Rugb-rica mondiale - meno tre: la pressione
Rugb-rica a tre giorni dal decollo mondiale: il tema odierno è la pressione, riassumibile in un casa dolce casa, non sempre è vero. (La foto la spieghiamo nel proseguo, ovviamente ha a che fare con la cura della pressione).
Chi ha giocato lo sa, avere il pubblico dalla tua parte è un reale force multiplier. Del resto non è casuale che la Nuova Zelanda abbia vinto il suo unico mondiale proprio in casa. E ora quasi per disperazione provano a rifarlo, 24 anni dopo.
Il punto è che forse le cose sono cambiate. Nel 1987 il rugby non era ancora Pro; oggi la posta si fa sempre più alta e quindi la pressione sale. Del resto non è una novità: dei sei mondiali disputati sinora, solo due sono stati vinti dalla compagine di casa.
Furono il primo appunto, 1987 in Nuova Zelanda (e come si sa fin da bimbi, la prima non conta) e quello sudafricano del 1995. Questo fu un evento che travalicò abbondantemente i confini dello sport, è rimasto giustamente legato più all'immagine del leader politico visionario Nelson Mandela che a un team o a un fuoriclasse. Tanto da generare libri, miti moderni e film di Hollywood. Molti di coloro che avrebbero magari meritato di più seppero saggiamente farsene una ragione, altri invece ancora pochi mesi fa protestavano la loro indignazione un po' stolida (Berbizier).
E' una storia a sè, più grande del rugby, che fortunatamente ha compensato lo sport che l'ha "ospitata" facendo ancora più scintillante la sua epica; una storia complessivamente a lieto fine e mutualmente benefica.
Edizioni 1987 e 1995 a parte, nel 1991 a Twickenham vinse l'Australia di David Campese: dovette solo che assistere al suicidio dell'Inghilterra; nel 1999 ancora in Gran Bretagna il Mondiale fu appannaggio nuovamente dell'Australia di Stephen Larkham e Matt Burke: stavolta i Wallabies strapazzarono in finale una Francia appagata come Bombolo dopo una notte con Pamela Anderson (avevan dato tutto nel "Italia-Germania 4-3" del rugby, una delle partite più epiche della storia, la semifinale con gli All Blacks che trovate integrale, 1h20 min di video astenersi frettolosi, su RR Tumblr).
Nel 2003 in Australia ci fu la rivincita inglese col famoso drop in extra time di Jonny Wilkinson; nel 2007 in Francia fu la volta del Sudafrica tutto schiacciasassi - e scrambling defence.
La lezione che se ne trae è che se il pubblico amico aiuta molto durante le partite, è altrettanto vero che fuori dallo stadio, prima e dopo le tenzoni, essere al centro dell'attenzione disturba, non aiuta a staccare, la pressione dell'opinione pubblica non ti molla mai. Squadra tesa non vince i tornei importanti. Di volta in volta, giocare in casa si rivelò fatale per Francia, Inghilterra, Galles, Australia; sarà nefasto anche per la Nuova Zelanda o sono abituati alla pressione? Dopotutto si tratta di una terra più che appassionata, ossessionata dal rugby.
E' un effetto che può riguardare anche altri Kiwis come Robbie Deans e Warren Gatland. Quando tornano in Patria si accendono i riflettori, a maggior ragione se c'è da iniziare a immaginare un dopo Graham Henry. Se 'sti due non fossero capaci di bloccare il travaso di pressione verso i loro team, sarebbero guai grossi.
Il più consapevole del rischio pare essere Deans: approfittando della pool non trascendentale con Usa, Russia, Italia e Irlanda, mentre gli altri si spaccano le ossa e anche qualcos'altro tra campi da gioco e macchinari per i dorsali, lui ha scelto come buen retiro durante la fase a gironi un isolato piccolo paradiso terrestre nell'Isola del Sud: Hanmer Springs, vedere per credere (nella foto). Speriamo solo che i Wallabies arrivino alla prima gara un po' "bolliti" dalle sorgenti calde ...
Mondiale significa posta elevata, la pressione implica scordarsi dei voli pindarici, dei tuffi in meta e dei passaggi no-look. Se non altro per rispetto verso le coronarie dei coach. A meno che in squadra non ci siano degli incoscienti:e in questo l'età aiuta, a non rendersi conto della pressione.
Ulteriore indizio, la squadra più giovane tra le 20 ai Mondiali risulta essere l'Australia: pur alzata dai 35 di Radike Samo, l'età media risulta un po' meno di 26 anni, col capitano Horwill, 26enne appunto, il più giovane appuntato dopo Sam Warburton del Galles, 22enne. L'Australia è anche quella che ha meno reduci da Francia 2007: solo otto su trenta, contro i 13 degli All Blacks, i 15 dell'Italia, i 18 del Sudafrica. Curiosità, il più giovane in assoluto si chiama Taylor Paris, canadese che compirà 19 anni durante il Mondiale.
Sul versante opposto dell'esperienza, la squadra mediamente più anziana è ... ta taaa, l'Irlanda, sopra i 29. La media delle medie è 28 anni: Nuova Zelanda, Francia, Inghilterra, Sudafrica. Il giocatore più anziano è il No. 8 russo Vyacheslav Grachev, 38 anni, qualche mese in più di Simon Shaw. Il recordman di partite mondiali giocate è Jonny Wilkinson, 15 gare a partire dal 1999.
Pressione è anche prender atto che ai mondiali le intenzioni di gioco espansivo valgono forse all'inizio contro le minnows, ma presto vanno a farsi benedire: posta in gioco elevatata, torneo lungo, occhio agli infortuni etc.etc.
Lo esplicita un australiano, l'ex nazionale Brian Smith oggi allenatore dell'attacco inglese: strategia costante del XV della Rosa sarà marcare due mete il prima possibile, dopodichè si difende attivamente il risultato, cercando di metter l'avversario sotto pressione per fargli concedere "punti facili".
Statisticamente nei Test Match chi segni due mete vince nel 90% dei casi, afferma l'assistant di Martin Johnson. E questo è quanto: ai mondiali conta vincere, la parola chiave è l'aziendale produttività, poco importa di dove arrivino le mete o se negli ultimi anni l'Inghilterra abbia assemblato una backline in grado di produrre più gioco di prima, e non ci si deve neppure far distrarre dallo specchietto per allodole dei punti di bonus offensivo.
Segnare poco e presto, poi lavorare di pressione davanti, a guadagnar punizioni e drop: un game plan ben chiaro e trasparente. Se non altro ci sono quelle due prime mete da marcare, sennò sarebbe Sudafrica ... o Italia (che però, tsk, il piazzatore non ce l'ha).
Altri numeri paiono portar acqua al drastico mulino di Smith. La squadra che ha segnato più mete al mondiale è di gran lunga New Zealand, 232 mete in 36 partite: in media oltre sei mete a gara (l'Italia, che s'è trovata gli All Blacks per cinque volte sul suo percorso mondiale, ha sempre dato un sostanzioso contributo). Però gli AB di mondiali non ne han vinti quanti ne avrebbero voluti; parafrasando un detto in voga nel football americano, le mete staccano biglietti ma sono i calci piazzati a vincere le partite.
Dopo, molto dopo arriva l'Australia (153 mete in 34 partite), la Francia (142 su 36) e l'Inghilterra (111 su 25). Il Sudafrica ha saltato i primi due Mondiali, ha 94 mete in 24 partite.
Dulcis in fundo, sempre a proposito di pressione, essa può risultare negativa anche quando non c'è. Casca a fagiuolo la dichiarazione del presidentissimo Dondi, il quale riafferma che gli Azzurri devono arrivare ai quarti di finale, ma ha specificato che in ogni caso non sarà in Nuova Zelanda durante la disputa del Girone. Forse perché secondo lui hanno il 30% di possibilità, "che comunque sono tante". Come un papà che dica al figlio, devi vincere la partita a tennis ma non verrò a vederla: ciao core ....
Il peggio arriva dopo: «Ma se andiamo ai quarti, beh…, sarà quasi impossibile non partire. Comunque soffrirò anche qui e poi i ragazzi sanno che io sono sempre vicino a loro». Tipicamente italico, gli ufficiali stanno al Circolo, mica in prima linea; sempre molto indaffarati, salvo mollar tutto e correre a sostegno ... del vincitore. Se foste Castrogiovanni cosa gli direste quando arriva?
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