I piedi, i francesi e un fratello maggiore. Parla Andrea Masi
Pochi fronzoli, tanta consistenza, determinazione e spirito di gruppo. L'amico e collega L'Aretino ha intervistato Andrea Masi, uno dei protagonisti della vittoria azzurra ai danni della Francia di sabato scorso al Flaminio. RR si pregia di fornirvi la chiacchierata tra i due, nella quale il trequarti parla di tutto, anche di Nick Mallett.
Andrea Masi. Orgoglio aquilano, 30 anni il 30 marzo, approdato a 60 caps, azzurro più giovane a esordire nel dopoguerra, in meta contro la Francia (nella foto), Man of The Match e in lizza per il titolo di miglior giocatore del torneo (insieme a Fabio Semenzato, Toby Flood e Chris Ashton: ma Andrea inizia il week-end finale con il numero di voti più alto). Quasi un predestinato.
«No, semplicemente ha vinto tutta la squadra. Io sono particolarmente contento del mio Sei Nazioni perché ho giocato spesso fuori ruolo, sia all’ala sia estremo, mentre io per esperienza e attitudine mi vedo meglio centro. Tuttavia giocare estremo mi piace davvero».
Si ispira a qualcuno? In Francia ha giocato a Biarritz, dove Serge Blanco è diventato un “15” da leggenda.
«No, no, impossibile paragonarsi a lui, quello è un mostro sacro».
Certo, come apertura non la vedremo più.
«Non credo, penso sia impossibile, con Mallett non ne abbiamo mai più riparlato, però comunque mi è servito, un’esperienza che mi ha fatto crescere e trovare un approccio alle partite molto più rilassato; giocando apertura la pressione è enorme, ora vado in campo più tranquillo».
Tanto tranquillo che su alcuni forum qualcuno ha chiesto la sua beatificazione o almeno la sua clonazione.
«Che matti. Lo striscione della clonazione venne fuori quattro o cinque anni fa a L’Aquila, la mia città: mi ha fatto molto ridere».
Clonami tutto tranne i piedi…
«Eh sì, ho due sinistri…».
Ma perché dice che non sa calciare?
«Non è proprio così, anche perché qualche volta mi capita. Il fatto è che io non calcio di frequente, in trenta partite prenderò cinque calci, giocando centro. Con la Francia ho fatto quattro calci, di cui uno negativo».
È stata una tattica concordata con il ct?
«No, assolutamente, Nick non mi aveva dato direttive, “vedi tu” mi aveva detto, ero libero di interpretare».
Domani invece dall’altra parte ci sarà Paterson.
«Uno che il piede lo usa bene, sbaglia pochissimo e dai piazzati è regolare. Bisognerà essere disciplinati, perché fare falli stupidi significa regalare alla Scozia ogni 3 punti ogni volta».
La metteranno sul piano fisico, soprattutto gli avanti, visto anche che il coach della mischia, Massimo Cuttitta, ci conosce bene?
«La butteranno anche su quello, ma non credo che sarà una “rissa”».
I cambi di formazione di Mallett sono dunque in funzione di un match fisico anche dell’Italia?
«Non so, di sicuro uno dei pregi che stiamo acquisendo è di avere finalmente la possibilità di tante alternative nelle rotazioni».
Lei che gioca in Francia (nel Racing Métro 92 Paris, con Lo Cicero, Festuccia, Mirco Bergamasco e Dellapè) lo percepisce un miglioramento grazie alla Celtic League?
«Eccome. Prima le partite le perdevamo negli ultimi venti minuti, spesso eravamo cotti e crollavamo. Adesso, Inghilterra a parte, abbiamo dimostrato che le gare finiscono alla fine. La Celtic serve molto, ti dà il ritmo delle grandi nazioni, sia di fisico che di testa. Abituarsi a giocare contro avversari di grande qualità ti aiuta a capire come gestire al meglio un match».
C’è aria di colpaccio 2007?
«Voliamo basso, se però facciamo una prestazione di alto livello come quella di sabato scorso, le conseguenze potrebbero essere interessanti».
Intanto avete salvato la panchina di Mallett (in scadenza a fine ottobre, già in pole per sostituirlo il francese Brunel).
«No, sono tutte chiacchiere messe in giro dalla stampa e da chi sta al di fuori. Tutto il gruppo è con lui e lui ha fiducia in noi. La prima cosa che ci chiede è il coraggio la voglia, non tanto robe tattiche perché sa che purtroppo in alcune cose siamo limitati».
Un rapporto quasi da fratello maggiore.
«Sì, perché è sempre molto protettivo con noi in pubblico, davanti alla stampo non si fa problemi a metterci la faccia per difenderci e si prende le sue responsabilità ma nello spogliatoio sa essere anche molto duro. Ed è quello di cui abbiamo bisogno».
Scozia a parte, il ritorno a Parigi come sarà?
«Mah, Chabal non l’ho sentito, ma io tornerò con molta tranquillità, senza tanti sfottò; fa parte del mio carattere, ma è anche vero che in dieci anni e passa che gioco in nazionale c’avranno dato 500 punti, quindi che vuoi prendere in giro… però erano molto incazzati».
Andrea Masi. Orgoglio aquilano, 30 anni il 30 marzo, approdato a 60 caps, azzurro più giovane a esordire nel dopoguerra, in meta contro la Francia (nella foto), Man of The Match e in lizza per il titolo di miglior giocatore del torneo (insieme a Fabio Semenzato, Toby Flood e Chris Ashton: ma Andrea inizia il week-end finale con il numero di voti più alto). Quasi un predestinato.
«No, semplicemente ha vinto tutta la squadra. Io sono particolarmente contento del mio Sei Nazioni perché ho giocato spesso fuori ruolo, sia all’ala sia estremo, mentre io per esperienza e attitudine mi vedo meglio centro. Tuttavia giocare estremo mi piace davvero».
Si ispira a qualcuno? In Francia ha giocato a Biarritz, dove Serge Blanco è diventato un “15” da leggenda.
«No, no, impossibile paragonarsi a lui, quello è un mostro sacro».
Certo, come apertura non la vedremo più.
«Non credo, penso sia impossibile, con Mallett non ne abbiamo mai più riparlato, però comunque mi è servito, un’esperienza che mi ha fatto crescere e trovare un approccio alle partite molto più rilassato; giocando apertura la pressione è enorme, ora vado in campo più tranquillo».
Tanto tranquillo che su alcuni forum qualcuno ha chiesto la sua beatificazione o almeno la sua clonazione.
«Che matti. Lo striscione della clonazione venne fuori quattro o cinque anni fa a L’Aquila, la mia città: mi ha fatto molto ridere».
Clonami tutto tranne i piedi…
«Eh sì, ho due sinistri…».
Ma perché dice che non sa calciare?
«Non è proprio così, anche perché qualche volta mi capita. Il fatto è che io non calcio di frequente, in trenta partite prenderò cinque calci, giocando centro. Con la Francia ho fatto quattro calci, di cui uno negativo».
È stata una tattica concordata con il ct?
«No, assolutamente, Nick non mi aveva dato direttive, “vedi tu” mi aveva detto, ero libero di interpretare».
Domani invece dall’altra parte ci sarà Paterson.
«Uno che il piede lo usa bene, sbaglia pochissimo e dai piazzati è regolare. Bisognerà essere disciplinati, perché fare falli stupidi significa regalare alla Scozia ogni 3 punti ogni volta».
La metteranno sul piano fisico, soprattutto gli avanti, visto anche che il coach della mischia, Massimo Cuttitta, ci conosce bene?
«La butteranno anche su quello, ma non credo che sarà una “rissa”».
I cambi di formazione di Mallett sono dunque in funzione di un match fisico anche dell’Italia?
«Non so, di sicuro uno dei pregi che stiamo acquisendo è di avere finalmente la possibilità di tante alternative nelle rotazioni».
Lei che gioca in Francia (nel Racing Métro 92 Paris, con Lo Cicero, Festuccia, Mirco Bergamasco e Dellapè) lo percepisce un miglioramento grazie alla Celtic League?
«Eccome. Prima le partite le perdevamo negli ultimi venti minuti, spesso eravamo cotti e crollavamo. Adesso, Inghilterra a parte, abbiamo dimostrato che le gare finiscono alla fine. La Celtic serve molto, ti dà il ritmo delle grandi nazioni, sia di fisico che di testa. Abituarsi a giocare contro avversari di grande qualità ti aiuta a capire come gestire al meglio un match».
C’è aria di colpaccio 2007?
«Voliamo basso, se però facciamo una prestazione di alto livello come quella di sabato scorso, le conseguenze potrebbero essere interessanti».
Intanto avete salvato la panchina di Mallett (in scadenza a fine ottobre, già in pole per sostituirlo il francese Brunel).
«No, sono tutte chiacchiere messe in giro dalla stampa e da chi sta al di fuori. Tutto il gruppo è con lui e lui ha fiducia in noi. La prima cosa che ci chiede è il coraggio la voglia, non tanto robe tattiche perché sa che purtroppo in alcune cose siamo limitati».
Un rapporto quasi da fratello maggiore.
«Sì, perché è sempre molto protettivo con noi in pubblico, davanti alla stampo non si fa problemi a metterci la faccia per difenderci e si prende le sue responsabilità ma nello spogliatoio sa essere anche molto duro. Ed è quello di cui abbiamo bisogno».
Scozia a parte, il ritorno a Parigi come sarà?
«Mah, Chabal non l’ho sentito, ma io tornerò con molta tranquillità, senza tanti sfottò; fa parte del mio carattere, ma è anche vero che in dieci anni e passa che gioco in nazionale c’avranno dato 500 punti, quindi che vuoi prendere in giro… però erano molto incazzati».
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