mercoledì 3 dicembre 2008

Il Sud del Nord e il tutto

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Il Socio sollecita analisi delle Nazionali latine a valle dei Test di novembre.
Liquideremmo la cosa con due battute, per arrivare poi al tema a nostro avviso vero.

- La Francia e' un cantiere aperto, "lievremonte" piu' avanti degli inglesi; apparentemente sta cercando di uscire dalle eccessive rigidita' tattiche dell'ex coach Laporte, dotandosi di un gioco multiforme e adattabile all'avversario, facendo leva sulla copertura ad elevato tasso tecnico e atletico in tutti i reparti, su un "vessillifero" come Chabal e qualche giovanissimo molto pimpante come Medard. Anch'essa ha bisogno di tempo.
- L'Italia: movimento asfittico, rimpinzato di "equiparati" non tutti di altissimo livello, crisi di leadership in campo post Troncon; la coperta si rivela corta per la prima volta anche a livello pack. Il fatto e' che gli altri crescono anche li', dall'Australia per non parlare degli irlandesi di Munster, noi invece siamo seduti sulle vecchie glorie.
Inoltre il non eccelso livello tecnico e la scarsa esperienza internazionale soprattutto nei ruoli piu' tattici, ci consente solo approcci alla gara monodimensionali, prevedibili, inefficaci nel rugby moderno. Alla fine non riuscendo a mettere in difficolta' gli avversari veniamo regolarmente puniti, anche se di poco, mediante i nostri stessi errori. La differenza con il prima di Mallett e' che ora difficilmente "schiantiamo", arrivando lingua fuori all'ultimo quarto di gara (siamo cresciuti, tatticamente e atleticamente); solo continuiamo a perdere, sia pur per cinque, otto o dieci punti.
- Che fare?
Innanzitutto molti opinionisti dovrebbero rilassarsi un filino: oggettivamente non si puo' stracciarsi le vesti se si perde con Argentina o Australia, quanto ai Pacifici pure il Galles porta ancora le cicatrici di Fiji ai Mondiali.
Secondariamente serve continuare il lavoro "fisico" e tattico che si sta facendo; in piu' servirebbe identificare qualche "champion" grintoso, magari giovane, magari italiano, in grado di instillare la mentalita' vincente nel gruppo.
Urge poi un ridisegno complessivo del movimento in Italia, baricentrandolo sulla Nazionale non perche' crediamo nel dirigismo e negli approcci top-down, ma perche' i club non sono riusciti in tutto questo tempo a fare il benche' minimo step-up, tenendosi stretto quel bagajo chiamato Super10.
Non e' detto che la soluzione giusta sia il modello a Selezioni (una sola?!) deciso dall'alto: forse un approccio "alla scozzese" (un paio di club "di interesse nazionale") potrebbe essere piu' adatto ai casi nostri. Il Benetton ad esempio: nome a parte (opterei per "Leoni" vista l'area), ha gia' strutture, organizzazione, bacino tifo e vivai di ragionevole livello, sarebbe sciocco non sfruttarlo (e da petrarchino credetemi, lo dico con la morte nel cuore ...). Basterebbe incentivare quel club a ripulirsi dall'eccesso di stranieri e trovare il modo di conferirgli qualche giocatore del giro nazionale attualmente all'estero.
Quanto alla seconda squadra, la si piazzi nell'area padana, tra Milano Parma Reggio Brescia e Mantova, e la si basi nel primo stadio da 7-10.000 posti disponibile in zona; quanto a Roma, si tenga Flaminio e Nazionale.
Per inciso, la "base regionale" e' fondamentale per tutti quei Paesi - del Sud e del Nord - che abbiano adottato il modello a Selezioni: serve per "radicare" il tifo e dare un modello ai giovani dei vivai. Okkio ad approcci troppo centralisti-televisivi: un "espianto" dai luoghi storici del rugby piu' che Nazionale risulterebbe Statalista e sarebbe il modo giusto per dare il colpo di grazia a questo sport in Italia.
Comunque sia l'importante e' far qualcosa.

- Guardiamo alla broader picture: la vera differenza che salta agli occhi ancora e' la superiorita' schiacciante complessiva delle nazionali del TriNations su quelle del Sei Nazioni: lo score dei test di novembre e' 10 vittorie a 1.
Questione tecnica e atletica? Ni: a Sud sono sicuramente piu' competitivi grazie anche alle regole che hanno adottato e possono contare su dei gran bei campioni, ma non e' una questione di cromosomi.
La vera differenza la fa l'organizzazione: in estrema sintesi, al Sud privilegiano le nazionali e i giovani talenti, mentre al Nord guidano i club e i campioni internazionali affermati.
Basti guardare i calendari: i giocatori del Sud sono impegnati per quattro mesi in un torneo internazionale per Selezioni Regionali (il Super14), solo tre nei campionati locali Currie Cup o Npc (gli australiani niente) et c'est tout, il resto del tempo e' dedicato alla nazionale.
Al Nord invece i campionati sovrapposti alle Coppe Europee impegnano i giocatori da settembre a tutto maggio (giugno per i francesi), con qualche sosta per i Test e un paio di mesi per il Sei Nazioni, e non tutti i campionati si fermano.
Non e' finita: al Nord i giocatori "appartengono" ai Club che li "prestano" alle Federazioni per gli impegni nazionali, mentre al Sud i giocatori top al contrario sono sotto contratto con la loro Federazione Nazionale; da cui la conseguenza che si va a giocare in campionati stranieri solo quando si e' fuori dal giro nazionale - eccezione fa Dan Carter e il suo "periodo sabbatico" di qualche mese a Perpignan in cambio si dice di 1,5 milioni di euro.
I club del Nord affamati di risultati reclutano dall'estero giocatori gia' esperti, togliendo opportunita' ai giovani (soprattutto da noi, mentre in Uk e Francia si mettono in mostra lo stesso grazie all'assenza di pause), mentre al Sud vanno a caccia di giovani da forgiare tra le palme da cocco delle Isole o nel bacino Afrikaner, ancora denso prima che la politica lo schianti.

Non e' un caso se la squadra boreale meglio performante in questo scorcio di stagione sia il Galles, la cui gran parte dei giocatori disputa un campionato non molto stressante come la Celtic League, con delle Selezioni Regionali e un limite al numero di stranieri tesserabili. La stessa scelta fatta da Irlanda e piu' recentemente dalla Scozia che pero' ha ancora molti giocatori in Guinness Premiership.
Si tratta insomma di scelte e di forza contrattuale: club o nazionale?
La seconda puo' essere una scelta, come nel caso dei paesi Australi, o una necessita': se non si hanno le masse di praticanti e i capitali di francesi e inglesi, giocoforza o si rimane nel limbo dei Super10 semi-pro nei fatti se non nella forma, oppure si creano dei club "virtuali" inseriti in contesti internazionali come la Celtic League (ma non solo: how about "aprire" il Top14 a due italiane? Anche per motivi logistici), in cui i giocatori chiave possano fare l'esperienza giusta.
E' la scelta che deve fare l'Italia in tempi molto rapidi. Ammesso e non concesso poi che gli altri ci vogliano.

La scelta del modello Australe piace a pubblico, Federazioni e giocatori (godono di vetrine mondiali, nella seconda parte della carriera, guadagnata la fama fanno i soldi) ma non e' tutto rose e fiori. Comporta un contrappasso che spiega uno degli apparenti paradossi del rugby: come mai gli All Blacks dominano regolarmente tutte le annate inter-mondiali e sono 21 anni che non vincono una Web Ellis Cup?
La ragione sta forse proprio nel loro focus: mentre le migliori nazionali boreali si danno obiettivi a quattro anni e solo per i Mondiali riescono a "estorcere" i tempi giusti per preparare i giocatori, i Tutti Neri devono vincere ogni anno e ogni Test. Nello sport ma non solo, la vittoria evidentemente logora chi la cerca acriticamente, sempre e comunque.

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