci poche mischie (e quindi poterle gestire senza affanno). Il resto, mete e piazzati, vien da se', quando c'è la assoluta concentrazione e volontà indefessa di sollazzare la folla al Colosseo col sangue delle vittime sacrificali, azzannandole più forte appena pieghino le ginocchia, "onorandole" col loro massimo impegno (visione "barbarica" anglosassone, secondo cui il valore del nemico si celebra torturandolo, mentre la pietas cristiana raccomanderebbe di non infierire sul più debole). Che poi se vogliamo in estrema sintesi è, tieni alto il ritmo e la pressione, attaccali uno-contro-uno: la vecchia eterne killer app per gli Azzurri del rugby di tutte le epoche.
England 59 - 13 Italy
E che vuoi dire dopo averne prese quasi sessanta? Non ti resta granché, se non l’abbaglio iniziale dalle gambe corte, quello di un’Italia che osa affrontare l’Inghilterra di Martin Johnson sullo stesso piano della velocità, dello spingere a tutto gas, arrogandosi il diritto di impiccarsi con le proprie mani. Sia chiaro che questi inglesi sono pitbull con la bava alla bocca, hanno fame e sete di vittorie, di fare di questo Six Nations il ruggito in vista del Mondiale e tutti si battono per staccare il biglietto per la Nuova Zelanda. Ma visto che il rugby è quello sport crudo e cinico nel suo insieme dove nulla si crea dal nulla, il risultato finale dice 59-13 per i padroni di casa. Nel 2009 era finita 36-11: dimentichiamoci la partita del Flaminio di un anno fa, quando questa Inghilterra era ancora in fase di travaglio. Ora è cresciuta e ci costringe a dimenticare questo match disputato sotto il sole di Londra. A giocarlo altre dieci volte, avremmo perso dieci volte. Ma ci sono modi e modi.
Otto mete a una. La prima arriva dopo soli tre minuti, quando il leit motiv dell’incontro è già ben chiaro. L’agilità di Toby Flood nell’accelerare non appena fiuta lo spazio è la replica della prima meta fatta all’Inghilterra. Dopo due minuti di prevalenza Azzurra, prima palla in mano e l’apertura inglese si fionda sulla maglia larga lasciata tra Ghiraldini e Parisse e serve quella scheggia impazzita di Chris Ashton che va a marcare sotto i pali, con il solito tuffo d’angelo che coach Johnno così contento non fa. Gli Azzurri terranno finché potranno, per il primo quarto di gara. E rimangono agganciati con i piazzati di Mirco Bergamasco al 4’ e al 12’ minuto per colpa dell’indisciplina dei padroni di casa, che è però roba ben diversa rispetto a quella alla quale ci avevano abituati negli anni scorsi.
I mastini inglesi sono pure frenetici, accelerano e danno sfogo alla potenza sia con gli uomini del pack, ma soprattutto con i trequarti che possono godere di un folletto come Ben Youngs che altrettanto velocemente aziona la trasmissione del pallone, assistito da un uomo tutto fare come Flood. Che sarà anche gracilino rispetto ai compagni, ma ne ha preso tutto il sudore. Prendono il toro per le corna: alla prima carica, Martin Castrogiovanni viene portato a terra, tanto che il nostro pilone alla lunga va in sofferenza e quando i tori vanno in sofferenza, si innervosiscono.
In pochi minuti si scivola sul potabilissimo 10-6, c’è pure un break del capitano Sergio Parisse dal recupero di un ovale mal gestito dagli inglesi, che hanno voglia di segnare. Ma a vederla dall’altro lato, se con questi errori di gestualità rovinano il lavoro sul più bello, allo stesso tempo danno ai nostri l’idea che a spingere forsennatamente qualcosa se ne ricaverà. Peccato che poi negli attimi in cui occorre rifiatare e porre l’accampamento - leggi touch – la coperta è terribilmente corta. Ne perderemo ben otto alla fine. L’Inghilterra concede invece 17 turnover. Ma la logica scarna sta nel risultato, amen. L’Italia prova a muovere palla, non usa il piede e va a sbattere sul muro difensivo, in apnea.
E poi: al 22’ Mirco non trova i pali dalla piazzola per il meno uno; pochi istanti dopo, è sempre l’ala dal ciuffo biondo a intercettare un ovale scambiato a ridosso dell’area di meta, dopo che il pilone Dan Cole rompe troppo facilmente un placcaggio sulla destra e il gioco poi si sposta a sinistra. Mirco accelera ma si isola e viene recuperato dal branco dei pitbull a metà campo. E' l'ultimo sprazzo italiano prima del garbage time finale, a Twickenham gli inglesi hanno giocato a rugby. Così, al 24’, raggruppamento avanzante nei 22 dell’Italia, i bestioni tengono palla lì assimilando le nostre guardie, appena l’ovale è fuori il centro Shontayne Hape punta Orquera, il raddoppio di Sgarbi è tardivo, ricicla per Ashton ed è 17-6. Sette minuti più tardi, altra rimessa ai 5 metri, Cole nuovamente che fa strada per fissare la base, il tallonatore Dylan Harltey fa il palo e Youngs allarga e va a superare la trincea azzurra nel punto più debole, sempre sull’asse di Orquera con l’altra ala Mark Cueto. Simple minds, simple things: 24-6. A giocare a viso aperto, va messo in conto. I mastini in branco latrano braccano e ci chiudono tutti gli spazi.
Al 35’ il vigile Nick Easter sull’impatto con Valerio Bernabò ricicla per capitan Mike Tindall da una rimessa nei nostri 22 ed è 31-6. Tac, tac, tac. In dieci minuti tre mete, ma il peggio verrà nella ripresa, quando i mastini si infileranno da tutti i buchi.
Si va negli spogliatoi, il fiato è corto e le gambe molli. Ci sarebbero anche delle note positive, come la buona prestazione del mediano Fabio Semenzato che tenta di mettere in azione i suoi o di distanziare gli avversari e in un paio di occasioni dimostra coraggio e determinazione nel finire nelle fauci nemiche. Ma determinati e tremendamente concentrati in campo sono gli assaltatori vestiti di bianco che, come detto, nella ripresa mostrano abilità non da ridere nei suoi sherpa. Intanto al 43’ arriva il giallo per Castrogiovanni che impedisce di giocare veloce un ovale al solito Youngs e l’arbitro sudafricano Joubert non fa sconti: li farà più avanti a Matt Banahan per un paio di interventi su Pablo Canavosio e Luke McLean. Lo hanno innervosito dall’inizio, mettendogli una catena al collo non appena tentava un attacco. Il modus operandi inglese è solido anche in questo.
Solo appena il ritmo cala un po’ la truppa di Nick Mallett riesce a mettere in mostra parte del suo repertorio, tra cui il calcio al piede dalla base. È invece strenua la difesa sulla propria linea di meta, si guadagnano metri respingendo l’avanzata dei tank di Sua Maestà. Alla fine arriva un calcio per fallo di Bergamasco in ruck. Flood calcia in rimessa sui 5 metri e il gigante Simon Shaw appena entrato per Louis Deacon commette infrazione nella rimessa. È il periodo dei cambi: entra Santiago Dellapé per Carlo Del Fava, Robert Barbieri per Bernabò, c’è anche Andrea Lo Cicero perché siamo con un pilone in meno.
Gli inglesi sono imprecisi, però rimangono sempre in piedi nel placcaggio: potenzialmente, tutte situazioni che potrebbero creare ulteriori guai. E infatti, l’Italia non fa in tempo a tornare in quindici che arriva la prima meta della ripresa. Al 51’, calcio di punizione che l’Italia va a giocare nei 22 avversari. Viene vinta difficilmente da Parisse e quindi rubata e si aziona Jamie Haskell (che beffa per il nostro Numero 8, suo compagno di squadra a Parigi) che esplora e poi serve il fresco Steve Thompson che ha preso il posto di Hartley nel tallonaggio: quaranta metri bruciati. I mastini scalfiscono con più di dieci fasi, recuperano bene sui palloni fuori dalla ruck magari non perfetti, poi Banahan viene fermato ad un soffio dalla marcatura pesante da McLean e infine giunge per l’hat trick Ashton sotto i pali: 38-6. L’economista Alex Corbisiero intanto impatta sul nastro di Castro.
57’: attaccano, attaccano, accelerano, l’Italia è all’angolo, alle corde, maglie larghe e Danny Care brucia Lo Cicero negli ultimi metri. È tutto così semplice e tremendamente cinico: 45-6 con trasformazione Wilkinson che ha preso il posto di un elegante ed ordinatissimo Flood. Entrano Gonzalo Garcia per Alberto Sgarbi e Fabio Ongaro per Leonardo Ghiraldini che esce sconsolato con la responsabilità non tutta sua di otot rimesse sbagliate in fila. Poi chiamale coincidenze: al 69’, finalmente, la prima touch portata giù bene dagli Azzurri, che imbastiscono una driving maul nei 22 avversari, dove mettiamo piede per la prima volta. Il carretto va e proprio Ongaro marca la meta della bandiera, per il 45-13 con la trasformazione.
Si riprende e gli inglesi riconquistano il calcio di avvio, innescando ancora tutte le energie che loro hanno. Noi no. Stavolta la meta è di Haskell, che se la merita per come si è mosso per tutto il campo con il compagno di reparto Tom Wood. Non lo fermi neanche mozzandogli una gamba. Quando ormai mancano scampoli, l’Italia prova ad andare ancora a segno, muovendo palla al largo e per poco non si concretizza con il passaggio di McLean per Bergamirco intercettato da Ben Foden che però non controlla e la palla va in rimessa. Rimessa nei 22 inglesi, rubata anche questa dagli inglesi che ripartono come dannati e forsennati con Banahan a cottimo che fa mangiare la polvere a Canale e poi chiude tutto Ashton per la quarta meta. 59-13 al 76’.
Parisse lascia il campo zoppicando, anche McLean è acciaccato ed entra Kris Burton. La differenza in termini di consistenza e di cosa concedere oppure no si materializza al 79’ nel placcaggio portato da Wilkinson su Masi a cinque metri dall’area di meta. A caldo meglio fermarsi qui: a dare retta a chi pretende di volare alto, si cade a terra e ci si fa del male.
- Dimenticare Twickenham - by Abr
Da che parte si comincia per analizzare sessanta punti sul groppone? Avevamo posto come soglia di paragone l'ultimo passaggio inglese nel 2009, dove pure regalando un tempo agli avversari (Mauro Bergamasco e Andrea Marcato sacrificati come le Divisioni Folgore e Ariete a El Alamein), ne uscimmo con la metà del passivo odierno.
Emerge allora la prima chiave di lettura di questa gara: dato che noi tanto peggio di allora non siamo, se ne ricava che questa schiacciante vittoria vada prima di tutto attribuita alla mostruosa crescita tecnica, tattica, strategica e di mentalità degli inglesi. A tratti pareva di aver davanti gli All Blacks e non la squadra timida e conservativa vista al Flaminio non più tardi di un anno fa.
Va dato a a Martin (Johnson) quel che è di Martin: come ha smesso di incaponirsi sul blocco degli ex (anche se non rinuncia ai Tindall, Shaw e Wilko stesso), come ha iniziato a fidarsi da quanto emergeva dalla Premiership - il blocco arretrato dei Saints, la regìa dei Tigers, senza perdere la tradizionale ruvidità degli avanti - questa Inghilterra è decollata. E ora ha ragionevolmente solo la Francia (vedremo domani) tra sè e un mondiale in pole position.
Non è solo questione di scelte di Hape piuttosto che Foden o di Haskell e Palmer (due "stranieri", alla faccia dei diktat federali) piuttosto che Wood; non è manco solo questione di avanti spaccaossa che ti triturano le terze linee avversarie come fossero fuscelli. Nemmeno è solo "lavoro a cottimo", da parte di tutti per guadagnarsi tra la concorrenza agguerrita il posto per gli Antipodi - o solo l'orgoglio di un Ashton che risponde ai cazziatoni per le celebrazioni delle mete, marcandone quattro con due tuffi.
Non non è solo questo. Oltre a tutto questo, 'sti qui non si siedono sugli allori, non fanno i sufficienti: fanno il loro dannato homework ogni volta, preparano le partite, studiano gli avversari anche quelli scarsi, e quando scendono in campo con noi sanno di dover targettare Orquera piuttosto che aggredire in rimessa i lanci di Ghiraldini nel secondo tempo.
Chapeau a questa Inghilterra che ci "onora" prendendoci maledettamente sul serio per ottanta minuti e disossandoci per benino: la cosa più difficile per una compagine di classe e tradizione è la full immersion nell'umiltà, il non prendersi pause con nessuno, fregandosene se la merce da centellinare per le Grandi non sia il fiato ma le energie nervose: sanno che devono ancora dimostrare di esserlo e hanno ben chiaro cosa serva per poterlo dire (cioè emulare il 2003).
Come han fatto? Due cose principali: punti di incontro e linea del vantaggio aggrediti con la foga del branco di pitbull (vedi foto) e dal secondo tempo, assalto alla rimessa laterale: cioè prevenire il possesso e riconquistarlo immediatamente senza far prigionieri. In più come collateral, attenzione agli errori per concederci poche mischie (e quindi poterle gestire senza affanno). Il resto, mete e piazzati, vien da se', quando c'è la assoluta concentrazione e volontà indefessa di sollazzare la folla al Colosseo col sangue delle vittime sacrificali, azzannandole più forte appena pieghino le ginocchia, "onorandole" col loro massimo impegno (visione "barbarica" anglosassone, secondo cui il valore del nemico si celebra torturandolo, mentre la pietas cristiana raccomanderebbe di non infierire sul più debole). Che poi se vogliamo in estrema sintesi è, tieni alto il ritmo e la pressione, attaccali uno-contro-uno: la vecchia eterne killer app per gli Azzurri del rugby di tutte le epoche.
Come dice bene il Socio, dieci su dieci ne perderemmo contro una Inghilterra così cresciuta nella tattica e nella determinazione (nella tecnica individuale son sempre stati forti); ma il nostro approccio alla gara li ha agevolati e spiega la pesantezza della sconfitta.
A proposito di approccio: inutile prendersela con l'arbitro. Il sudafricano Joubert è uno dei più attenti e presenti in giro, e se ci ha presi male a tratti è perchè glie le abbiam fatte proprio girare. Alla fine ha fischiato più falli a nostro favore che contro. Rimane il giallo, meritato, a Castro: se nel finale ha concesso agl'inglesi comportamenti simili, va detto che per primi eravamo noi a invitarli a far falli, non piazzando mai per cercare rimesse che poi perdevamo.
Con una battuta un po' greve, si potrebbe infatti raffigurare l'atteggiamento degli Azzurri in questa gara come quello di una graziosa giovin minigonnata, una Vispa Teresa in giro in un barrio di Caracas. La minigonna sono una apertura votata all'attacco, poco alla difesa e costretta a partire venti metri indietro alla linea del vantaggio, una linea di avanti bradipa e poco smart (le frustrazioni di Castro, le chiamate in rimessa di Parisse e Del Fava, il rapporto con l'arbitro) e un piano di gioco che andrebbe bene contro la Romania, ma solo in casa. Il barrio è Twickenham.
Noi li possiamo battere, era il leit motif della vigilia (a Twickenham!), se estenderemo di più il gioco ai trequarti e se faremo la nostra parte offensiva. Ecco fatto: l'unico che è riuscito a farla la sua parte si chiama Semenzato, lo snodo primario delle azioni almeno perr come giochiamo noi (mai di contropiede, cioè mai in pressione sull'avversario); però prima - nell'approvvigionamento ovali - e dopo - l'assalto alla linea difensiva e punti di incontro - è un massacro, paragonabile come mostra il punteggio, alla gara di italiane in una trasferta di Heineken o Challenge Cup.
Siamo tornati indietro di tre anni, quando andavamo bel belli perchè altro non potevamo fare; ora invece andiamo là spavaldi con proclami d'attacco, e invece di non farli giocare li lasciamo fare! Come se fossero rimasti quelli di un anno fa. Eppure i filmati del Millennium se li saranno visti.
Che s'eran bevuti Mallett & Soci? Come han potuto dar credito alla spinta corale armiamoci-e-partite dei Federali (che peraltro lo vogliono "suicida" e lui lo sa), di ambienti dell'informazione collaterale e subalterna, sul tono del "abbiam perso con l'Irlanda perchè non ci abbiamo creduto". Ora Sturm und Drang, palla ai trequarti, lanciati come cavalleria polacca contro le Panzerdivisionen!
Quello che abbiamo saputo fare con questa Inghilterra è stato rimaner agganciati per venitrè minuti nel primo tempo e resistere per un quasi un quarto d'ora nel secondo (in inferiorità numerica). Non è poco, dato l'atteggiamento suicida, il focus sui nostri possessi (fatalmente persi) invece che sui loro e sulle fonti del gioco come la rimessa laterale. La muta famelica ci ha sbranato.
Di fatto, dopo la sfuriata del primo tempo, avremmo ancora potuto chiuderla dignitosamente. Ma prima la frustrazione di Castrogiovanni, proteso a impedire una partenza rapida (lo fan sempre, per saperlo e prepararsi bastava studiarli anche noi), poi la frana in rimessa laterale: nove perse e sei vinte su nostro lancio. La causa? Chiamate complicate e troppo rischiose, lanci difficili, avversari aggressivi. Questo ci ha impedito di tirare il fiato e di minacciarli con continuità: tre ne siamo riuscite a tirar giù in un tempo, due son diventate maul, una è entrata in meta.
Forse quello di Mallett era un bluff: con una terza linea così "potente" e poco mobile, con quel chiaro buco difensivo in mezzo, oggettivamente l'unica speranza un po' folle era di tenerci il possesso e non farli giocare. Invece 7 i minuti di possesso Azzurro contro i 20 inglesi nel primo tempo, i 12 nostri contro 21 nel secondo, raccontano tutta la storia. Difatti in una partita poco tattica per entrambe (30% dei possessi calciati), pur completando il 94% dei nostri placcaggi esattamente come con l'Irlanda: ci hanno infilato sul ritmo, prima che la nostra linea si formasse, loro si son potuti permettere un numero di errori superiore al nostro (11 contro 6), una maggior fallosità (18 penalty concessi contro 14) e di lasciarci anche avanzare (20 minuti nella nostra metà campo contro 21 nella loro nel primo tempo, 26 contro 21 nel secondo), tanto poi i contrasti che contavano li vincevano regolarmente: 38 possessi dentro ai nostri 22 metri contro i 14 nostri nella loro red zone. E poi c'è l'efficacia di una meta quasi ogni 4 possessi,contro una su 14.
Il comparto dove più abbiamo sofferto, dove la battaglia del possesso è stata persa non è la mediana e non è stato dietro: è quello dei loose forwards, col trio molto fisico ma poco mobile Bernabò-Zanni-Parisse decisamente messo sotto in modo totale e senza scuse da Wood- Haskell - Easter; quanto ai lock, il confronto Palmer - Deacon e poi Shaw vs. Geldenhuys- Del Fava, poi Dellapè è stato impari sia nelle fasi statiche che in quelle dinamiche.
Alla fine, quanto aveva chiesto Mallett è pur stato ottenuto: più passaggi (148 vs. la settantina della settimana scorsa) e più aperture dalle ruck verso i trequarti (addirittura 59 contro le 7 con l'Irlanda) e molto del merito va a Semenzato. Ma a che prezzo? Ironicamente ls nostra meta è arrivata da una maul, mentre la settimana scorsa era stata marcata coralmente dai trequarti ...
Guardano al prossimo futuro, temo che l'unico evento positivo della giornata - habemus medianum, con Canavosio a fare l'utility back di rincalzo nemmeno malaccio - venga dissolto nella malaugurata idea di insistere su questo modello di gioco "frontale", espansivo, destinato ad esaltare chi ha più esperienza e tradizioni di noi nel settore. Cioè ogni altra europea.
Sto pensando a un Galles che si esalta nel singolo Hook e riesce a recuperare una trincea difensiva decente, pur senza risolvere i suoi problemi e a una Scozia che ha rivelato in modo clamoroso i suoi limiti, quando messa di fronte a una difesa salda e attenta.
A proposito di approccio: inutile prendersela con l'arbitro. Il sudafricano Joubert è uno dei più attenti e presenti in giro, e se ci ha presi male a tratti è perchè glie le abbiam fatte proprio girare. Alla fine ha fischiato più falli a nostro favore che contro. Rimane il giallo, meritato, a Castro: se nel finale ha concesso agl'inglesi comportamenti simili, va detto che per primi eravamo noi a invitarli a far falli, non piazzando mai per cercare rimesse che poi perdevamo.
Con una battuta un po' greve, si potrebbe infatti raffigurare l'atteggiamento degli Azzurri in questa gara come quello di una graziosa giovin minigonnata, una Vispa Teresa in giro in un barrio di Caracas. La minigonna sono una apertura votata all'attacco, poco alla difesa e costretta a partire venti metri indietro alla linea del vantaggio, una linea di avanti bradipa e poco smart (le frustrazioni di Castro, le chiamate in rimessa di Parisse e Del Fava, il rapporto con l'arbitro) e un piano di gioco che andrebbe bene contro la Romania, ma solo in casa. Il barrio è Twickenham.
Noi li possiamo battere, era il leit motif della vigilia (a Twickenham!), se estenderemo di più il gioco ai trequarti e se faremo la nostra parte offensiva. Ecco fatto: l'unico che è riuscito a farla la sua parte si chiama Semenzato, lo snodo primario delle azioni almeno perr come giochiamo noi (mai di contropiede, cioè mai in pressione sull'avversario); però prima - nell'approvvigionamento ovali - e dopo - l'assalto alla linea difensiva e punti di incontro - è un massacro, paragonabile come mostra il punteggio, alla gara di italiane in una trasferta di Heineken o Challenge Cup.
Siamo tornati indietro di tre anni, quando andavamo bel belli perchè altro non potevamo fare; ora invece andiamo là spavaldi con proclami d'attacco, e invece di non farli giocare li lasciamo fare! Come se fossero rimasti quelli di un anno fa. Eppure i filmati del Millennium se li saranno visti.
Che s'eran bevuti Mallett & Soci? Come han potuto dar credito alla spinta corale armiamoci-e-partite dei Federali (che peraltro lo vogliono "suicida" e lui lo sa), di ambienti dell'informazione collaterale e subalterna, sul tono del "abbiam perso con l'Irlanda perchè non ci abbiamo creduto". Ora Sturm und Drang, palla ai trequarti, lanciati come cavalleria polacca contro le Panzerdivisionen!
Quello che abbiamo saputo fare con questa Inghilterra è stato rimaner agganciati per venitrè minuti nel primo tempo e resistere per un quasi un quarto d'ora nel secondo (in inferiorità numerica). Non è poco, dato l'atteggiamento suicida, il focus sui nostri possessi (fatalmente persi) invece che sui loro e sulle fonti del gioco come la rimessa laterale. La muta famelica ci ha sbranato.
Di fatto, dopo la sfuriata del primo tempo, avremmo ancora potuto chiuderla dignitosamente. Ma prima la frustrazione di Castrogiovanni, proteso a impedire una partenza rapida (lo fan sempre, per saperlo e prepararsi bastava studiarli anche noi), poi la frana in rimessa laterale: nove perse e sei vinte su nostro lancio. La causa? Chiamate complicate e troppo rischiose, lanci difficili, avversari aggressivi. Questo ci ha impedito di tirare il fiato e di minacciarli con continuità: tre ne siamo riuscite a tirar giù in un tempo, due son diventate maul, una è entrata in meta.
Forse quello di Mallett era un bluff: con una terza linea così "potente" e poco mobile, con quel chiaro buco difensivo in mezzo, oggettivamente l'unica speranza un po' folle era di tenerci il possesso e non farli giocare. Invece 7 i minuti di possesso Azzurro contro i 20 inglesi nel primo tempo, i 12 nostri contro 21 nel secondo, raccontano tutta la storia. Difatti in una partita poco tattica per entrambe (30% dei possessi calciati), pur completando il 94% dei nostri placcaggi esattamente come con l'Irlanda: ci hanno infilato sul ritmo, prima che la nostra linea si formasse, loro si son potuti permettere un numero di errori superiore al nostro (11 contro 6), una maggior fallosità (18 penalty concessi contro 14) e di lasciarci anche avanzare (20 minuti nella nostra metà campo contro 21 nella loro nel primo tempo, 26 contro 21 nel secondo), tanto poi i contrasti che contavano li vincevano regolarmente: 38 possessi dentro ai nostri 22 metri contro i 14 nostri nella loro red zone. E poi c'è l'efficacia di una meta quasi ogni 4 possessi,contro una su 14.
Il comparto dove più abbiamo sofferto, dove la battaglia del possesso è stata persa non è la mediana e non è stato dietro: è quello dei loose forwards, col trio molto fisico ma poco mobile Bernabò-Zanni-Parisse decisamente messo sotto in modo totale e senza scuse da Wood- Haskell - Easter; quanto ai lock, il confronto Palmer - Deacon e poi Shaw vs. Geldenhuys- Del Fava, poi Dellapè è stato impari sia nelle fasi statiche che in quelle dinamiche.
Alla fine, quanto aveva chiesto Mallett è pur stato ottenuto: più passaggi (148 vs. la settantina della settimana scorsa) e più aperture dalle ruck verso i trequarti (addirittura 59 contro le 7 con l'Irlanda) e molto del merito va a Semenzato. Ma a che prezzo? Ironicamente ls nostra meta è arrivata da una maul, mentre la settimana scorsa era stata marcata coralmente dai trequarti ...
Guardano al prossimo futuro, temo che l'unico evento positivo della giornata - habemus medianum, con Canavosio a fare l'utility back di rincalzo nemmeno malaccio - venga dissolto nella malaugurata idea di insistere su questo modello di gioco "frontale", espansivo, destinato ad esaltare chi ha più esperienza e tradizioni di noi nel settore. Cioè ogni altra europea.
Sto pensando a un Galles che si esalta nel singolo Hook e riesce a recuperare una trincea difensiva decente, pur senza risolvere i suoi problemi e a una Scozia che ha rivelato in modo clamoroso i suoi limiti, quando messa di fronte a una difesa salda e attenta.
14 commenti:
sono costretto a rimangiare tutto quello che ho detto su Semenzato, meglio di Tebaldi e Canavosio, Gori gli rimane superiore ma per i mondiali gli può fare da panchina.
Ghiraldini è andato totalmente fuori e non riuscivamo ad avere possessi in attacco, non l'ho mai visto così, ma perchè non cambiarlo prima?
Orquera ha dimenticato il piede a casa ed in difesa è un disastro
ah il dolce sapore dell'asfaltata!!
era da un po' di tempo che non lo sentivo più
peccato
Che Ghiraldini non ne abbia azzeccata una ok, ma gli errori in rimessa per come la vedo io, sono dipesi anche da chiamate alquanto incomprensibili. Forse Parisse era troppo impegnato a parlare con l'arbitro.
Orquera il piede non lo ha usato, perché credo che qualcuno dall'alto gli abbia detto di non usarlo. Dovevamo evidentemente giocare face to face. Si è visto.
@Fabian: eh sì, ma ha lo stesso sapore della sconfitta con l'Argentina di novembre. Mi spiego: l'Italia si è messa a giocare un rugby diverso dal suo, in una partita già difficile per sé, figuriamoci se si mette in testa di cambiare modus operandi, strategia, chiamala come vuoi. A giocare all'italiana contro l'Irlanda si è fatto bene, sfiorando per qualche secondo anche l'idea della vittoria. Invece contro dei mastini scatenati quelli si sono messi in testa di azzuffarsi con loro sullo stesso piano. Un po' pericoloso se invece di indossare i panni del bulldog al massimo metti quelli del bastardino.
si ho capito, possibile che gli ordini di regia siano stati questi, però voglio fare una riflessione: quello che tutti dicevano era che la nazionale non aveva un gioco tattico per la carenza al piede di Gower e che quindi il più delle volte non riusciva a risalire il campo, oggi, come nella prima partita (e quindi parlo anche di Burton) non si è visto un calcio tattico da parte dell'apertura o un calcio intelligente dietro una difesa inglese tante volte troppo piatta ed un'attacco italiano in inferiorità numerica (e ne ho viste di situazioni del genere) o ancora un calcio profondo per portar pressione...Gower sa solo placcare, Orquera sa solo attaccare, Burton solo calciare, allora come risolviamo questo dilemma?
Calcisticamente, si è pensato di avere per le mani il Barcellona, insomma. Ciò che dicono poi gli altri, sono anche affari loro e magari hanno pure ragione. Ma visto che spesso ci si lamenta che le squadre avversarie contro di noi giocano male (e chi se ne frega?), ecco: magari dipende pure dal fatto che l'Italia chiamiamola catenacciara a furia di rallentare il gioco, rompeva le scatole nonché le uova nel paniere e gli altri si innervosivano, risentendone tatticamente. Ripeto: e chi se ne frega?
Ah, altra considerazione: è da giugno che l'Inghilterra stava imbastendo il suo gioco, questo gioco? Nessuno ha almeno rivisto per un attimo le registrazioni delle partite precedenti, prima di ipotizzare?
@faggy (1): Eh, le persone intelligenti cambiano idea a fronte dei fatti.
Habemus mediamum, è l'unica notizia positiva di giornata; quanto a Gori credo che con quella spalla recidiva questi mondiali li vedrà dalla tribuna o alla tv.
Ghira: ha fatto la pessima figura di tutti, nel gioco aperto e in difesa (prima meta: buco suo e di Parisse). Nel lancio ha tentato di gestire le chiamate suicide di Parisse, ma non ne ha azzeccata una.
Non lo cambiano prima perchè Ongaro in difesa è poco meglio di Orquera, più di un quarto d'ora non regge: l'hai visto come passeggiava tenendosi accuratamente al largo in occasione della meta di Haskell?
Orquera: ha ragione il socio, ed è stato targettato sin dall'inizio.
Non era la sua partita. Chissà a chi è venuto in mente al posto di Burton che aveva mostrato solidità e affiatamento col primo centro e con l'openside flanker nella gara con l'Irlanda: solo a un pazzo che credesse di poter tenere noi il pallino a Twickenham.
@fabian: dici benissimo: con questa gara, combinazione di ascesa tecnico tattico fisica inglese e di arroganza tattica italiana, siamo tornati indietro di tre anni.
@faggy(2): quello che tutti dicevano erano pie illusioni, corroborate dalla "quasi vittoria" con l'Irlanda.
La realtà (a mio avviso, s'intende) è che dovremmo mantenere l'umiltà e giocare per quello che siamo, non inventarci gioco largo che poi finisce con McLean intercettato e Masi sbattuto fuori da Wilko.
Non è che sia vietato allargare, ma quello che ndovrebbe esser prioritario è il gioco offensivo degli avanti, e di tutti ma attorno al punto d'incontro e le ripartenze.
Il gioco al piede: inutile parlarne male se poi una azione su due o tre è un grubber del mediano e palla consegnata agli avversari. Almeno dalla a McLean che la cacci bene in fondo! Tutto inutile poi se non puoi ancorarti alla rimessa.
La coperta è corta a livello individuale: Orque è adatto all'attacco ma non alla difesa, Burton a mio avviso offre più opzioni ma nessuno è Flood o TrinhDuc.
pe rnon parlare della terza linea, oggi pazzescamente messa sotto dall'inizio alla fine (troppo grossi e poco mobili: loro invece, grossi e mobili, con Haskell gigantesco, Wood pure, Easter non ne parliamo).
Serve farsene una ragione e smetterla di guardare lgi altri, sviluppare il NOSTRO gioco sulle basi delle NOSTRE caratteristiche.
ieri, forse sarebbe bastato conoscere la mitologia greca: abbiamo fatto la fine di Icaro!!!
Girovagando nel web tanti sostenevano che il match di ieri sarebbe stata una cartina tornasole del gap fra noi e i più forti e più chiara di così......
Inoltre, molte critiche su Mallet (Gower, poco uso dei 3/4....)si sono rivelate infondate:un giorno anche lui potrà dire che non è un pirla.
ciao
Molto vero, paragone azzeccato: la cera e le piume delle ali si sono sciolte al pallido sole inglese.
Mallett verrà rimpianto molto presto dopo la sua dipartita, ma anche lui ha sbagliato: il suo torto ieri stato di ascoltare 'sti pazzi che credono veramente che noi si possa fare una partita imperniata sul possesso palla nostro a Twickenham!
Vien quasi da pensare che si stia comportando da CT "commissariato", tale è la marchioneria dell'errore commesso. Mallett è uno che ci ha portato in Sudafrica a tenere la trincea, ci ha fatto tarpare le ali all'Australia, è cresciuto in Sudafrica mica in Galles: di che sa tutta 'sta improvvida propensione al largo da parte sua?
Altro che spogliatoio tutto con lui, mi pare francamente il contrario: ridotto ad avvallare le scelte di gioco da matti, prese da uno apogliatoio storico che certo non teme sostituzioni indipendentemente da chi arrivi al suo posto(parliamo di Parisse e delle sue chiamate regolarmente cervelllotiche? Sarò blasfemo a sostenere che preferivo la terza linea dell'anno scorso senza di lui?). E dietro sul carro, esperti e opinionisti tutti.
Oltre alla mitologia greca penso sempre a Sun Tsu e a Napoleone, quelli che insegnavano a evitare l'attacco frontale a un nemico non più forte ma anche solo pari a noi ...
Aggiungo che a legger certe analisi in giro, si capisce come mai l'informazione rugbistica si affidi perlopiù al gossip corridoiesco e al copia e incolla dei tabellini dei risultati.
Oltre ai grandi progetti di risiko armiamoci-e-partite.
E' un gioco, oltre che un mondo, dificile ...
parisse:terza senza di lui forse no,ma sicuramente con un altro capitano, che pensi anche alla partita della squadra e non solo alla sua(ma questo lo andiamo dicendo da tempo).quello che ha detto castro"siamo una squadra debole di testa"mi sembra una pietra tombale sulla sua leadership.
in realtà abbiamo giocato con 2 terze:una seria ed un "venezia" per quanto di grande talento.poi c'era dal lato chiuso una appena discreta ma lenta seconda linea, il tutto contro 3 inglesi che ne valgono 4 normali.
orquera è un ragazzo sveglio,di buona gestualità ma impresentabile a questi livelli per qualità difensive e stazza.
sgarbi è uno dei meglio fichi del bigoncio ma,per quanto se ne noti l'applicazione,ha ancora qualche limite difensivo e in 3 diverse occasioni non l'ha aiutato a chiudere il canale 10\12 e,in un caso,era addirittura di spalle.
del fava mi sembra in costante involuzione.
questa squadra ha bisogno di menti lucide e di nuovi riferimenti:a.pavanello su tutti ma anche ghiraldini(per quanto inguardabile sabato),zanni e potenzialmente gori,benvenuti,forse addirittura mirco.
in fondo al di là del fascino personale non serve molto per capitanare una squadra:serve avere la testa lucida x dire al nove: le prossime teniamole dentro o alle tue seconde sul calcio di ripresa del gioco "fuori i maroni che dobbiamo tirarla giù noi".ma se uno è già impegnato a pensare se la prossima biglia deve fare un passaggio dietro la schiena o il passo dell'oca,poi rischia di perdere di vista la visione d'insieme.
gli enfants gates alla parisse o mauroberga hanno grandi doti e vanno benone in campo ma lontani dalla stanza dei bottoni.
scusate se torno spesso sul discorso della leadership,ma con una gestione più lucida una parte non trascurabile delle onorevoli sconfitte degli ultimi anni sarebbero state vittorie,inclusa l'irlanda sabato scorso.
solo a titolo esemplificativo e senza allontanarci dal patrio suolo, con una gestione meno lucida 3\4 delle 7 vittorie di treviso in magners sarebbero state sconfitte.
disclaimer:non sono parente,nè amico ,nè ho il piacere di conoscere antonio pavanello.
Tagus, se anche tu fossi parente o amico di Pavanello, potresti scriverne ciò che credi. Detto questo, com'è che è? La coperta è corta?
Se posso permettermi di dire una cosetta, al di là di questo piacevole dibattito, è che molti secondo me che scrivono di rugby non ci hanno mai giocato. Non è una piccola cosa da niente e non si pretende di aver fatto chissà quale carriera - c'è tra gli autori di questo blog chi faceva pena nell'ultima categoria possibile e da quello che ne so non è il Socio.
Non che il sottoscritto intenda proibire a chi non ha mai giocato di dire la sua, perché l'intuizione e l'intelligenza non dipendono dal minutaggio. Però ecco, così: mi levo questo pensierino che non è assolutamente rivolto a nessuno dei nostri lettori.
Molto d'accordo con te tue considerazione tra il passionale e la fredda analisi razionale, tagus. Dissento un filino solo su sgarbi: in gara uno fece una gran bella difesa contro gli irlandesi, stavolta è evidente (nella seconda meta lampante) che abbia zoppicato, ma forse non c'era intesa con Orquera, forse è abituato a un minimo di resistenza almeno iniziale da parte dell'apertura.
Sulla sua posizione, mi rimane la domanda di fondo: in una squadra che non fa offload manco a morire, che ci fa lui primo centro? Perchè non al secondo con Canale dentro? Proprio solo da guardai deve fare? Mah ...
Sul "fattore testa" poi, lo sottolineiamo da tempo, unici e isolati mi pare nel panorama della "critica" diciamo così.
Ecco, se posso articolare dal mio punto di vista il pensiero del Socio, non è coi lettori e le loro opinioni che bisognerebbe prendersela, quanto piuttosto con certi "scrittori" di opinioni.
E il rugby italiano non riesce a fare il salto di qualità, proprio col contributo manageriale di gente con più di 100 caps.
Esattamente per quello che dice tagus: una volta che ti sei allenato e hai imparato ad eseguire con sacrificio, la differenza tra una bella prestazione e una sconfitta, onorevole quanto ti pare, sta in un paio di decisioni poco meditate. Sta nella testa.
Sulla terza linea: Parisse vorrebbe tanto essere Harinor ma non lo è. Senza gradi di capitano e con la lingua mozzata, io lo "degraderei" blindside alla Bonnaire, a saltare e a far da ball carrier e ogni tanto, visto che gli piace, trequarti aggiunto oltre che copertura del campo arretrato; Zanni nr.8 alla Easter, Derby se c'è openside o in mancanza sua e di Favaro (che pure mi fa venire i brividi, stile Udine ...) un altro fetcher/grillotalpa: a parte Robert Barbieri che se appena appena respira non lo lascerei mai fuori, chi c'é di sano? Padrò, Pavanello Enrico? Filippucci? Tutti grossi e lenti anche loro?
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