Risse, spintoni, lati ciechi e teste sciolte del rugby
Visto l'inatteso successo del post precedente sulle maglie "lettered"di Leicester - una mera scusa per ciàcolar di storie di rugby - in assenza di eventi "pregnanti" continuiamo come piace a noi appassionati: niente oziosi discorsi di circostanza da salotto o lezioni di scuola, ma gomiti sul tavolaccio davanti al boccale, rutto libero (ma con un certo stile, mica siamo dei CurvaSud) e condivisione di storie, di senso di nomi e tradizioni.
In quel post ci chiarivamo tra l'altro di dove arrivasse il nome "backs" (dietro, arretrati) per quelli che nel rugby sono diventati poi i protagonisti delle fasi d'attacco. Restava da chiarire in appendice come mai da noi li chiamiamo "trequarti": anche qui la risposta è storica e ci arriva dai francesi. Come il calcio, il rugby in Italia fu introdotto a fine Ottocento, primi del Novecento da Expatriates inglesi, ma si sviluppò durante il Ventennio e soprattutto dopo la Guerra, prendendo i Cugini Transalpini a riferimento - con tanto di coach, giocatori e visite più o meno guidate - anche nella nomenclatura (ma non purtroppo nel gioco champagne).
La denominazione francese trois quart origina da una divisione convenzionale del terreno di gioco in quattro sezioni o "quarti": la prima degli avanti, la seconda dei mediani - "demi", d'ouverture e de melèe, traduzione diretta dell'inglese "half" (backs); il terzo quarto del campo è per l'appunto occupato dai "tre quarti" mentre la quarta parte in fondo è pertinenza dell'arrière (arretrato, estremo), che in Francia era chiamato anche "quatrìeme quart". E impariamo allora che se l'estremo è certamente un back (in inglese fullback: tutto indietro), a rigore non sarebbe un trequarti ....
Dalla latina Francia ci arrivano anche le altre denominazioni: per noi del Continente i piliers (pilastri, piloni) sono semplicemente "destro" e "sinistro", mentre per gli anglosassoni i "prop" (puntelli) sono meglio caratterizzati. La questione apparentemente solo nominalistica ci dà l'opportunità di addentrarci per una volta nel ruolo più specialistico e apparentemente mono-tonale del rugby (il neofita si stupisce della quantità esorbitante di Man of the Match Award vinti dai piloni), protagonisti di quella che NON è (più) solo la ripresa del gioco: la mischia "ordinata" (dall'arbitro).
[Inciso: a proposito di mischia ordinata e di ripresa del gioco: in inglese "mischia" nel senso di gruppo di avanti si dice "pack", cioè muta, branco, mentre la mischia ordinata è scrum, da scrummaging a sua volta derivato da scrimmage, letteralmente rissa, tafferuglio. Il termine ben raffigurava il gioco del rugby agli albori - lo ricorda Oscar Wilde: "una partita di rugby è una ottima scusa per togliere qualche decina di energumeni dalla circolazione". Ai tempi era tutta una maul (lett.: pestaggio, spintonata: oggi si direbbe pogo), ripetuta ad libitum, con alcuni ragazzini schierati "back", dietro, a calciar lontano gli ovali emergenti; al che tutti si disincagliavano dal groviglio e si lanciavano verso il nuovo punto .... di rissa più che di incontro. Quando la palla usciva dal campo o risultava ingiocabile, l'arbitro - o prima ancora i capitani - chiamavano la ripresa del gioco dal punto: i due pack si dividevano, andando ognuno dalla sua parte rispetto alla cosiddetta linea di scrimmage, che si chiama ancora così nel football americano.]
Torniamo ai due prop: gli inglesi distinguono due ruoli specifici, loosehead ("testa sciolta") e tighthead ("testa stretta"). Tale denominazione designa non la morfologia del capo o l'attitudine mentale, ma la modalità di "incastro" tra avversari in prima linea. Il pilone sinistro rimane con la testa loose verso l'esterno e spinge applicando la forza sulla sola spalla destra addosso al pilone destro avversario; il pilone destro infila la testa tight tra quelle del pilone sinistro e del tallonatore opposti, quindi spinge con tutt'e due le due spalle ma contro due avversari. Il tallonatore - hooker (arpionatore, ma anche ... adescatore, ladro) a volte detto rake (rastrello) è il terzo front rower, in mischia sta in mezzo ai piloni, tight tra il suo omologo e il tighthead avversari. E' l'unico autorizzato ad alzare i piedi in mischia; terminato il tentativo di "arpionare" la palla per tallonarla indietro verso il nr.8, deve trasformarsi in terzo pilone e spingere.
I nomi - inglesi - illuminano: delineano l'esistenza di due ruoli distinti tra piloni, spesso confusi tra loro, che richiedono differenti tecniche, tattiche, tipologie di skill e approcci mentali. Non ci si dovrebbe stupire insomma che Totò Perugini soffra quando per necessità viene schierato sul lato "sbagliato" (il destro nel suo caso): è di fatto un ruolo diverso. Prendendo in considerazione solo i compiti in mischia ordinata (poi ci sarebbero la rimessa, le ruck, i pick and go, la difesa e l'attacco ...), un buon pilone sinistro rappresenta l'ancoraggio fisico e anche mentale della squadra (mischia dominante è squadra dominante): solidità, concentrazione e intensità sono le sue parole chiave, per lui arretrare non è una opzione. Lavora in simbiosi col tallonatore contro il pilone destro opposto; sua la responsabilità di mantenere stabile la mischia su introduzione propria.
Il pilone destro è la versione d'attacco del collega, il guastatore: su introduzione avversaria deve mirare a scardinare la prima linea opposta, da solo contro due ma col vantaggio di spingere dall'interno sul lato del collo del pilone opposto o del tallonatore, senza lasciar scivolare la testa dell'avversario sotto il suo petto e farsi "stappare". La propensione mentale al gioco offensivo ne può fare un ottimo ball carrier, come Martin Castrogiovanni. Finiamola qui, ci siamo già sbilanciati abbastanza, non vorremmo suscitare le ire funeste di qualche specialista che ne sa sicuramente molto di più, ad esempio su come e quando far ruotare la mischia, come sbilanciare il tallonatore avversario o sull'importanza del sostegno dalla seconda linea e del puntello dalla terza.
Dove possiamo giocare "in casa" è nella back row, detta più modernamente loose forwards (avanti laschi, che oggi comprendono anche la seconda linea), tre figure un tempo legate assieme in una vera e propria "terza linea" in spinta dietro alla seconda, che si sono andate differenziando e specializzando. Tale è l'importanza che ha assunto nel gioco moderno, che il primo posto dove cercare indizi sul funzionamento buono o scarso di una squadra è la terza linea: il nome di Richie McCaw dovrebbe bastare a chiarire il concetto e nel passato, Zinzen Brooke o Graham Mourie solo per rimanere tra i Kiwis (e non citare la marea di terze linee sudafricane che han fatto la storia di questo sport e non solo, cfr. Francois Pienaar, quello di "Invictus").
Nella terza linea, le due ali sono da tempo "migrate" nella mischia ai lati dietro ai piloni e il number eight è l'unico lasciato come una volta in fondo, dietro alla seconda linea. Nel Continente è "terza centro", un tempo per gli inglesi era il "lock" (serratura, blocco), nome passato oggi alla seconda linea - fatto significativo, dice innanzitutto che le tradizioni non sono conservazione cieca. Nel merito, il cambio di nome rivela che il compito principale del nr.8 NON E' PIU' assicurare la tenuta del "blocco unico" in mischia, che è ora della seconda linea, addirittura prima delle responsabilità in rimessa laterale.
Il terza centro detiene il ruolo di "timoniere" (skipper) della mischia: un posto ricco di decisioni da prendere e di responsabilità nei confronti dei compagni, tanto che si considera parte della "spina dorsale" della squadra col tallonatore, i due mediani e l'estremo. Nel tempo il ruolo di "cerniera" tra reparti backs e forwards tipico della terza linea s'è evoluto e al numero otto è oggi richiesto di usare l'autorità e la visione tattica anche per partecipare al presidio del campo arretrato sui calci avversari. Così troviamo oggi, accanto a numeri otto tradizionali " leader d'assalto" alla Lawrence Dallaglio, anche giocatori più mobili e longilinei, importanti in rimessa laterale, tatticamente duttili e capaci all'occorrenza di calciare in touch o tentare il drop come Sergio Parisse o anche di piazzare, come Colin Bourke di Bay of Plenty.
Dulcis in fundo, siamo giunti alle "terze ala", un tempo detti anche breakaway o flank forward, ruolo peculiare del rugby Union - nel League si gioca in tredici proprio perchè han tagliato questi due. Anche per loro nel Continente non si fanno gran distinzioni nominaliste (sono terza ala e basta, al massimo destro e sinistro), mentre l'inglese è più sottile e aiuta a capire. Innanzitutto entrambi sono flanker (fiancheggiatori), perchè dal fondo si sono spostati ai lati della mischia.
Il blindside flanker gioca sul "lato cieco" della mischia ordinata, cioè il lato stretto del campo, quello opposto a dove sono schierate le linee dei trequarti. Ne deriva che costui deve sapersela sbrigare da solo, nel caso il numero otto avversario o altri decidano di penetrare da quella parte: deve possedere il killer instinct nei placcaggi di uno che sa che se viene superato, rimane solo l'estremo. Dovendo poi solitamente girare attorno alla mischia per raggiungere i punti di contatto, ci arriva spesso dopo gli altri: nel gioco moderno è quindi fondamentale nei pick and go e come ball carrier lanciato, mentre un tempo era solo fisico e zero velocità, quasi un seconda linea aggiunto utilizzato anche in rimessa: tipicamente un aggressivo Maori tatuato o un Isolano non più cannibale da pochissime generazioni.
Ok ma, se è vero che i piloni loosehead in mischia stanno sempre a sinistra e quelli tighthead sempre a destra, esiste anche un lato della mischia fisso per il blindside e l'openside? La risposta è sfumata: non è detto quale lato sia cieco o aperto, dipende dal punto dove si forma la mischia; quindi i due terza ala possono scambiarsi il lato. Ma non è detto. Una volta lo facevano regolarmente, soprattutto i flanker anglosassoni, selezionati con skill e morfologie differenziate (il blind alto e forte, l'open compatto e veloce) e l'openside stava sempre nella parte interna della mischia rispetto al campo; una delle prime eccezioni notevoli fu "lo squalo bianco", lo scozzese John Jeffrey che in mischia stava sempre a destra dietro al tighthead; i francesi han sempre privilegiato le terze ala flessibili e quindi li han quasi sempre tenuti sinistri (nr.6) e destri (nr.7) indipendentemente dal lato blind o open, come ad esempio i mitici Serge Betsen (ancora in attività) e Olivier Magne.
L'evoluzione del gioco moderno ha portato a più gioco dinamico (oltre 200 placcaggi a partita contro una ventina di mischie ordinate o poco più), per cui l'importanza del posizionamento in mischia delle terze ala è diminuita nel tempo, mentre cresceva la loro crucialità nel gioco dinamico, esplosa poi con le ELV, i grillotalpa e la crucialità del recupero del possesso palla, oggi la terza "fonte del gioco" con mischia e rimessa laterale.
I Sudafricani e gli Australi in genere hanno grandemente sviluppato il ruolo delle terze linee, trasformandoli da "cerniere" in protagonisti assoluti delle fasi dinamiche sia d'attacco che di difesa e differenziandone le tipologie come un tempo, ma non per via della posizione in mischia ordinata. In Sudafrica il nr.6 si schiera openside, è deputato al "primo intervento", dev'essere agile, compatto e con le braccia lunghe, per essere attrezzato a fare l'impavido fetcher (quello che fa il grillotalpa per recuperare il possesso). Tipo Heinrich Broussow, il miglior giocatore nel Lions Tour e nel Tri-Nations 2009; il suo alter ego ed erede, l'australiano David Pocock, è invece nr.7 come Richie McCaw e tutti gli openside europei, con l'eccezione dei francesi tuttofare (è difficile non identificare Thierry Dusatoir, numero sei in nazionale perchè "a sinistra", con l'openside perfetto).
Il nr.7 sudafricano è un ball carrier che parte "blindside" come Juan Smith; oltre che alto (per dare una mano in rimessa) e potente, in Sudafrica lo vogliono anche veloce, mentre i blindside neozelandesi hanno il nr.6 come gli europei (solita eccezione, i francesi: vedi Julien Bonnaire, il più "trequarti" delle terze linee) e sono dei nerboruti e intimidatori "buttafuori delle ruck" come Jerome Kaino o ai tempi Jerry Collins; in Australia il nr.6 per eccellenza è il poderoso e aggressivo factotum Rocky Elsom.
La questione a questo punto tende a spostarsi dal nominalismo alle scelte tattiche, quindi è meno generalizzabile e storicizzabile, scivola verso la cronaca. Ad esempio, se sulla differenza posizionale tra inside e outside centre non serve spender tante parole, ci sono inside diversi come Ma'a Nonu e Matt Giteau e outside diversi come Mike Tindall e Conrad Smith ... Sarà per un'altra volta.
Ma quanto sarà divertente "cazzeggiar" di rugby?
9 commenti:
altro bellissimo post, all'altezza del precedente se non superiore, complimenti Abr !
La chiosa ideale sarebbe per l'appunto approfondire "come e quando far ruotare la mischia, come sbilanciare il tallonatore avversario o sull'importanza del sostegno dalla seconda linea e del puntello dalla terza."
grazie anonimo. Per quegli approfondimenti vedremo, ma ci vorrebbe un (ex) pilone ....
clap clap clap!
Tnxs Teddy :)
Come mi si gasa il Socio. Bene! Bravo! Tris!
Eh, i francesi sono terribili: cartesiani, hanno il sistema metrico decimale in testa, "pianificano" tutto quello che si trovano davanti. In parte inevitabile, ma quante cose si perdono! Un mucchio di cose che non sapevo...
Tnxs Zamax, conoscere è una delle poche cose che non calano anzi, quando si con-dividono.
Cartesiani al limite del brutale: Je m'en fou è il loro motto nazionale, anche della differenza blind-openside sin da tempi non sospetti, per non parlar del loose-tight ...
Altro bellissimo post !
Tra l' altro sono anche molto interessanti certe "vestigia terminologiche" del rugby rimaste nel football americano ...
E' fuori dall' argomento rugby, ma mi piace ricordare come anche lo scoutismo qui in Italia, nato in Gran Bretagna ed impiantato da appassionati inglesi nella nostra penisola, abbia poi, per svilupparsi, attinto a piene mani, come stile, terminologia ed organizzazione dagli scout d'oltralpe.
Del resto tra Dover ed il Moncenisio si deve pur passare per Calais ! :-)
Eh si, quello che culturalmente oggi sono gli Usa, per tutta l'Europa non solo per noi nella Belle Epoque e anche dopo, è stata la Francia.
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