domenica 16 ottobre 2011

La finale australe a posteriori


Nella seconda semifinale del Mondiale tutto va come preventivato all'Eden Park: l'unico vero nemico potenziale per i padroni di casa, la pressione che fa tremare le ginocchia, s'è sublimata per la delizia della folla in furia combattiva su ogni palla, che alla fine è puro desire di arrivare alla Coppa. Chi abbia giocato in uno sport di squadra e a rugby in particolare lo sa: giocare in casa o fuori son quasi sport differenti; lo sa bene Quade Cooper, trasformato nell'immaginario collettivo locale in viscido traditore, monodimensionale kattivo da film, fischiato senza remissione e irriso a ogni errore. Che barbari.

La prima chiave della partita è quindi la furia combattiva da opliti dorici,  incarnata da una terza linea All Blacks che guida tutto il pack ma che dico, tutti e quindici, a scagliarsi su ogni palla non in possesso, vagante o meno, contendibile o meno. Tutti danno il loro contributo senza risparmio, oltre a Kaino e Read si distinguono Brad Thorn, Owen Franks e Keven Mealamu, ma il simbolo è capitan Richie McCaw, autentico portabandiera che si mette in evidenza dando l'esempio, buttandosi per primo.
La seconda chiave è la serenità e gli skills con cui i padroni di casa giocano il gioco tattico. Quando lo fan loro è intelligente alleggerimento o chip and chase, quando lo fanno gli altri è vile aerial ping pong; tant'è, sta di fatto che i backs degli All Blacks il piede lo sanno usare, probabilmente sono la squadra che usa il gioco tattico di più di tutte e nel modo più efficace, contando su piedi buoni e su "cacciatori" che partono sotto e conquistano, come facevano i Boks quand'eran giovani, facendo partire la loro pressione da premesse territoriali solide. Israel Dagg (nella foto) spicca in tali fasi e non solo per calma, sagacia e gittata: un meritato Man of the Match.

La risposta dei Wallabies ai due elementi chiave del gioco imposto dagli All Blacks è debole. Nei punti d'incontro era l'attento arbitro Craig Joubert a tagliar le unghie al pericolo pubblico numero uno David Pocock, fischiandogli alle prime ruck un paio di falletti "didattici" (per lui e per il collega Bryce Lawrence), costringendolo quindi a star sghiscio nei punti d'incontro per gran parte della gara. Il gioco tattico Aussie poi, sia lungo che corto, è costantemente sottoposto a pressione asfissiante, lo spostarsi di Cooper a estremo in fase di non possesso per togliersi dalla linea non aiuta anzi, lui non ha la potenza al piede di O'Connor. Inoltre i "cacciatori di ovali" Neri son più decisi e presenti di quelli gialloverdi.
Qui gli highlights ufficiali della gara.
Gli All Blacks s'impadroniscono immediatamente del pallino e dopo una serie di ondate in puro stile Marea Nera, nel giro di 5 minuti pervengono alla meta che rimarrà l'unica della partita: Dagg vede il buco tra centri e terza linea preoccupata di difendere vicino al punto d'incontro; vi si fionda sfuggendo a Elsom, gira esterno rispetto a O'Connor e lancia Ma'a Nonu in perfetto sostegno, un istante prima di sfiorare la linea dell'out laterale.
Una volta marcata meta, col senno di poi  il più per gli All Blacks è fatto: pròvino gli avversari a passare se ci riescono; nel frattempo, i Kiwi capitalizzano le punizioni e, nel caso l'avversario si distragga, son sempre con le caldaie in pressione per marcarne un'altra. Nel mentre Joubert s'incarica di stroncare le velleità del sorvegliato speciale Pocock nelle ruck.
I Wallabies riescono a impossessarsi dell'ovale ed entrare nella metà campo avversaria solo al 13': Digby Ioane col suo collo rincagnato tra le spalle, fa il break e arriva fino alla linea di meta ma viene respinto; gli Aussie comunque prendono le spese di viaggio marcando con O'Connor una facile punizione per il mancato rotolamento di un placcatore, il fallo più amato dagli All Blacks.
Questa è la sola fase della gara in cui s'è potuto pensare che forse 'sti Wallabies, hai visto mai, son diventati cinici ...  La combinazione di imprecisione al piede di Piri Weepu (otto i punti non capitalizzati) e la relativa efficacia nelle rare fasi di possesso palla prolungato dei Wallabies, portavano di fatto lo score su un potabilissimo 8-3 a fine del primo quarto.

Gli All Blacks devono esser tutti laureati in psicologia: scelgono il loro freshman Aaron Cruden per segnalare agli avversari che non ce n'è, mettendolo al 21' nelle condizioni ideali per piazzare un drop, 11-3. La partita è molto dura, i sanguinanti in campo non si contano; deve abbandonare Sekope Kepu infortunato ad un occhio, entra Slipper in prima linea e la mischia ordinata già in crisi diventerà un incubo per i Wallabies.
Gli australiani provano ad avanzare mentre la difesa Nera nulla lascia di intentato per rallentare e disturbare, tenuta nei ranghi dalla attenzione dell'arbitro, che non viene mai sfidata troppo apertamente. Nelle palle vaganti, tipico indicatore di "voglia" e prontezza, son sempre i Kiwi a saltar prima, più alto, più lungo.
La mediana australiana soffre la pressione difensiva, sia con Will Genia che soprattutto con Quade Cooper, costretto da mentalità, pressione ambientale e situazione di gara a prendersi ancora più rischi del suo solito, con conseguenze facilmente immaginabili.
La svolta personale di Cooper dopo una caterva d'errori, arriva alla mezz'ora: anche lui viene messo nelle condizioni (quasi) ideali di marcar drop e non sbaglia. E' 11-6, i Wallabies sono in partita e il loro Cavallo Pazzo c'è, da quel momento in poi basta errori gratuiti. Anche se non arriva nulla di decisivo.
Quattro minuti dopo Weepu centra un penalty centrale dalla lunga distanza, è il 14-6 con cui si va al riposo.

I Wallabies chiudono la prima frazione in attacco; rispetto al 17-0 dell'ultima volta all'Eden Park, gara d'andata dell'ultimo TriNations, è già un timido progresso. Palese che non siano più quelli di Brisbane, purtroppo non sono manco come quelli del 6 agosto: nel secondo tempo limiteranno i danni ma rimarranno a secco nello score.
Inizia male per chi dovrebbe recuperare: altro fallo su placcaggio, il sostegno è in ritardo, problema di tutta la gara, punizione centrata da Weepu per il 17-6. Ne fallirà un'altra più tardi, ma quel che conta nell'economia della gara è che se la difesa Aussie regge - ma non sarebbero gli All Blacks a dover fare la gara - gli australiani non riescono a spingere avanti i propri possessi.
Da un lato c'è l'indomita aggressività dei padroni di casa, Tutti incazzati Neri su ogni punto d'incontro, su ogni palla che vaghi in aria o per terra; dall'altro c'è una giornata sottotraccia di Elsom e dei centri (Faingaa e McCabe annullano Conrad Smith ma s'annullano pure loro) e lo spegnimento di Radike Samo, tutti elementi fondamentali per offrire sostegno ai portatori di palla che sovente rimangono isolati.
La mossa della disperazione è provare Rob Horne sfondatore dritto per dritto, mentre Berrick Barnes era già entrato da tempo per rimpiazzare McCabe ferito, senza però poter produrre benefici al gioco tattico Aussie.
Gli All Blacks giocano col tempo, tenendo lontani i pericoli in modo ben più "attivo" dei francesi di ieri. Al 70' è la mischia ordinata australiana a cedere, concedendo il penalty del doppio break a Weepu, uscito e rientrato dopo l'ennesima ferita sanguinante della giornata. 20-6, giochi fatti, il faticatore Brad Thorn se ne rende conto e festeggia la fine anticipata di una gara del "suo" tipo.
Poco prima una azione - simbolo: Pocock riesce finalmente a rubare una palla in ruck sotto gli occhi di Joubert che stavolta non ha nulla da dire; appena la estrae, arriva McCaw come una furia a far controbreak da solo. Oggi non ce n'è, Re Leone non molla lo scettro, il giovane pretendente si lecchi le ferite e ripassi un'altra volta.
Nel successivo "garbage time" i Wallabies provano sino alla fine a marcare la meta dell'onore, andandoci abbastanza vicini; c'è tempo per un entra-ed-esci di Sonny Bill Williams, pescato  da Joubert a dare una spallata all'intraprendente Quade.

E così gli All Blacks pervengono alla agognata finale mondiale. Non vincono da 24 anni e non sono riusciti a procurarsi molte occasioni: dopo il 1987 sono in finale solo nel 1995. In Sudafrica ci volle Nelson Mandela in person per fermar Jonah Lomu & Soci. Ora finalmente la regìa che prepara tutto da quattro anni  a questa parte, è riuscita nell'allineamento astrale perfetto: stessa finale del 1987 con la Francia nello stesso luogo, e pure la stessa finalina di contorno Australia -Galles. Che sia l'umidità dell'aria?

5 commenti:

Madflyhalf ha detto...

Come si ferma Pocock?

Lo fai placcare il doppio. Targettato, era costretto a placcare e ovviamente non poteva essere il primo a mettere le mani al breakdown.

Chapeau, All Blacks più forti di tutto, rimane il rammarico di aver visto una semifinale "sbagliata".


Per il resto credo che la stanchezza Aus fosse enorme, non si può accusare (come fanno in molti) Cooper di aver sbagliato, quando nei primi 8 uomini s'è salvato solo Pocock perché ha placcato. Tutti gli altri n.p.

Senza troppe colpe, partite come quelle di 1 settimana fa ti segnano il fisico a lungo...


Peccato.

Ora non so per chi tifare in finalina: Wallabies o Galles?

mu! :(

Madflyhalf ha detto...

Ah, un'altra cosa.
Non è per essere razzista, lungi da me, però la partita più importante di sempre degli All Blacks, finora, è stata vinta con alle ali ed estremo nessun figiano o nessun samoano.
C'erano un bianco, un maori e un... boh? è mezzo maori Dagg?

Forse Father Ted ha definitivamente capito che nel momento del bisogno occorre zucca prima di gambe e fisico puro... :)

Abr ha detto...

Si, cioè lo punti rendendolo primo placcatore, mentre lui ama arrivar dopo; può essere, anche se "basterebbe" rialzarsi ... ecco dove Broussow lo supera ancora.

Nella realtà ciò che a mio avviso ha spiazzato di più Pocock (arbitro a parte; ma Joubert già lo conosceva dal 6 agosto, andata ad Auckland del tri-nations, quando gli fischiò 5 punizioni contro) è stato il sostegno tempestivo e furioso degli AB al portatore di palla.

Un samoano c'era in mezzo, ha segnato la meta e un altro stava in panca, ha preso il giallo. Poi c'era Weepu, mezzo di Niue e mezzo maori. Dagg ha la mamma maori, dice.
Si, i dormiglioni alla Rokocoko o i fast and furious alla Sivivatu, a casa. E Hosea Gear sta a far numero in panchina.
Non servono più le ali alla Kirwan o all'europea (Clerc, Sh.Williams, Bowe), iperspecialisti della corsa veloce, dritta o rotta: Henry ha trasformato gli antichi All Backs in All Centres, gente che deve prendere decisioni, perlomeno sul tipo di taglio da fare.
E soprattutto per il triangolo allargato, devono esser come i Boks quand'erano giovani: devono andar sotto i calci a conquistare "il rimbalzo". Grandi Dagg e Jane, un po' frenato Kahui stavolta.

Chi tifare? Mah, occhio al ranking piuttosto ...

Madflyhalf ha detto...

Mi riferivo solo a estremi e ali...
Di SBW ultimamente ho molta poca considerazione... ormai non fa più offload, fa passaggi ospedale senza nemmeno andare a contatto.

Abr ha detto...

passaggi ospedale, vero! :)
Cmq. le sue 4 metine le ha messe a segno, comparate coi minuti giocati non è male.

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