domenica 20 novembre 2011

Pensiero britannico su club e federazione

Sull'ultimo numero del magazine Rugby World, viene pubblicata un'interessante intervista a Keith Barwell, l'uomo che ha risollevato le sorti dei Northampton Saints, facendo del club uno dei punti di riferimento non solo come risultati sul campo, ma anche come gestione manageriale degli impianti, consentendo il rilancio economico della società. L'articolo è a firma di Matt Hampson, promettente pilone  dei Leicester Tigers che nel 2005 rimase paralizzato dopo un brutto infortunio mentre era in ritiro con l'Inghilterra Under 21: da allora si dedica alla beneficenza e passa in rassegna i personaggi del rugby inglese per Rugby World.
Tra una battuta e l'altra, i due arrivano ad un tema particolarmente caldo in Italia: il rapporto tra i club e la federazione. "Siete ancora in guerra con la RFU?", domanda Hampson (in primo luogo per la questione salary cap, secondariamente per l'utilizzo dei giocatori internazionali). "Assolutamente", ribatte senza giri di parole Barwell. 
Che quindi espone il suo concetto: "Siamo in affari e mentre la Rugby Football Union è il nostro organo di governo, è anche il nostro maggiore competitore. E' rugby internazionale contro rugby di club e per me quest'ultimo è molto più eccitante", afferma Barwell - che pur avendo lasciato la carica di chairman dei Saints, rimane il faro manageriale a Northampton. "Quando sono andato a vedere i Saxons, ho guardato il mio orologio pensando 'm***a, sono passati solo dieci minuti'. Al Franklin's Gardens (lo stadio dei Saints, ndr) in occasione delle grandi partite puoi tagliare l'atmosfera con il coltello. Vogliamo tensione e passione". 
Se un qualsiasi dirigente di casa nostra se ne uscisse con battute del genere, la gogna lo attenderebbe seduta stante, al di là che qualcuno possa pensarla o meno allo stesso modo. 
Barwell è di sicuro un personaggio: perché se da una parte chiede alla RFU di modificare le regole d'ingaggio salariale (allineandosi alle posizioni di altri top team come i Tigers, ad esempio), dall'altra svela un'anima romantica ricordando come nel campionato di Championship il clima sia quello dei vecchi tempi, tra i campi di Doncaster o Devon, dove dopo la partita si beve davvero una birra negli spogliatoi assieme ai rivali. La sensazione è che suggerisca che i due aspetti possano alla fine coesistere, è solo questione di approccio. 
"Il rugby di club supererà quello internazionale, come nel calcio", aggiunge il manager inglese. Gli indizi ci sono già tutti: dal lavoro svolto da Leicester nell'ammodernare il Welford Road al pubblico che riempie le tribune di Twickenham e Wembley durante le gare di Premiership
"Qual è il tuo ricordo più caro nel rugby?", domanda alla fine Hampson. "Essere riuscito a trasformare i Saints da un club di bevitori di birra in una famiglia". 

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