Italia down and under
Ci siamo, inizia sabato il giro di tre test match dell'Italia (e della Francia) down under con Australia e Nuova Zelanda, in contemporanea con gli impegni dei Lions e il secondo scontro Inghilterra - Argentina.
Approfittiamo dell'attesa per smarcare un po' di considerazioni "politiche" e generali prima di focalizzarci sui piu' motivanti e interessanti fatti sportivi.
Va innanzitutto chiarito che visitare ( e perdere con) squadre molto piu' avanzate della nostra non comportera' perdite di punti nel ranking Irb. Infatti gare tra squadre con dieci o piu' punti di gap (piu' tre per scontare l'effetto "casa") mettono in palio zero punti; l'Italia attualmente dista quasi 15 punti dall'Australia e piu' di venti dalla Nuova Zelanda. Insomma, andare a trovare Wallabies e All Blacks e' "gratis" dal punto di vista del ranking Irb.
Questo toglie indubbiamente una ulteriore pressione dai nostri. Ricordiamo, l'Italia e' scesa al dodicesimo posto Irb dopo il Sei Nazioni e ora e' pressata dal Canada che ha appena rimpiazzato la Georgia subito dietro di noi, dopo averla battuta in Colorado.
Di fatto non perderemo punti ma nemmeno avremo l'opportunita' di recuperarne: Dondi affermo' che si va a giocare contro "quelli bravi" per alzare il livello dei nostri, ma forse siamo solo di fronte alla solita (in-)capacita' della Fir di pianificazione persino nel breve periodo. Si naviga a vista, dai test match alla Celtic prossima ventura.
La logica "andiamo con quelli bravi" e' in fondo la medesima da dieci anni a questa parte, dal Sei Nazioni all'approdo alla Celtic League.
Nulla di sbagliato in se', se venisse inquadrato all'interno di un piano formalizzato e condiviso con tutti i constituents del rugby italiano, contenente una serie di misure ben piu' strategiche e dal respiro temporale piu' ampio che non la partecipazion e alla Celtic League o la duplice sfida agli All Blacks.
Ne volete un esempio? Trovate qui il documento di pianificazione quinquennale del rugby irlandese: dalla culla ai seniores tutto viene analizzato, fissando obiettivi e risorse con una visione omnicomprensiva.
L'assenza di un livello di condivisione, pubblicita' (quindi chiarezza) e spessore moderno e business oriented paragonabile a quanto descritto nel piano irlandese, rischia di provocare risultati nefasti per il rugby italiano, a causa di due fattori impliciti nell'approccio scelto dalla Fir:
- la messa in secondo piano dei campionati nazionali e con essi di scuole, allenatori, preparatori di base e quindi dei vivai, puntando come da dieci anni a questa parte sul vertice del movimento, sperando in improbabili meccanismi di trascinamento top down;
- la campagna pilotata dalla Fir di delegittimazione e svuotamento dei club, addossando a questi la responsabilita' di scelte strategiche compiute col suo pieno avallo (cioe' vivai chissenefrega e stranieri a profusione per poi "equipararli"), al fine di far passare nell'opinione pubblica il modello per "franchigie" centraliste sotto il suo controllo.
Il paradossale output dell'approccio "andiamo con quelli bravi" e' che sempre meno aborigeni crescono e sempre piu' "equiparati" ti ritrovi, perche' ti confronti con obiettivi a breve termine.
Non si tratta di discorsi teorici: tornando all'attualita', guardiamo la squadra "italiana" annunciata contro l'Australia:
15 Luke McLean; 14 Kaine Robertson, 13 Mirco Bergamasco, 12 Matteo Pratichetti, 11 Alberto Sgarbi; 10 Craig Gower, 9 Pablo Canavosio; 8 Sergio Parisse (captain), 7 Mauro Bergamasco, 6 Alessandro Zanni; 5 Carlo Antonio Del Fava, 4 Quintin Geldenhuys; 3 Fabio Staibano, 2 Leonardo Ghiraldini, 1 Salvatore Perugini. Riserve: Franco Sbaraglini, Ignacio Rouyet, Marco Bortolami, Paul Derbyshire, Tito Tebaldi, Kristopher Burton, Gonzalo Garcia.
Quanti sono i giocatori "di formazione italiana"? Con Craig Gower - cui facciamo peraltro un convinto in bocca al lupo, come a tutti gli altri schierati - uno che manco sa come si dice "mischia" in italiano e crede che l'Umbria faccia parte della Toscana, siamo alla "tratta" degli australi e sudafricani, peraltro apertamente sponsorizzata da Mallett sin dal suo arrivo e destinata a soppiantare quella se vogliamo piu' plausibile, giustificabile e "mimetica" degli oriundi argentini.
Cio' viene agevolato dallo stato inconsistente delle leve italiche, vero, tramortite gia' dalle scelte dei club, vero anche questo. Il motivo di tutto questo (non bevetevi la propaganda centralista anti club della Fir, ragazzi) parte da lontano, da precisi approcci da parte della Fir focalizzata sul breve termine, da cui le strategie Mallettian-Dondiane riguardanti persone e organizzazione che qui stiamo criticando e che rischiano di approfondire la catastrofe.
Un esempio della logica opposta all' "andar coi bravi"? La vecchia conoscenza John Kirwan allena da tre anni la nazionale giapponese, compagine che preconizzo diventare per noi molto piu' pericolosa del Canada o della Georgia nel prossimo futuro.
Orbene, Kirwan ha dichiarato che avere una franchigia giapponese nel futuro Super15 asiatico-australe come offerto da O'Neill della ARU Australiana, rappresenterebbe un disastro per lo sviluppo del rugby nel Paese del Sol Levante.
In sintesi: "Abbiamo bisogno di un campionato nazionale forte se vogliamo tirar su una base di 2-300 buoni giocatori che servono per una Nazionale di buon livello. Una (o due) franchigia basata a Tokio farebbe solo fuggire la gran parte degli sponsor e minerebbe i club e quindi lo sviluppo del movimento". Vero e' che anche in Giappone stanno importando Pacifici e altro a profusione, ma Kirwan parla forse per conoscenza dei fatti nostrani?
Del resto come le Celtiche e in primis Irlanda insegnano, l'approccio a "selezioni" funziona solo se tanto per cominciare e' radicato nel territorio, e se si puo' contare su un movimento di base forte, incentrato su scuole e club a promuovere e gestire i vivai: alla Celtic avrebbe senso arrivarci DOPO che si ha tutto questo, non prima.
Se si vuole sbarcare in Normandia, si deve prima mettere a punto una complessa macchina logistica, altrimenti si rischia un piu' italico "fascisti su Marte".
Torniamo a giocare in Italia, sul territorio, con Italiani, partendo dalle scuole.
E' la lezione che arriva da anni proprio dalle future partner Celtiche, ma che viene confermata quest'anno anche dai maggiori campionati europei: vincono Leicester, la citta' del rugby, e Perpignan, un posto dove il rugby significa identita', addirittura nazionale (catalana).
Bellissimo e' l'articolo su SudOuest a proposito di rugby e identita' a Perpinya': un concetto che affonda le radici addirittura ai tempi dell'opposizione al franchismo in Spagna, quando il Barca stesso non poteva sbilanciarsi piu' di tanto nella sua contrapposizione al Real Madrid e si giocava sulll'extraterritorialita' della "Catalunya del Nord", e che continua ad essere declinato nella sua modernita' (e nei suoi risultati) tutt'altro che passatista.
Alla faccia di quelli che "Il rugby va DELOCALIZZATO nelle grandi citta' e va spinto in tv": facciano pure dico io, se riescono a schiodare iniziative private in contesti del tutto "calcificati" senza "aiutini" centralisti come fatto a Parigi, ma non a spese del radicamento territoriale e identitario.
Se torniamo per un attimo in Italia per davvero, a proposito di radicamento identitario due sono le notizie interessanti: la prima e' che l'Aquila seconda classificata della serie A, accedera' anch'essa all'ultimo Super10 prima della sua fine, per via dell'abbandono della Capitolina.
La seconda e' che mentre molti club (ad es. Petrarca, Venezia) decidono il ridimensionamento con motivazioni tattiche (ce 'sta 'a crisi) ma in realta' per ragioni strategiche (Celtic incombente), Benetton Treviso si da da fare sul mercato in modo frenetico.
Ufficializzati gli arrivi del pilone Rizzo dal Petrarca di cui fu capitano, di Veermak lock della Capitolina, dei viadanesi Ruyet (pilone) e Steven Bortolussi (estremo), adesso ingaggiano nientepopodimeno che Luke McLean, il 23enne estremo/apertura azzurro del Calvisano. Lasceranno la Marca Michael Barbieri (per il Canada), Horak (Saracens), Labuschagne (Inghilterra) e Louw (Giappone).
Un attivismo che procura ulteriori elementi a favore della candidatura trevigiana in solitaria (almeno per ora) alla Celtic League, nonostante gli strali federali.
Sapranno farsene una ragione in Federazione, appellandosi agli esempi scozzesi e gallesi (Cardiff Blues e' un club, Ospreys e' una selezione) oppure in nome del potere spareranno senza paura anche contro un bersaglio sempre piu' ingombrante, anche dal punto di vista delle "carte" (contratti) a sua disposizione? La risposta entro luglio.
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