venerdì 4 febbraio 2011

Six Nations: manifesta superiorità inglese a Cardiff

Six Nations - Millennium Stadium
Wales 19 - 26 England


Che vincere fuori casa non sia mai facile, a maggior ragione nei catini chiusi da quasi 75.000 posti sold out, è dato per scontato. D'altro canto, è altrettanto vero che in questo sport sia quanto meno improbabile inventarsi ciò che non si possiede. E dunque: l’Inghilterra espugna il Millennium Stadium di Cardiff nella prima giornata di Six Nations più difficile che poteva capitarle al momento, mentre il Galles deve fare i conti con una nazionale – sempre quella inglese – che ha tutte le carte in regola per ambire al titolo. Dalla mischia alla mediana e ai trequarti. Un triangolo allargato massiccio, una regia che se la intende a meraviglia, avanti mobili e agili e duttili (come le terze linee che fanno da uomini aggiunti in rimessa laterale), una prima linea che può garantire la sicurezza necessaria. I gallesi vivono di singoli che fanno bene il proprio mestiere (Bradley e Jonathan Davies, ad esempio), ma se vogliono dare un senso al loro stare in campo, devono mettersi seriamente al lavoro.
Il senso fisico dei primi minuti è tutto nel placcaggio di Stephen Jones su Ben Foden: l’apertura gallese rimbalza a terra e i medici controllano che sia tutto a posto. E poi si passa dalla mischia: l’Inghilterra vince la prima, perde la seconda immediatamente successiva, con l’ovale rubato e un calcio di punizione per James Hook defilato da metà campo che esce di poco. Esce anche quello di S. Jones al 7’, da buona posizione.
Ritmo serrato, battaglia nel break down, finché gli ospiti trovano il loro ritmo e tentano la fuga sulla corsia laterale ancora con l’estremo Foden agguantato da Shane Williams. Il metodo è ossigeno per gli uomini di Martin Johnson, che fissano il punto del contatto, vanno dentro con i ball carrier più possenti e urtano la linea difensiva gallese, che alla lunga cede e lascia il buco, dopo aver tentato di rispedire al mittente il postino di turno. Al 14’ è Toby Flood a infilarsi là dove contro ha solo i piloni più lenti Craig Mitchell e Paul James, dopo una lunga serie di autoscontri partendo dalle ruck, e libera la sgambata di Chris Ashton all’interno dei 22: l’ala va a marcare sotto i pali per lo 0-7 che smuove il tabellino. Alla prima occasione lampante, l’Inghilterra scavalca la trincea. Cinque minuti dopo, la pressione costante della terza linea ospite su quella casalinga, nel caso in questione Andy Powell braccato da Tom Palmer, frutta un piazzato per Flood sulla linea dei 22: 0-10.
La prima parte del compito per quelli di Johnson è fatto: riuscire a smorzare il fuoco dei dragoni rossi nei primi cinque minuti e giocare al meglio delle proprie qualità. Due volte nei 22, due volte a segno. Al 22’, piuttosto, James Haskell regala a S. Jones l’occasione di rimediare all’errore precedente, scalciando di proposito un pallone che Mike Phillips sta per raccogliere dalla ruck e stavolta arrivano i primi tre punti per quelli di Warren Gatland. Ma i tank di Sua Maestà ritentato nel blitzkrieg ragionato (punto d’incontro, superiorità della guardie, sostegno sempre pronto), stavolta però perdono l’ovale e Phillips rilancia sul lato chiuso servendo l’ala Morgan Stoddart che viene spedito in rimessa dopo essere entrato nella metà campo avversaria. Cinque minuti più tardi, la seconda linea Louis Deacon si becca il giallo dall’irlandese Alain Rolland in ruck, su una ringalluzzita manovra offensiva gallese. Jones ne infila altri tre da vicino ed è 6-10.


Sono due modi opposti di intendere il rugby quelli che si scontrano sul campo del Millennium Stadium. E sono soprattutto due visioni: quella organizzata e calibrata dell’Inghilterra e quella sprecona e confusionaria del Galles. Non è la prima volta che i gallesi finiscono a dover coprire gli spazi con gli uomini più lenti contro i nemici più veloci: già un anno fa si vedevano scene del genere e non è un caso che da un anno a Cardiff fatichino a trovare il bandolo della matassa. Non sorprende così che sia Flood a ripresentarsi alla piazzola al 33’ per riportare i suoi avanti di sette punti (6-13) con un uomo in meno. E Powell lascia il posto di Numero 8 a Ryan Jones, l’ex capitano accolto dagli applausi di incoraggiamento del pubblico. Il Galles prova a ribaltare, a costruire, ma vive di espedienti nella finale di primo tempo: non bastano dei buoni portatori di palla coma Bradley Davies se poi non si viene assistiti quando si finisce nelle acque di due incrociatori inglesi. Jonathan Davies al 39’ calcia lungo linea per innescare la corsa di Jamie Roberts, Mark Cueto commette in avanti nel recuperare pallone e dalla mischia si avanza un po’ finché Williams calcia per Stoddart anziché servilo di mano per dare fiato ad un’occasione che potrebbe rivelarsi interessante: la pedata si spegne oltre la linea di fondo e si va negli spogliatoi.


La ripresa comincia con S. Jones che accorcia di altri tre per il momentaneo 9-13. Ma la solfa quella è. L’Inghilterra domina il campo e a voler trovare la critica, si potrebbe dire che se non cedesse in certi istanti all’indisciplina, il match sarebbe quasi matematicamente chiuso. In compenso, al 46’, il pilone gallese Mitchell si fa ammonire per una irregolarità nell’area del break down a metà campo. Flood non se lo fa dire due volte e riallunga di altri tre punti. E ordunque, per chi si ostinasse a lamentarsi che il rugby non è solo difesa (ovvio che non lo è, ma per attaccare occorre difendere), gli inglesi offrono una lezione gratuita. I gallesi muovono palla, ma non avanzano. Phillips calibra male tra trasmissioni di fila che sanciscono le difficoltà organizzative. Ben Youngs ha invece il timing giusto sia di mano che di piede. E ha una rete alle spalle che sa come muoversi. Bella e convincente anche la prestazione del primo centro Shontayne Hape. Vecchi e giovani, c’è armonia nelle cose semplici ed essenziali: come suggeriva Mike Catt, be conservative. Si giunge così al 53’, con una mischia sui 5 metri di introduzione di quelli di casa. I predatori Palmer e Haskell azzannano le caviglie non appena il pallone esce dal raggruppamento, con Nick Easter a fare da vigile. I dragoni non escono dai loro 22. E le ali si gettano nella contesa. Il possesso ospite al contrario è tenuto sempre vivo dalla rimessa del 55’ a pochi passi dalla linea che conta, poi trasmissione al largo con quello che rimane della difesa gallese assorbita e smarrita. E seconda meta di Ashton sull’altro lato del campo. Flood converte: 9-23. Una meta che giunge difendendo nella trequarti campo avversaria.


Ma al 60’, finalmente, è il turno del Galles. Basta un primo e finora unico calcio sbagliato di Youngs dalla base nei propri 22, per tenere viva l’offensiva gallese che trova spazio al largo, con il solito Bradley Davies che conquista due passi in più di terreno per aprire poi la strada a Jonathan Davies: il centro accelera nello spazio libero davanti a sé e consegna il vassoio a Stoddart che marca pesante. 16-23 dopo la trasformazione. Non sorprende la cosa: è il momento di stanca della formazione di Johnson che allenta le prese mentalmente – e la cosa può ritorcersi contro in un derby come quello in scena. Danny Care prende il posto di Youngs in mediana, David Wilson quello di Andy Sheridan in prima linea. Col tempo entrano i senatori alla Steve Thompson e Joe Worsley, mentre S. Jones cede il posto a Lee Byrne, con Hook che passa apertura. Indisciplina gratuita, dicevamo qualche riga sopra: al 69’, arriva il fallo di Hape dalla ruck, vera chiave di lettura della partita: gli inglesi la dominano e gli inglesi vincono. Nel frangente in question però, Hook va per i pali da appena fuori i 22, con i crampi ai polpacci. 19-23. Dieci punti risucchiati in un quarto d’ora dal Galles.

Altro dato di fatto: la qualità di una squadra di misura anche dalle riserve. Simon Shaw per esempio. Lo sherpa entra e subito si scanna: gli bastano meno di dieci minuti per avere il rivolo di sangue lungo la faccia. Già alla prima sgambata, la liberazione sull’asse Dwayne Peel (che ha preso il posto di Phillips) – Hook diventa più ardua che mai perché nei paraggi c’è la seconda linea con l’orecchio perennemente incerottato.
E se c’è da chiudere la pratica, l’Inghilterra lo vuole fare a modo suo, con le sua armi convenzionali: driving maul e pick&go assistiti che fanno i conti con la strenua difesa gallese della Vale of Glamorgan, finché Rolland non fischia un tenuto e il possesso torna ai padroni di casa. Il guaio è che l’ultima azzuffata abrasiva ha lasciato il segno sulle gambe del Galles. Non ce n’è più, a differenza dei mastini vestiti di gran punto che imbragano al 75’ Byrne e conquistano un penalty. Ci va Jonny Wilkinson, entrato al 66’ al posto di Flood eletto Man of The Match. E il calcio va a segno per il 19-26 finale.
Manifesta superiorità dell’Inghilterra che ora ne ha tre di fila in casa, a Twickenham. Brava anche a tornare pimpante nel momento in cui il Galles ha rialzato la testa riportandosi sotto fino al -4 a dieci minuti dalla fine, quando il più semplice degli errori potrebbe diventare il più costoso. Al contrario, nervi saldi e primi punti portati a casa. D’altronde, quando l’orchestra suona bene, suona bene. Lo conferma qualche sacrilego coro "Swing low Sweet Chariot" sentito rimbombare sotto il tetto chiuso del Millennium Stadium.

2 commenti:

Abr ha detto...

Dici benissimo socio: organizzazione e semplicità esecutiva vs. "barocco" e testate, in attesa dell'invenzione del singolo.
Ci sono stati dei passaggi di Hook e Shane che se avessero come coach Martin Johnson, sarebbero già stati impiccati sul pennone più alto. Per non dire dei pochi minuti giocati da Byrne.
Ma il genio è così, è accompagnato dalla sregolatezza e il Galles lo paga regolarmente ogniqualvolta la media del suo gioco non riesce a mettere costoro nelle condizioni di esser più produttivi che spreconi. E la meta la segnano due "operai" Scarlets.
La prima linea è stata aiutata dalle decisioni random di Rolland, altrimenti il passivo poteva essere più pesante. Quanto a Phillips, è il solito: efficace nelle penetrazioni e in fase difensiva, mediocre nel timing e nelle scelte. Chissà perchè non fa l'openside flanker.

Abr ha detto...

Ah, e gli inglesi? Solidi, essenziali e a mio avviso già oltre metà dell'opera: ora han tre partite in fila in casa cominciando con l'Italia, torneranno on the road solo l'ultima giornata, a Dublino ...
L'ultima volta che vinsero al Millennium era il 2003, poi fecero (l'ultimo) Grand Slam dopodichè, in Australia ...

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