Se il verde non è più il colore della speranza
Il rugby è uno sport che lascia il segno. Leggenda narra che in Nuova Zelanda calcolassero il valore di un giocatore in base al numero delle tacchettate sulla schiena: più uno ne aveva, più voleva dire che non aveva timore di lanciarsi in mischia a conquistare la bislunga pazza palla ovale.
Oggi il rugby lascia il segno anche in Italia grazie all’attenzione mediatica che si è accesa sulla nostra nazionale e l’ultimo pretesto giunge dall’assenza di buoni calciatori in una nazione che impazzisce per il calcio. Sarà anche per questo che il nuovo ct Mallet, in vista del prossimo incontro di 6 Nazioni contro l’Inghilterra, in programma domenica al Flaminio di Roma, ha lasciato che i suoi si allenassero con il pallone rotondo. Aiuta la mobilità degli arti inferiori degli avanti (gli uomini di mischia) che saranno chiamati ad affrontare un pacchetto di mischia tra i più pesanti al mondo, fanno sapere dal ritiro della Broghesiana. Ma il dubbio che si tratti di una risposta ironica alle critiche di questa settimana non è poi così infondato.
Da parte sua, la stessa Italia ha lasciato il segno di ritorno dalla trasferta di Dublino dove ha fatto sudare la fatidiche sette camicie all’Irlanda, perdendo per solo cinque punti. Sono infatti ore cariche tensione quelle che si respirano sull’isola verde in vista del match a Parigi contro la Francia. L’ultima affermazione irlandese in casa dei transalpini risale al 2000 e da cinque anni non riesce a ripetersi nemmeno nelle mura amiche. Le speranze svanirono un anno fa, quando le bleus furono i primi a vedersela contro l’Irlanda nel nuovo stadio, il Crocke Park, teatro il 21 novembre 1920 di uno dei più cruenti episodi della lotta fra irlandesi ed inglesi: la Polizia ausiliaria del Regno Unito irruppe durante una partita di calcio gaelico ed iniziò a sparare sulla folla, uccidendo 13 spettatori.
Solo sfortuna? - Da allora qualsiasi disciplina sportiva britannica venne bandita sul quel campo, eccezion fatta per il rugby, visto che il vecchio stadio della nazionale è in fase di ristrutturazione. Tutta l’Irlanda era convinta che il clima di un anno fa avrebbe ridato slancio ai suoi beniamini, ed invece fu una meta francese sul finire dell’incontro a tramutare un giorno da ricordare in beffa. Nonostante la gloriosa rivincita (almeno allegorica) sull’Inghilterra di Jonny Wilkinson, pare proprio che il trasferimento non abbia portato bene a O’Driscoll e compagni.
Un Mondiale gettato alle ortiche venendo eliminati nella fase a gironi, prestazioni opache contro formazioni per niente quotate come la Namibia, incisività smarrita e volti perplessi fanno da cornice alla nuova Irlanda, che poi tanto nuova non è perché Eddie O’Sullivan è rimasto sulla panchina nonostante la figuraccia nella Coppa del Mondo. Poi è arrivato il fatidico sabato 2 febbraio, tinto di azzurro. L’azzurro dell’Italia che ha messo alle strette gli avversari nel loro stadio. Stai a vedere che questo Crocke Park porta sfortuna? Se lo domandano in molti.
Non sarebbe nemmeno la prima volta. E di mezzo ci sono ancora gli italiani. Lo scorso settembre, in vista del campionato del Mondo, le due formazioni si sono affrontate i un test match dal sapore amaro per i nostri, allora guidati da Pierre Berbizier. Una strana decisione arbitrale ci negò una chiara meta che avrebbe sancito la vittoria per l’Italia. Si giocava a Belfast, dove l’Irlanda non scendeva in campo da più di quarant’anni. Un po’ per questioni politiche, un po’ per scaramanzia. Dopo quella sera di fine estate, nessuno nella federazione irlandese ha più parlato di giocare in Irlanda del Nord. Per quanto la maglia verde venga indossata sia da giocatori della Repubblica irlandese che da sudditi di sua Maestà inglese perché residenti oltre confine, in quel pezzo d’Irlanda che l’Ira rivendica da ottant’anni a suon di bombe.
E la bomba ovale ora sta per scoppiare nelle mani di O’Sullivan, ma non solo. Brian O’Driscoll, il capitano per eccellenza dell’ultima generazione, non ha più il sostegno del pubblico, si è ritrovato placcato da quelli che erano i suoi fan e forse si sentiva meglio dopo il placcaggio rifilatogli da Mauro Bergamasco sabato scorso.
Tony Ward, 19 caps con l’Irlanda tra gli anni ’70 e ’80, ha chiarito dove vanno messe le mani per aggiustare le cose nella formazione attuale: centro, tallonatore, seconda linea, terza linea, ali. Insomma ovunque. Peccato che O’Sullivan è allergico ai cambiamenti. Tra poco però potrebbe assistere al suo. E qui non è questione di sorte avversa. Non basterebbe nemmeno trovare un quadrifoglio nella terra dove il trifoglio è simbolo nazionale.
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