mercoledì 30 marzo 2011

Salary Cap, problemi e soluzioni

Interessanti "words of wisdom", estendibili al di fuori dai confini nazionali britannici, quelle espresse da Keith Barwell, Chairman dei Northampton Saints, riferite al sempre più scottante problema del salary cap. Considerazioni che cascano a fagiolo visto che a giorni sta per ripartire, o meglio si sta per aprire la fase "vera", quella "seria" delle la stagione delle Coppe Europee.
E' noto che alcuni club inglesi, quelli di prima linea che vorrebbero competere al massimo anche sul fronte europeo, lamentano la difficoltà a farlo con un tetto imposto al monte salari di 4 milioni di sterline (4.5 milioni di euro).
Il paragone impietoso è con le possibilità di alcuni club francesi, dove il campionato ha cap più alto, per giunta recentemente ritoccato verso l'alto e dove oltretutto non pesa una parte del salario, "defiscalizzato" per norma statale in tutti gli sport come in Spagna (per tener conto figurativo degli "oneri di immagine" a carico del club).
Non sono solo i francesi comunque, anche gli apparentemente più "poveri" Irlanda e Galles - più la prima che la seconda - hanno allestito nel tempo sistemi alternativi basati su franchigie protezionistico-nazionaliste, finanziate dalla Federazione cioè dallo Stato, per aggirare il problema e rendersi competitive in Europa.
Più che i "grandi nomi" stranieri alla Dan Carter che in Inghilterra non si vedono da tempo, il riflesso più evidente del problema salary cap è il taglio nel depth delle squadre: "Due anni fa avevamo un roster con 39 atleti, l'anno scorso 35, quest'anno 31", afferma Barwell per i suoi Saints. Un po' pochini per far Premiership, LV=Cup e Coppa Europa sempre ad alto livello: si spiegano così certe loro defaillance in precisi momenti della stagione.
Il punto che la polemica fa emergere è però la spaccatura interna più che il confronto internazionale: la Lega inglese è restìa ad alzare il salary cap non perchè dorma senza accorgersi della disparità dei propri club con francesi o irlandesi, o peggio li voglia intenzionalmente danneggiare, forse in nome del bene della nazionale come si farebbe in Italia; non è ovviamente così, il punto è che la maggioranza dei club inglesi, tolti i Tigers di Leicester da sempre all'offensiva sul tema, i Saints e ora pare anche Bath, non vuole che il Cap si tocchi.
"E' una regola sciocca, noi vi siamo vincolati perchè la maggioranza l'ha votata", ha dichiarato Barwell, " ma tale volontà è fondata sul fatto che la maggioranza delle società non sta guadagnando e punta alla sopravvivenza invece che all'espansione".
E' una considerazione brutale ma del tutto veritiera e soprattutto assolutamente esportabile. "Abbiamo avuto il salary cap per 120 anni, si chiamava dilettantismo" aggiunge polemico il chairman "ed era una situazione ridicola. Ancor più rischia di diventarlo oggi, visto che facciamo fatica a tenere uno come Courtney Lawes (nella foto) che fino a pochi anni fa era un ragazzo nella nostra Accademia".

Se la regola è che in Lega comandi la maggioranza, non si vedono molte vie d'uscita. Alla fine, tra la deregulation francese tutto-ai-club e il nazional-protezionismo che funziona in Irlanda ma ingenera qualche problema in Galles e sta clamorosamente fallendo in Scozia (vedi cessione dei nazionali verso altri campionati), forse i fatti vanno mostrando che, tra lotte comunali a colpi di furbate atomiche tra guelfi e ghibellini, i più "saggi" nel trovare un compromesso per gestire appropriatamente il problema, siamo stati del tutto involontariamente proprio noi italiani?
Due livelli nettamente distinti: le "spendaccione" in orbita celtica - e in Europa - e tutte le altre a giorcarsela in casa (e non a caso, del tutto svogliatamente in Challenge), tra "fioi" a portafoglio pressocchè paritario e deficitario, senza fare una lira e senza possibilità espansive. Panorama tanto asfittico che ora se ne sta chiamando fuori anche chi aveva provato a fare il gran salto al business sportivo senza averne le possibilità se non suggestive e "sistemiche" - quelle si presenti "in Abbondanza" (come del resto tipico nella sotto-capitalizzata imprenditoria italica, navigante a vista e a colpi d'immaginazione - dicesi "creatività").
Lo strano modello "all'italiana" continuerà la sua delicata ed equilibrista strada almeno per i prossimi due-tre anni, salvo alzate d'ingegno prossime venture: uno dei temi all'ordine del giorno del prossimo consiglio federale italiano è proprio "rapporti tra Fir e club in Magners League", oltre all'organizzazione dei Tornei Eccellenti dell'anno prossimo e la retromarcia nel caso oriundi, dopo le decisioni avverse alla Fir dei ricorsi al Coni.

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