giovedì 12 novembre 2009

"Troppo violento per mio figlio"

Sono i giorni dell'innamoramento: l'Italia scopre di avere una nazionale di rugby non solo in occasione del Six Nations, ma anche nel resto dell'anno. Merito del test match - erroneamente definito amichevole - contro gli All Blacks che farà registrare il tutto esaurito a San Siro. E poi, tra una settimana, l'altra partita contro il Sud Africa campione del mondo e numero 1 del ranking mondiale, in quel di Udine dove non mancherà RightRugby per motivi sui quali è inutile soffermarsi.

Milano scopre gli All Blacks, gli italiani scoprono la Nuova Zelanda, la gente conosce i tifosi che seguono le trasferte delle nazionali e che non si comportano come gli hooligans del calcio. E via di questo tono: sono le cronache di giorni diversi, che tempo una settimana e torneranno nel cassetto della memoria. Ma l'impatto c'è ed è solo una buona notizia, visto che dietro le quinte c'è una federazione incapace di prendere le scelte migliori per il nostro rugby.
In questo contesto, balza all'occhio un articolo di Mark Reason, una delle firme di sport più seguite Oltremanica. Da giovane ha indossato gli scarpini e giocato sui campi da rugby d'Inghilterra, ma oggi non vorrebbe che suo figlio si mettesse a fare altrettanto. Colpa della violenza che ha preso piede nella palla ovale. Andiamoci piano con il giudizio, perché Reason non è il giornalista italiano che improvvisamente si sveglia e denuncia i colpi proibiti che immediatamente vanno alla ribalta: "E poi dicono che il rugby è uno sport nobile", è il commento che spesso accompagna la requisitoria da Pubblico ministero dell'osservatore improvvisato.
Piuttosto, il cronista britannico porta dalla sua le opinioni di alcuni ex giocatori che ammettono: in effetti, afferma Fran Cotton, ex pilone della nazionale e dei Lions, "la Premiership ora è solo una guerra". Colpa di placcaggi alti, spear tackle che teoricamente sono stati banditi e di placcaggi in aria che si vedono troppo facilmente sul terreno di gioco (nella foto, Brian O'Driscoll messo fuori gioco dal placcaggio con la spalla di Tana Umaga nel tour dei Lions in Nuova Zelanda, ndr).
Concordiamo, più che altro perché si tratta di una questione di disciplina. Se la legge dice che è sbagliato, non va fatto. Ovviamente, occorrerebbe che gli sceriffi di turno (gli arbitri) tenessero gli occhi ben aperti e non si facessero problemi a sventolare i cartellini appropriati. Tendenza che sembra prendere piede. Sembra.
Gli infortuni si stanno facendo sentire, d'altronde. Le nazionali impegnate nei test matches di novembre sono decimate. Dei giganti di questo sport sono fuori gioco, come Phil Vickery, che Reason ha incontrato la scorsa settimana mentre era impegnato a intrattenere alcuni pargoli con una partitella di mini-rugby: "I bambini erano eccitati nel vederlo. Le mamme e i papà avrebbero visto in lui un giocatore di rugby prossimo a farsi operare per la terza volta al collo". Reason ha interrogato anche Nigel Baker, che allena gli under 16: "Ho una foto di un ragazzino che ha subito uno spear tackle la scorsa stagione. Quando ha toccato il suolo, è stato penalizzato per non aver lasciato il pallone", racconta.
Come volevasi dimostrare: l'arbitro avrebbe dovuto fischiare un fallo - e sventolare un giallo - all'autore del placcaggio, al contrario ha preso di mira un ragazzino che probabilmente sarà rimasto pure un po' frastornato dal placcaggio. E se non si insegnano le regole a quell'età, difficile che da grandi possano fare meglio. Sia gli arbitri che i giocatori.
E' probabilmente uno solo il motivo di questo inasprimento: il professionismo. Sia chiaro: non è un'accusa nei confronti del professionismo in sé. Ma come spesso ha sottolineato uno con la vista lunga, il nostro - diciamo così - mentore Vittorio Munari, si è finiti negli ultimi anni per assorbire alcuni degli atteggiamenti che rovinano uno sport come il calcio. Uno fra tutti, le lamentele per alcuni decisioni arbitrali o le zuffe tra più giocatori e non più il sano regolamento di conti tra gli stretti interessati. E poi, in conclusione, il professionismo ha generato un nuovo tipo di giocatore, che passa tutta la giornata ad allenarsi sul campo o in palestra. Ed ecco il motivo dello sviluppo fisico che Reason giudica come una delle cause dell'eccesso di violenza.
Il rugby è uno sport per giganti o è ancora uno sport per tutti? Beh, ovvio che rimane per tutti. Ma è altrettanto ovvio che agli alti livelli sono richieste skills, attitudini sempre migliori. Anche fisicamente parlando.
Con l'augurio che Callum, il figlio di 10 anni di Reason, possa presto giocare e divertirsi a rugby, ci auguriamo pure che lo spirito di questo sport rimanga intatto nonostante i tentativi di spear tackles.

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