domenica 10 febbraio 2013

Welsh resurrection

Six Nations - Stade de France, Paris
France 6 - 16 Wales

Non subito al terzo giorno come Colui più in Alto - nel rugby ci vuole tanta pazienza oltre all'altruismo e allo spirito di sacrificio: il Galles alfine risorge dopo otto sconfitte in fila. Lo fa nel momento meno atteso, lontano dal Millennium Stadium (che oramai l'avran capito pure loro: un po' di sfiga la porta), nientepopodimeno che allo Stade de France, in casa degli eroi del Novembre di Test anche se un po' ammaccati dall'Italia.
Il Dragone a mo' di Fenice risorge dalle sue ceneri e lo fa sudando: non sono sudori freddi, brividi di malattia o paura, è purissima e nobilissima fatica cane collettiva, fatta di tante bastonate e pochissime soddisfazioni individuali, risultato finale a parte. I Rossi allestiscono difatti una grandiosa prova fondata sulla abnegazione cieca, su sguardi abbassati e grande umiltà, mani e faccia affondate senza riserve nello spurgo del pozzo nero. Quel che è un po' mancato agli italiani al Murrayfield; del resto è la fame ad aguzzare i comportamenti e l'esperienza di vittorie esterne a corroborarli, mentre a volte le vittorie esaltano fino alla distrazione. Una prestazione fatta di roba grezza, da riportare agli antenati minatori. Una partita brutta e pericolosa come il tunnel di una miniera di carbone, il cui buio pesto a tratti noioso ma sempre pericoloso e clustrofobico, è stato improvvisamente illuminato da un unico lampo, esplosivo come una fuga di grisù: il delizioso e coraggioso calcetto a smarcare di Dan Biggar, la perfetta corsa all'appuntamento con la meta di George North, il quale usa massa per velocità (uguale quantità di moto) per sventare l'estremo tentativo di Francois Trinh Duc di fargli sfiorare la linea dell'out sinistro e proiettarsi con la precisione di un ballerino sul ghiaccio, marcando una meta di forza e destrezza. Il segno perfetto che doveva lasciare una partita vissuta pericolosamente e alla fine vinta da chi ha meritato: non per aver osato di più, per aver mostrato più classe o meno errori degli avversari, nemmeno per aver mostrato migliori individualità o reparti o tattiche di gioco, ma per aver agito e faticato con un filo in più di lucidità e soprattutto molta più pazienza, tutti assieme. That's rugby.

A livello di cronaca non c'è da dire granché, a partire dal primo tempo concluso su uno stitico e conservativo 3-3, coi piazzati di Frederic Michalak al 15' e Leigh Halfpenny al 18'. I francesi dovrebbero fare la partita per scacciare i fantasmi italiani e mostrare a coach e critica che la fiducia rinnovata al gruppo perdente all'Olimpico aveva un senso - squadra che perde non si cambia, almeno per adesso, ha detto Saint-André. Lo fanno in modo poco organizzato, aggrediti da una difesa fatta salire dall'esperienza di Ryan Jones e dalla efficacia di Justin Tipuric, piùle masse di Coombs e Ian Evans a dar man forte. Il primo a mettersi in luce in fase di attacco è il criticato Mike Phillips: fa quel che meglio sa fare, si infila tra le maglie della difesa con un bel break iniziale. I francesi rispondono con le avanzate palla in mano di Fulgence Oeudraogo, l'uomo della rimessa e guastatore difensivo aggiunto a Dusatoir, col coraggio di Benjamin Fall che si lancia sulle palle alte come fosse Kearney, con gli sfondamenti di Picamoles. il nuovo inserito Bastareaud dà subito un warm welcome a modo suo alla prima incursione del dirimpettaio Jamie Roberts (il rumore del placcaggio si sente anche fuori dello stadio, credo). L'altra novità in seconda linea Jocelino Suta non si distingue particolarmente.
Quando l'attacco francese riesce a entrare nella red zone gallese, emerge dalle retrovie Johan Huget a cercare l'inserimento dell'uomo in più. Una palla che gli arriva sulla destra dentro ai 22m rapprensenta il pericolo più grosso per il Galles; la sua scelta di fare un passo in più invece di scaricare subito all'ala Fofana significa meta mancata.
Non ci sono molte altre occasioni da una parte e dall'altra: tutte ammazzate dalla gara arm wrestling come dicono gli inglesi, cui ambedue le squadre si dedicano con dovizia per far dimenticare i braccini corti della prova precedente. Ne risultano più testate che lucidità e manovra, più distruzione che costruzione e qualche rischio per la salute (Halfpenny non si tira indietro nelle rese al volo, ma rischia grosso in un paio di occasioni).
Il tutto non viene agevolato dall'arbitraggio del fischietto più sopravvalutato della Galassia, l'irlandese Clancy, che complica invece che dipanare il caos che c'è in campo, imbruttendo vieppiù la gara. Della mischia ordinata quando c'è lui non vale manco la pena di far cenno: decisioni a papocchio premiano a caso ora l'uno ora l'altro, accanendosi particolarmente contro Adam Jones. che comunque è arrivato a quello stadio in cui l'esperienza sopravanza le energie.

Nella seconda frazione la musica non cambia. Trinh Duc rimpiazza Fall per infortunio, posizionandosi estremo e spostando Huget all'ala. L'apertura di Montpellier porta seco nuove istruzioni, i franchi provano il drop come conclusione della maggior pressione esercitata, ma il tentativo pur ben impostato riesce appena largo sulla destra dei pali. Tre punti sbagliati, tre punti subiti: riesce subito dopo a Halfpenny la punizione del sorpasso 3-6.
I francesi sono costretti a far gioco dalla situazione, dal fatto che sono in casa e dalle attitudini, ma più passa il tempo più il loro si fa vano esercizio individuale, sconnesso, poco organizzato. Michalak apre a tizio o a caio, questi si infrange addosso alla difesa gallese, l'azione si trasforma in serie di pick and go rallentati in cui i pesi massimi Picamoels e Bastareaud a volte danno l'illusione di trovare il buco ma vengono subito fermati.
I gallesi non stanno a difesa passiva tipo Scozia a Twickenham, la loro iper attività sui punti di incontro ha lo scopo di recuperare palloni e sovente ci riescono, nella sagra di palle perse (provocate) dei Bleus che ricorda la partita precedente. Se gli attacchi dei Dragoni appaiono un filo più organizzati, scelte ed efficacia sono pari a quelle francesi, per tutti valga il dato delle palle perse, oltre 13. Ad esempio sentiamo il commentatore tecnico gallese (eh si, quando gli eccessi di verbosità delle telecronache italiche ci asciugano, usiamo la benedetta funzione Sky "switch to original language") erompere nei confronti dei suoi: "Non si accorgono che i francesi stanno giocando senza estremo! Ma perché non giochiamo più tattico!".
Sia come sia, al 52' arriva il sei pari di Michalak, subito dopo i cambi delle linee francesi e poco prima di quelli gallesi: esce tra gli altri un buon Hibbard al tallonaggio, come Gethyn Jenkins ripetutamente "aperto" in testa. Saint-André prova a buttar dentro Morgan Parra, più sangue freddo ed esperienza di Machenaud, hai visto mai. Il cambio in mediana gallese per il questa volta soddisfacente Phillips (era la partita giusta per un terza linea aggiunto) arriva solo un quarto d'ora dopo, quando mancano solo più dieci minuti dalla fine.
L'episodio che vale tutta partita anche sul piano dello spettacolo avviene al 72': il diligente Dan Biggar solleva la testa nel corso un attacco gallese arrivato alla soglia dei 22m francesi e calcia al lato sinistro non presidiato, dove arriva sparato George North e arranca in copertura Trinh Duc. Il giovane peso massimo gallese riscatta un paio di partite di scarso impatto, marcando la meta decisiva in cui mostra invidiabile perizia e controllo del corpo. Halfpenny centra la difficile trasformazione portando gli ospiti a sette punti di vantaggio.
Il tentativo di reazione francese è se possibile ancora più scomposto e disorganizzato di tutti i precedenti - lo vedi in faccia Michalak quando non sa più che fare - e si conclude con palla persa e ulteriore punizione assegnata a Halfpenny, che al 75' arrotonda il punteggio e consolida l'impresa allo Stade de France. La partita si conclude tra le bordate di fischi, tutte per i Galletti: i francesi non le mandano certo a dire. Si preannuncia un periodo di cambiamenti, uno scratch sulle certezze che si credevano accumulate col novembre, un ripiombare in fase sperimentale. Il tutto alla vigilia della passeggiata di salute a Twickenham. 

Dopo la sosta avremo i Dragoni all'Olimpico, a sensazioni rovesciate rispetto alla prima partita. Non c'è da contare molto sulla "pancia piena" gallese, con tutto il fiele che han dovuto trangugiare tra coppe europee, situazione interna e otto ultime uscite nazionali. Anche loro hanno appreso che la "garra" sui punti di incontro è quel che paga in questo torneo, complici gli arbitraggi un po' così; speriamo se ne ricordino anche gli italiani, assieme al fatto ri-dimostrato ancora una volta che in questo rugby qui, puntare sul possesso è l'anticamera della sconfitta: esaurisce ed espone. I gallesi possono contare su due uscite in fila non del tutto chiuse per loro con italiani e scozzesi, per preparare il vero evento che li appassiona e che potrebbe valere un bel dispettuccio ai "padroni" se non addirittura qualcosina in più: l'Inghilterra al Millennium all'ultima partita del torneo.

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