mercoledì 26 giugno 2013

Grattacapi australiani, ma almeno i tribunali sono comprensivi


 
Lato Lions ci si rilassa per la vittoria e ci si focalizza sulle alternative, lato Australiano perdente ci si lecca le ferite e gratta la testa pensierosi. Giusto o sbagliato che sia, da ambo i lati: dopotutto la partita l'han portata a casa per due striminziti punti, è una trasformazione di differenza. A riprova che più di Kurtley Beale, il peso cade su James O'Connor: non per la trasformazione ma per il gioco. A rinforzare il concetto c'è anche il mitico Matt Burke, che sabato a caldo ha detto all'amico John Eales: "un calciatore le partite le può vincere ma non perderle".
La strategia comunicativa di Warren Gatland pare rafforzare il concetto che siamo di fronte a un equilibrio complessivo, distruggibile col minimo errore o sbilanciamento di una delle due compagini, di più il coach dei Lions forse ci mette anche un po' di anti-australiano insito del neozelandese, nel suo essere insolitamente prodigo di critiche nei confronti degli avversari. "Non abbiamo proprio sentito tutta 'sta pressione d'attacco da parte dei Wallabies come si anticipava", ha dichiarato alla stampa, "alla fine le loro mete non erano costruite ma episodiche e noi abbiamo superato la linea difensiva sette volte contro le tre loro". Guerra psicologica, fear uncertainty and doubt sparsi nel campo avversario e al diavolo i minuetti Boreali in conferenza stampa. Proprio perché  c'è equilibrio complessivo allora tutto fa brodo, del resto la posta in gioco nel prossimo incontro è enorme. Anglosassoni sulla giugulare dell'avversario, è il momento in cui nel pugilato e nel rugby non è concessa distrazione o pietismo: close the deal and let them hit the bricks pals! Gatland difatti non si limita a criticare il collettivo, va giù duro anche sul presunto punto debole, il singolo più fragile ed esposto: "Un professionista deve saper scegliere gli attrezzi giusti per le circostanze. Come si fa a entrare in quel campo con quel tipo di calzature?", insinuando sufficiente trascuratezza come causa del duplice errore fatale dalla piazzola di Beale. Aldilà della psycological warfare, è uno squarcio interessante sull'attenzione ai dettagli che un allenatore deve avere (nei confronti dei suoi).

I problemi di Robbie Deans non sono solo psicologici, anche se sa bene che in caso di sconfitta sabato, il primo che rischia di hit the bricks è proprio lui. La situazione critica è guarda caso nel reparto deputato alle strategie d'attacco come evidenziato da Gatland, i trequarti.  Barnes e Ioane sono out, Lealifano è sotto osservazione, Ashley-Cooper e Horne non sono a posto, O'Connor non ha dato buona prova all'apertura, giocando solipsista come abituato nei Rebels privi di Beale. La soluzione logica il coach ce l'avrebbe a portata di mano: il centro in qualche modo si copre con l'uno o l'altro dei recuperandi, Tomane entra come ala forte, mentre  O'Connor torna all'ala aperta come ai suoi primi tempi nazionali, lascia il numero 10 a Beale e Folau fa l'estremo come in franchigia. La soluzione avrebbe il pregio di cambiare le corsie di lancio del pericolo pubblico numero uno per i Lions, Folau ("sapevamo che era pericoloso", ha minimizzato laconico Gatland), spiazzando le contromisure apportate):  checché ne dichiari il coach dei Tourists, entrambe le mete Wallabies arrivano sfruttando un problema tattico dei Lions, la copertura al largo.
Sull'altro piatto della bilancia, tra i commentatori Aussie si dice, ve lo vedete O'Connor lanciarsi su North ed evitare una meta fatta, miracolo riuscito a Folau? Meglio allora star così e dare all'apertura dei Rebels la chance di rifarsi, senza sovraccaricare di responsabilità la fragile personalità del compagno di squadra Beale.

Davanti invece è andata bene ai Wallabies against all odds e guarda caso Gatland non ne fa menzione. Anche lì ci sono diverse pedine infortunate, ma quel che si profila all'orizzonte è una terza linea sulla carta ancora più forte di quella vista in Gara Uno, quella tutta Brumbies Ben Mowen, Peter Kimlin e il veterano George Smith.
In prima linea e in engine room, fermi così che va bene. Qui James Horwill è stato assolto per lo stamping su Wyn-Jones, con buona pace della durezza - anche qui - del  coach delle Giacche Rosse: "Giocavo in tempi in cui era lecito calpestare gli avversari per terra e ne porto i segni. Ma le tacchettate in testa no, quello è sempre stato escluso sin dai miei tempi".
La combinazione - citazione del capitano, attacco personale, assoluzione - fa rimembrare a qualche commentatore australe le vicende di Tana Umaga nel Lions Tour in Nuova Zelanda del 2005, quando lui e Mealamu letteralmente "assassinarono" in campo un certo Brian O'Driscoll (vedi video sotto). L'analogia non sta evidentemente nella gravità del fallo - nulla a che vedere: BOD rimase fermo per 5 mesi mentre Wyn-Jones ha continuato dopo la racchettata fino al 71' - ma per il fatto che gli All Blacks si compattarono attorno al loro capitano sotto attacco e alla gara successiva travolsero i Lions. Potrebbe succedere anche stavolta? C'è da augurarselo, altrimenti il Tour potrebbe finire anzitempo  ...


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