Fisici imballati e rotture a Twickenham
Spettacolo di tipo diverso da Auckland, quello andato in scena a Twickenham davanti a ottantamila spettatori. Il warm up pomeridiano tra Inghilterra e Galles ha visto imporsi la squadra di casa con uno scarto minimo, 23-19 (su RR Tumblr il tabellino gara), lasciando ambo i fronti contenti e scontenti. Notare, l'Inghilterra sfoggiava la famosa e ipertecnologica maglia tutta nera delle polemiche.
Del resto le differenze d'impostazione tra rugby Boreale e Australe non le scopriamo oggi, così come il diverso ranking (prima e seconda vs. quinta e settima), per non parlare della fase di culmine stagionale down under, contrapposto allo stadio preliminare di quassù, caratterizzato da potenziamento, grandi carichi e conseguente affaticamento.
Beninteso, pur non raggiungendo certo i livelli di spettacolarità del TriNations la partita non è stata per nulla spregevole per l'intenditore e l'appassionato, almeno per circa tre quarti.
Quel che non è andato sono gli attesi recuperi: lato gallese s'attendeva la 101' partita di Stephen Jones, annunciato in formazione ma bloccato in fase di riscaldamento; lato inglese c'era il rientro di capitan Lewis Moody, mai più visto in nazionale dal 2010 e portato fuori a braccia nel secondo tempo, per quello che sembra una ricaduta dei problemi al ginocchio che l'hanno afflitto per tutto l'anno. Nel secondo tempo poi c'è l'infortunio grave (frattura della caviglia) per il gallese Morgan Stoddart (nella foto), imprevisto estremo al posto di Rhys Priestland spostato apertura per coprire l'assenza di Jones.
Agli infortuni s'aggiunge la generale sensazione di "imballamento fisico" per tutti, naturale a questo stadio di potenziamento della preparazione d'inizio stagione, anticipata per via dei Mondiali.
Sulla base di tali non lusinghiere premesse, inutile dilungarsi troppo sulla cronaca della gara (sempre su RR Tumblr gli highlights): lo scopo di questi warm up è sciogliere gli ultimi dubbi (ogni selezionatore ne ha almeno un paio) vedendo i candidati sul campo, far accumulare kilometri di gioco e affiatamento e provare qualche schema.
Sul piano della partita in sè, i padroni di casa han vinto meritatamente anche se han subito tre mete marcandone solo due. In cambio han sfoggiato un Jonny Wilkinson regale, autore di tredici punti con due drop, che riducono a undici i punti il vantaggio di Dan Carter nella classifica dei migliori marcatori di tutti i tempi nei Test Match.
Dopo un iniziale vantaggio per un penalty centrato da Wilko - che rimarrà l'unico concesso dai gallesi nella gara - i Dragoni vanno in meta smarcando al largo destro la giovane e potente ala George North, già messosi in luce nel paio di gare giocate al Sei Nazioni, il quale si porta nell'angolino l'ovale e il Tuilagi a lui appeso. Prima della mezz'ora gli inglesi si riportano avanti con la meta dell'altro "straniero" (nel senso di ingaggiato da club estero) James Haskell, oggi nr.8 per la prima volta, vista la presenza in terza ala dei titolari, i "fratelli" biondi Moody e Croft. I teammates del pack girano una mischia ai cinque metri, all'ex collega di Parisse ora in Giappone, non resta che raccogliere l'ovale e portarlo in zona punti.
I padroni di casa non molleranno più il vantaggio per tutta la partita, arrivando a condurre 20-7 dopo la meta di un altro giocatore atteso, il debuttante Manu Tuilagi, lanciato a inizio del secondo tempo in mezzo ai pali da un taglio all'interno di Wilko, che lo serve alla perfezione dopo aver attirato su di sè la difesa.
Si fa un gran parlare in Inghilterra degli "expatriates" (Wilkinson, Haskell e Palmer) cui verrà negato di far parte della nazionale nel futuro; meno si parla degli "stranieri" che pullulano nella nazionale di Martin Johnson: dal samoano Tuilagi al compagno di reparto neozelandese Riki Flutey, come Kiwi è(ra) il tallonatore Dylan Harley, (italo-)americano il pilone Alex Corbisiero e sudafricano il collega Matt Stevens; ma anche Delon Armitage sarebbe caraibico di nascita e sudafricano Simon Shaw. Never mind.
Tornando alla gara, dopo qualche cambio,,tra i quali è decisivo l'ingresso in campo dell'ex capitano Ryan Jones, il Galles riprende un po' di concretezza e trova più spazi nella difesa inglese; ne approfittano il sempiterno Shane Williams e nuovamente North, ma vengono tenuti a distanza di sicurezza dai drop di Jonno. Al che i gallesi potrebbero recriminare per non aver mai piazzato le punizioni guadagnate (anche se Priestland lo fa quando sostituisce St.Jones nel club); sia come sia, la partita termina senza soverchi rischi per gli inglesi.
Sul piano del gioco, per quel che s'è intravisto nell'imballamento fisico generale che attualmente riguarda tutti i Boreali (lo sperimenteremo anche nell'Italia il prossimo weekend, contrapposta a una squadra asiatica già rodata dall'Asian Five Nations e Pacific Nations Cup, entrambe vinti dal Giappone), gli inglesi sono parsi meno "sperimentali" dei gallesi, assortiti con più logica e sulla base di un disegno più evidente.
Nel primo tempo s'è dato un gran daffare il desaparecido Armitage, alla caccia di un posto di vice estremo certamente già appaltato a Ben Foden, mentre nel secondo s'è un po' nascosto; anche Matt Banahan all'ala ha dato tutto come sa (cioè dritto per dritto), mentre Mark Cueto ha fatto il suo, Johnson lo conosce bene. L'inedita coppia centrale Tuilagi-Flutey s'è messa in evidenza nel modo migliore, soprattutto il samoano è quasi certo di aver strappato il biglietto per la Nuova Zelanda anche se difensivamente non è parso il massimo (sovente mira troppo in alto). In mediana Danny Care ha mostrato ancora la sua affidabilità, mentre come detto Wilkinson s'è confermato alternativa a Flutey e non solo per la solita precisione e i drop, ma anche per le opzioni alla mano e per un paio di placcaggi durissimi subiti senza batter ciglio.
Quanto al pack, Jonhson non scherza mai: i due biondi Moody e Croft han confermato che il posto da titolari alle ali è loro se solo stanno in piedi (fantastico il targeting del primo sull'apertura avversaria), anche se le alternative non mancherebbero, mentre Haskell riciclato skipper non è male. Che dire dei lock, con Shaw signore delle palle alte in campo aperto e Palmer re delle rimesse; anche qui le alternative non mancano, ora incombe l'altro straniero, il biondo sudafricano Mouritz Botha e fuori c'è un certo Shontayne Hape. In prima linea solo Hartley ha il posto garantito, anche se ultimamente non appare più brillante come poco tempo fa; stavolta è toccato a Corbisiero e Stevens, Wilson è entrato dalla panca e fuori sono rimasti Sheridan e Cole, coppia titolare al Sei Nazioni vinto quest'anno.
Per i gallesi, in evidenza le ali: George North, il ventenne sarà una delle rivelazioni (già rivelate) del Mondiale e il sempre spiritato veterano Shane Williams. Bene anche Sam Walburton in terza linea, Brad Davies in seconda e Huw Bennett in mezzo alla prima: uno per reparto del pack, e solo nel gioco aperto. Il resto è ampiamente rivedibile, a partire da amalgama e gioco collettivo: pressochè bocciato il debuttante skipper Toby Faletau, confusionario e spaesato, poco positivi i centri Jonathan Davies e Jamie Roberts, schiantatisi regolarmente sulla diga Flutey e sulle mobilissime terze linee inglesi. S'è vsto poco il resto del pack e lo sfortunato estremo dell'ultimo minuto Stoddart, giocatosi Mondiale e stagione. Discorso a parte per la mediana: se Priestland onestamente non ci pare di livello mondiale, Mike Phillips che pure il dna del campione lo avrebbe, non ci ha mai convinto e continua a farlo. E' bravo, potente, ricco di iniziativa ma non è "moderno" come Genia nè diligente come Cowan o Care, nè tantomeno come Weepu par sapere quel che fa quando improvvisa. Unica cosa sua da segnalare, il tentativo stile football americano di marcar meta passando sopra a una ruck sulla linea di meta. Fallito. Gatland di tutti i selezionatiri europei sembra quello con le idee ancora meno sedimentate in molti reparti; se ne riparlerà al ritorno, al Millennium.
Del resto le differenze d'impostazione tra rugby Boreale e Australe non le scopriamo oggi, così come il diverso ranking (prima e seconda vs. quinta e settima), per non parlare della fase di culmine stagionale down under, contrapposto allo stadio preliminare di quassù, caratterizzato da potenziamento, grandi carichi e conseguente affaticamento.
Beninteso, pur non raggiungendo certo i livelli di spettacolarità del TriNations la partita non è stata per nulla spregevole per l'intenditore e l'appassionato, almeno per circa tre quarti.
Quel che non è andato sono gli attesi recuperi: lato gallese s'attendeva la 101' partita di Stephen Jones, annunciato in formazione ma bloccato in fase di riscaldamento; lato inglese c'era il rientro di capitan Lewis Moody, mai più visto in nazionale dal 2010 e portato fuori a braccia nel secondo tempo, per quello che sembra una ricaduta dei problemi al ginocchio che l'hanno afflitto per tutto l'anno. Nel secondo tempo poi c'è l'infortunio grave (frattura della caviglia) per il gallese Morgan Stoddart (nella foto), imprevisto estremo al posto di Rhys Priestland spostato apertura per coprire l'assenza di Jones.
Agli infortuni s'aggiunge la generale sensazione di "imballamento fisico" per tutti, naturale a questo stadio di potenziamento della preparazione d'inizio stagione, anticipata per via dei Mondiali.
Sulla base di tali non lusinghiere premesse, inutile dilungarsi troppo sulla cronaca della gara (sempre su RR Tumblr gli highlights): lo scopo di questi warm up è sciogliere gli ultimi dubbi (ogni selezionatore ne ha almeno un paio) vedendo i candidati sul campo, far accumulare kilometri di gioco e affiatamento e provare qualche schema.
Sul piano della partita in sè, i padroni di casa han vinto meritatamente anche se han subito tre mete marcandone solo due. In cambio han sfoggiato un Jonny Wilkinson regale, autore di tredici punti con due drop, che riducono a undici i punti il vantaggio di Dan Carter nella classifica dei migliori marcatori di tutti i tempi nei Test Match.
Dopo un iniziale vantaggio per un penalty centrato da Wilko - che rimarrà l'unico concesso dai gallesi nella gara - i Dragoni vanno in meta smarcando al largo destro la giovane e potente ala George North, già messosi in luce nel paio di gare giocate al Sei Nazioni, il quale si porta nell'angolino l'ovale e il Tuilagi a lui appeso. Prima della mezz'ora gli inglesi si riportano avanti con la meta dell'altro "straniero" (nel senso di ingaggiato da club estero) James Haskell, oggi nr.8 per la prima volta, vista la presenza in terza ala dei titolari, i "fratelli" biondi Moody e Croft. I teammates del pack girano una mischia ai cinque metri, all'ex collega di Parisse ora in Giappone, non resta che raccogliere l'ovale e portarlo in zona punti.
I padroni di casa non molleranno più il vantaggio per tutta la partita, arrivando a condurre 20-7 dopo la meta di un altro giocatore atteso, il debuttante Manu Tuilagi, lanciato a inizio del secondo tempo in mezzo ai pali da un taglio all'interno di Wilko, che lo serve alla perfezione dopo aver attirato su di sè la difesa.
Si fa un gran parlare in Inghilterra degli "expatriates" (Wilkinson, Haskell e Palmer) cui verrà negato di far parte della nazionale nel futuro; meno si parla degli "stranieri" che pullulano nella nazionale di Martin Johnson: dal samoano Tuilagi al compagno di reparto neozelandese Riki Flutey, come Kiwi è(ra) il tallonatore Dylan Harley, (italo-)americano il pilone Alex Corbisiero e sudafricano il collega Matt Stevens; ma anche Delon Armitage sarebbe caraibico di nascita e sudafricano Simon Shaw. Never mind.
Tornando alla gara, dopo qualche cambio,,tra i quali è decisivo l'ingresso in campo dell'ex capitano Ryan Jones, il Galles riprende un po' di concretezza e trova più spazi nella difesa inglese; ne approfittano il sempiterno Shane Williams e nuovamente North, ma vengono tenuti a distanza di sicurezza dai drop di Jonno. Al che i gallesi potrebbero recriminare per non aver mai piazzato le punizioni guadagnate (anche se Priestland lo fa quando sostituisce St.Jones nel club); sia come sia, la partita termina senza soverchi rischi per gli inglesi.
Sul piano del gioco, per quel che s'è intravisto nell'imballamento fisico generale che attualmente riguarda tutti i Boreali (lo sperimenteremo anche nell'Italia il prossimo weekend, contrapposta a una squadra asiatica già rodata dall'Asian Five Nations e Pacific Nations Cup, entrambe vinti dal Giappone), gli inglesi sono parsi meno "sperimentali" dei gallesi, assortiti con più logica e sulla base di un disegno più evidente.
Nel primo tempo s'è dato un gran daffare il desaparecido Armitage, alla caccia di un posto di vice estremo certamente già appaltato a Ben Foden, mentre nel secondo s'è un po' nascosto; anche Matt Banahan all'ala ha dato tutto come sa (cioè dritto per dritto), mentre Mark Cueto ha fatto il suo, Johnson lo conosce bene. L'inedita coppia centrale Tuilagi-Flutey s'è messa in evidenza nel modo migliore, soprattutto il samoano è quasi certo di aver strappato il biglietto per la Nuova Zelanda anche se difensivamente non è parso il massimo (sovente mira troppo in alto). In mediana Danny Care ha mostrato ancora la sua affidabilità, mentre come detto Wilkinson s'è confermato alternativa a Flutey e non solo per la solita precisione e i drop, ma anche per le opzioni alla mano e per un paio di placcaggi durissimi subiti senza batter ciglio.
Quanto al pack, Jonhson non scherza mai: i due biondi Moody e Croft han confermato che il posto da titolari alle ali è loro se solo stanno in piedi (fantastico il targeting del primo sull'apertura avversaria), anche se le alternative non mancherebbero, mentre Haskell riciclato skipper non è male. Che dire dei lock, con Shaw signore delle palle alte in campo aperto e Palmer re delle rimesse; anche qui le alternative non mancano, ora incombe l'altro straniero, il biondo sudafricano Mouritz Botha e fuori c'è un certo Shontayne Hape. In prima linea solo Hartley ha il posto garantito, anche se ultimamente non appare più brillante come poco tempo fa; stavolta è toccato a Corbisiero e Stevens, Wilson è entrato dalla panca e fuori sono rimasti Sheridan e Cole, coppia titolare al Sei Nazioni vinto quest'anno.
Per i gallesi, in evidenza le ali: George North, il ventenne sarà una delle rivelazioni (già rivelate) del Mondiale e il sempre spiritato veterano Shane Williams. Bene anche Sam Walburton in terza linea, Brad Davies in seconda e Huw Bennett in mezzo alla prima: uno per reparto del pack, e solo nel gioco aperto. Il resto è ampiamente rivedibile, a partire da amalgama e gioco collettivo: pressochè bocciato il debuttante skipper Toby Faletau, confusionario e spaesato, poco positivi i centri Jonathan Davies e Jamie Roberts, schiantatisi regolarmente sulla diga Flutey e sulle mobilissime terze linee inglesi. S'è vsto poco il resto del pack e lo sfortunato estremo dell'ultimo minuto Stoddart, giocatosi Mondiale e stagione. Discorso a parte per la mediana: se Priestland onestamente non ci pare di livello mondiale, Mike Phillips che pure il dna del campione lo avrebbe, non ci ha mai convinto e continua a farlo. E' bravo, potente, ricco di iniziativa ma non è "moderno" come Genia nè diligente come Cowan o Care, nè tantomeno come Weepu par sapere quel che fa quando improvvisa. Unica cosa sua da segnalare, il tentativo stile football americano di marcar meta passando sopra a una ruck sulla linea di meta. Fallito. Gatland di tutti i selezionatiri europei sembra quello con le idee ancora meno sedimentate in molti reparti; se ne riparlerà al ritorno, al Millennium.
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