martedì 1 dicembre 2009

Bilanci Nazionali - Le Australi

Mentre i coach degli All Blacks annunciano che non manderanno in campo tutti i loro campioni (non ci sara' di certo Dan Carter ad esempio) nel weekend prossimo contro i Barbarians di Mallett, "arricchiti" dal dente avvelenato di Joe Rokocoko a fianco di stelle come Matt Giteau, Rocky Elsom, Bryan Habana, Fourie du Preez , con Carlo Del Fava titolare a fianco di Victor Matfield, il socio Gendenhuys in panchina e Totò Perugini titolare in prima linea con JP Nel del Cheetas (il migliore nr.3 sudafricano, lasciato a casa da DeVilliers non si sa perchè) e Bismark in mezzo; e' tempo di bilanci post Test match di novembre. Iniziamo dalle australi.

Nuova Zelanda

Non arrivava in Europa del tutto serena la squadra Tutta Nera dopo il TriNations perso, per giunta in casa, per manifesta incapacita' di reagire all'approccio innovativo messo in campo dagli Springboks. La reazione al trauma era stata il piu' classico dei "denial", avanzando dubbi poco sportivi sulle qualita' dei sudafricani e del loro gioco (la querelle sul "aerial ping pong", con tanto di richiesta di estensione del mark a meta' campo), in cui i commentatori piu' boccaloni sono caduti come polli.
Ovviamente trattavasi di diversivo da parte dell'esperto coach Henry, volto a levar pressione dai giocatori e consentire un "regroup" mano a mano che la condizione fisica di colonne imprescindibili come Carter e McCaw tornava "a norma" e che settori chiave del gioco come la rimessa laterale venissero ristrutturati.
Nel mentre a fine Trinations con Donald la Nuova Zelanda calciava alto molto piu' che non il Sudafrica, ma i soloni della critica continuavano ad abboccare all'amo di Graham, eccheccevoifa'.

Arrivati in Europa dopo la passeggiata a Tokio con gli Australiani, gli All Blacks han subito mostrato alle europee la dura realta' di un team finalmente ricondizionato e ricostruito: i soliti gia' visti con qualche esperimento come il giovane Guildford e il lock Donnelly.
I Kiwis si sono rivelati ancora la solita macchina macina risultati; se ne accorge per primo il Galles, annichilito nel primo tempo dalla onnipresenza e aggressivita' sul punto di impatto della terza linea Tutta Nera McCaw-Kaino-Read (quasi settanta placcaggi contro meno di trenta), mentre Carter puniva ogni indisciplina avversaria e le fonti di gioco statiche (rimessa, mischia) lavoravano a pieno regime.
La capacita' nel secondo tempo dei Kiwis di alzare ulteriormente il ritmo gia' pazzesco per gli standard europei, schiantava definitivamente i gallesi, non abituati a tale intensita' di gioco.
Arriva poi l'Italia, impegno sulla carta adatto al tuning e a visionare qualche alternativa, senonche' gli Azzurri fanno emergere un grosso problema non risolto, la mischia chiusa: i tight five disponibili, soprattutto i rincalzi, non reggono la sfida col pack Boreale piu' esperto e micidiale visto in questo Novembre. Il Galles, alle prese con l'assenza di Adam Jones davanti e con Charteris e il pur gonfiato Alu-Wyn Jones abili ma non certo colossali al sostegno della prima linea, non era stata in grado di evidenziare quel problema. E' stato significativo il nervosismo di coach Graham Henry e il suo appello al compagno di merende neozelandesi Paddy O'Brien, Gran Sacerdote del Sinedrio Mondiale degli Arbitri: era preoccupatissimo per il disvelarsi di tale buco nero in vista della sfida chiave con l'Inghilterra, per non dire di quella successiva coi francesi.
A Twickenham invece on succede niente: gli inglesi hanno perso tutti i titolari davanti, Tim Payne e Duncan Bell col focoso Hartley in mezzo non sono in grado di impensierire gli All Blacks nelle fasi statiche; in quelle dinamiche i mastini Shaw, Borthwick, Worsley, Moody e il peso di Haskell si impegnano allo spasimo per tamponare i Tutti Neri, e ci riescono con un grandissimo display difensivo, agevolato da un triangolo allargato ultra fisico (Banahan, Monye, Cueto).
Anche qui pero' come contro il Galles alla fine ci scappa la meta singola Tutta Nera anche durante lo stallo il piede di Carter conduce la danza. Alla fine e' vittoria netta e mai in discussione anche se alquanto sudata.
L'apoteosi All Blacks e' rimandata a Marsiglia con la Francia.
Il pack Kiwis inizia male come con l'Italia: Barcella-Servat-Marconnet sono gia' li' a darsi cinque come fanno i piloni (a testate), ma Woodcock-Hore-Tialata invece di preoccuparsi si fanno l'occhiolino. Difatti nel giro di venti minuti diventano dominanti: alla mezz'ora mandano in meta Kaino (in foto), con una azione umiliante (per i francesi) di mischia chiusa.
Anche perche' nel frattempo il morale francese era stato scosso per bene dalla cavalleria, con Sivivatu e Muliaina a infilare due volte lo sconcertato reparto arretrato dei Bleus, evidenziando il mismatch di potenza al centro e all'ala. Piu' tardi anche l'ala "piccola" Cory Jane potra' usare al meglio uno dei pochi ovali gestiti e Conrad Smith trova la meritata meta: due ali, estremo, centro e pack in meta, piu' 14 punti di Dan Carter, una supremazia schiacciante.
Anche a Marsiglia, aldila' della tenuta della prima linea, la Nuova Zelanda vince perche' e' del tutto padrona delle fasi dinamiche, mettendo in campo intensita' nel gioco aperto sia in fase di possesso che senza. Merito della terza linea ma anche dei centri.
Il tutto viene amplificato dalla sicumera francese pre gara, del tutto opposta alle iper-cautele inglesi: credevano di suonarle agli All Blacks, invece avrebbero dovuto studiar meglio la formazione, come rimpiazzare le assenze di peso in terza linea (Harinorodoquy, Picamoles; forse Lievremont pensava bastasse inserire Chabal in seconda), col piccolo ancorche' abilissimo Clerc contrapposto al peso massimo Sivivatu e un duo centrale letteralmente surclassato dalla coppia da Wellington meglio assortita al mondo, Ma'a Nonu e Conrad Smith. Poi dice che Dupuy ha sbagliato troppi calci: e vorrei vederlo a mantenere la lucidita' quando non ti fanno respirare.
Tour massacrante per i Kiwis (4 gare di livello, piu' anticipo di Tokio con l'Australia e posticipo coi Barbarians), concluso con l'ennesimo Grand Slam dell'era Henry; sorprendente che Richie McCaw venga eletto Man of the Match sia a Twickenham che a Marsiglia, e che si porti a casa il secondo titolo di Irb Player of the Year, lui che aveva iniziato il TriNations partendo dalla panchina?
L'unico problema se proprio volgiamo evidenziarne uno e' che, gira gira con Henry si torna (a ragione) sempre ai soliti McCaw, Carter, Muliaina, Thorn (34 anni), Hore (31) a portare il Cristo e cantare la Messa, e tutti gli altri nella media dei 27, 28 anni.

Sudafrica
Il tour autunnale sudafricano si commenta contemplando i risultati: una vittoria con l'Italia, due sconfitte con Francia e Irlanda, senza contare quelle non-test con Leicester e Saracens.

Se andiamo a veder meglio, le due sconfitte avvengono senza subire il gioco avversario (una meta a testa con la Francia, una con l'Irlanda contro zero) ma piuttosto cedendo terreno e punizioni, soprattutto nei secondi tempi, in cui i Boks segnano ZERO punti nelle due gare perse.
I primi tempi invece sono retti piu' che dignitosamente nei due campi piu' difficili d'Europa in questo novembre: sotto 14-13 contro la Francia, avanti 6-10 con l'Irlanda. E' stato insomma esaurimento fisico e mentale, confermato dall'imprecisione - persino contro l'Italia - di un cecchino come Morne' Steyn.
Ci sono nazionali sudafricani che tra Super14, tournee' dei Lions, TriNations, Currie Cup e Test quest'anno han superato le 2.000 minuti giocati, sostiene coach Peter de Villiers, e sono stati pagati nel tour autunnale. E' un prezzo tuto sommato ragionevole, considerando i risultati dell'anno 2009 per i sudafricani. Anche la perdita della prima posizione del ranking potrebbe far gioco, togliendo pressione ai campioni del Mondo e dell'Emisfero in carica.
L'ultima gara con l'Irlanda e' stata un paramount del tour: rispolverano la prima linea del 2007 con Mtawarira piu' BJ Botha e John Smit terzo pilone a tallonare. Per gli irlandesi non ce n'e', sembrano i neozelandesi contro l'Italia. Equilibra le cose il predominio di O'Connell - O'Callaghan in rimessa su Bekker-Matfield (l'ombra di se' stesso) ma nel rimo tempo il Sudafrica occupa la meta' campo irlandese e passa di potenza con Shalk Burger, l'uomo meno popolare in Irlanda per le sue antiche ditate negli occhi. Poi finisce il tempo, alla ripresa la meta' campo venduta e' quella sudafricana e la partita scivola in mano o meglio ai piedi di Jonathan Sexton, tra gli errori incredibili di Morne' Steyn (zero su tre dal 35' in poi).
Il lavoro da fare ora per per gli Springboks e' prima di tutto rilassarsi fino a febbraio, poi consolidare il buono che han messo in mostra nei primi tempi, ivi inclusa la interessante opzione del ritorno di John Smit a tallonatore nei casi di pack avversari potenti ed esperti. S'e' visto anche qualche giovane interessante da sviluppare. E' importante non si facciano condizionare mentalmente da sconfitte maturate per mancanza di benzina. Soprattutto dovranno studiar bene come diminuire i carichi di partite per i nazionali in previsione 2011: Super14 e TriNations non si toccano, il problema e' che in Sudafrica la Currie Cup e' una cosa dannatamente seria.

Australia
Un tour partito bene con la vittoria sugli inglesi, virato sul punto di domanda dopo il pareggio in Irlanda, caduto sul deludente nera con la sconfitta in Scozia, risorto dopo la piu' che convincente vittoria sul Galles.
Le prime tre gare han fatto vedere la solita Australia, una squadra invidiabile per talento e esperienza in tutti i reparti (forse la piu' completa di tutte) e come se non bastasse ricca di giovanissimi in rampa di decollo, su tutti Pocock, l'erede piu' probabile di McCaw, Quade Cooper e il Papua Will Genia (in foto). Ma anche un team mentalmente fragile, incapace di inchiodare le partite che ha in mano: l'ultima azione dell'Irlanda che ha portato alla meta del pareggio di O'Driscoll, grida vendetta al cospetto degli dei del rugby (molto simile tra l'altro alla meta di Garcia col Sudafrica). "Relax" della difesa e irridente facilita' di penetrazione del grandissimo centro irlandese; ancor peggio e' stata la lezione su come si perde una partita al Murrayfield con la Scozia, dopo aver sfiorato la meta quattro volte e avere tra i piedi la palla della vittoria.
Coach Deans deve aver visto nero. Invece quando tutti, soprattutto in Patria avevano gia' stilato verdetti impietosi, parlando addirittura di vergogna, nella gara con il Galles l'Australia ha offerto al suo coach e a tutti gli spettatori una grande prova di concentrazione e intensita' per ottanta minuti interi, cosa mai vista da due anni a questa parte.
La partita 'e sempre in pieno controllo Aussie, nel primo quarto pressocche' ogni azione d'attacco e' trasformata in meta (Ioane, il lock Horwill all'ala dopo una azione alla mano coinvolgente entrambe i piloni, il grandissimo Pocock); i Wallabies controllano agevolmente le fonti di gioco (Robinson, Moore e Alexander schiantano la prima linea gallese, in particolare non regge Paul James) e la linea del vantaggio, resa impenetrabile dal dinamismo dell'ingaggio in ruck con pochi uomini e dalla velocita' di riciclo degli ovali in attacco (grande Genia, bravi tutti con le mani). Dopo la quarta meta di Polota Nau al 60' il Galles prova la reazione d'orgoglio, ma gli Australiani hanno qualcosa da dimostrare al coach e all'opinione pubblica di casa, e reggono in trincea per dieci, venti minuti senza concedere nulla ai padroni di casa e al risultato gia' acquisito.
Sono come sempre terzi nel ranking, unici australi a tiro dell'Irlanda, ma i Wallabies hanno offerto la prima prova convincente dal primo all'ultimo minuto del 2009.
In piu' con quei giovani gli Aussie hanno il futuro nelle loro mani: le altre nazionali ne scovano uno o due e cantano vittoria, loro hanno almeno quattro ventenni-ventiduenni eccellenti. Li vedremo se confermeranno questi progressi l'anno prossimo, per capire se potranno attraversare il Mar di Tasman e fare l'ennesima sorpresaccia ai cugini Neozelandesi.

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