6 Nazioni: la linea del Piave si mangia le mani
Six Nations - Rome
Italy 11 - 13 Ireland
Per 60 secondi, si è sparsa la concreta sensazione che la vittoria fosse dietro l’angolo. Peccato che 60 secondi in una partita di rugby – sport tremendamente crudele e quindi anche per questo motivo avvincente – non sono nulla. Anzi, bastano e avanzano per far sciogliere il sogno sotto il caldo cielo primaverile di Roma. È bastata l’azione perfetta dell’Irlanda culminata nel drop del cecchino Ronan O’Gara per riportare avanti i suoi e così, all’ottantesimo, il risultato del Flaminio dice 11-13 per gli ospiti e l’Italia esce dal campo a testa alta e con un peccato di troppo sulla coscienza: un possesso regalato agli avversari, quello che è valso il controsorpasso per intenderci. Non è stato il 5 febbraio 2000, data ripescata dalla memoria dai media di casa nostra, con la vittoria storica sulla Scozia al debutto assoluto nel torneo. Amen, è andata così e comunque il fiato sul collo alla concorrente mondiale è stato messo.
Nei primi minuti di gara, gli Azzurri giocano a rugby e mostrano due ipotesi di attacco: il piede di Kris Burton o la velocità ad infilarsi dell’estremo Luke McLean. Mettono pressione, placcano e reggono agli urti, nell’area del break down il ritmo si fa subito alto e l’Italia di Nick Mallett difende con orgoglio la famosa linea del Piave, quella che aveva costretto l’Australia ad optare per i calci piazzati anziché per la via della meta a novembre in quel di Firenze. E al 6’ arrivo il primo calcio per Mirco Bergamasco per un tenuto a terra ravvisato dal francese Romain Poite: 3-0. Chi ben comincia è a metà dell’opera o per lo meno può dirsi soddisfatto di aver svolto il compito sino a quel momento prefissatosi: non cedere di un passo, reggere il ritmo e mettere paura.
Di contro, l’Irlanda è arrugginita. Le guardie italiane salgono, i trequarti opposti muovono male palla al largo, commettono quegli errori che tante volte hanno condannato gli Azzurri, senza dare velocità all’attacco e partire piatti non è il massimo della vita. Il triangolo allargato è fatto di uomini (Keith Earls, Fergus McFadden e Luke Fitzgerald) che giocano fuori posizione, mentre pure il capitano Brian O’Driscoll la passa un po’ come vuole e la bislunga lo punisce. La strategia multifase non funziona e però gli uomini di Declan Kideny rubano terreno, lentamente. Ugo Gori manca un placcaggio che potrebbe rivelarsi pericoloso, ma si capisce presto il perché: è ko, con una spalla fuori dopo una botta tremenda in mezzo la campo e all’11’ è costretto a cedere il posto a Pablo Canavosio. Partita non bella, ma avvincente. Gli errori sono tanti, soprattutto dal lato ospite, mentre la truppa di Nick Mallett è onesta e non cede all’indisciplina, confermando il buon stato mentale nei raggruppamenti. Ma non tiene palla e così, a furia di tentare e ritentare, al 20’ si assiste alla prima seria accelerazione irlandese, che si conclude quando un perfetto Alberto Sgarbi si tuffa sulle spalle di O’Driscoll dopo che la retroguardia italiana si è trovata aggirata e tagliata fuori. Quando premono sull’acceleratore, saranno pure pasticcioni, ma fanno paura e la storia della sfida lo dimostrerà più avanti.
Al 23’ il pacchetto di mischia guidato da un agguerrito Martin Castrogiovanni vince bene un faccia a faccia nei propri 22, l’Italia si affida ad una delle due strategie offensive sopra citate, quella che passa dal piede dell’apertura Burton, ma il baricentro comincia a non salire con timing giusto e consente agli avversari di trovare palloni giocabili, altra merce che serve a trovare la confidenza necessaria. E a guadagnare un calcio di punizione appena fuori dai 22, al 28’, per il pareggio firmato Jonathan Sexton. Dio piacendo, dopo la mezz’ora l’Italia torna a mettere la testa fuori dalla propria metà campo e Bergamirco ha la possibilità di riportare avanti i suoi al 31’ per ingresso laterale dalla trequarti, posizione centrale, ma la palla gira troppo ed esce.
Si vivono gli ultimi minuti su due binari. Che quella di Mallett sia una formazione decisa lo indicano la qualità dei placcaggi portati da ogni reparto: da Alessandro Zanni e Josh Sole in terza linea, alla consistenza fisica di Andrea Masi e Sgarbi e dalla bravura di Santiago Dellapé a rendersi utile nel rallentare la manovra nemica. La linea del Piave regge, finché può, finché ha fiato e quindi focus mentale. Il guaio, ancora quello, è che palla la tengono quelli vestiti di verde che al 36’ sprecano una ghiotta occasione per un’altra cattiva trasmissione sull’ala Magnus McFadden. Le pericolose coincidenze sono che quando gli irlandesi danno ritmo e qualità al loro gioco al largo, la difesa italiana è sfilacciata. L’importante è dare una risposta, tipo al 38’, quando c’è il tentativo di drop di Burton importato dal modus operandi trevigiano che non va a buon fine: una fase di più per costruirselo non sarebbe stato male. E anche qui, ne riparleremo più avanti. Tant’è, allo scadere il mediano irlandese Tomas O’Leary non rotola via dopo un placcaggio, l’occhio clinico del transalpino Poite pesca le note furbizie irlandesi di cui più volte abbiamo parlato, e Bergamirco alla piazzola defilato sulla destra infila i pali per il 6-3 con il quale si va negli spogliatoi.
La ripresa ha un sapore diverso. Se ci sono i famosi 60 secondi, ci sono anche i famosi cinque minuti durante i quali sarebbe buona cosa non mancare di concentrazione, perché servono a ribadire i concetti precedentemente esposti. Ed invece, l’Irlanda attacca a tamburo battente, con i suoi avanti che vanno a riprendersi il calcio di inizio di Sexton. Ci sono un ingresso in mischia anticipato dagli Azzurri, una rimessa storta e di conseguenza un’altra mischia a ridosso dei cinque metri per gli ospiti. E c’è O’Driscoll (e che altro poteva essere?) che va a marcare pesante, dopo un paio di battaglie in ruck, con le guardie azzurre assorbite furbescamente e il secondo centro irlandese che si trova davanti un varco protetto solo da due uomini più lenti come Totò Perugini e Castro: arriva la meta, arriva la trasformazione di Sexton per il 6-10 del 43’.
Il game plan italiano è destinato a cambiare. Bisogna tenere palla e tenerli lontani e all’inizio non gira per il meglio con una mischia a proprio favore ed una rimessa mal giocata. I soliti vecchi vizi tutti nostri, quelli di complicarsi la vita chiedendo troppo quando il gruppo non ha ancora assimilato quegli automatismi che consentono di fare la differenza o, per lo meno, di addentrarsi dall’altra parte del campo con più sicurezza. Gli ospiti sfidano al piede, attendono la fanteria al varco per rispondere con i mortai a lungo raggio e in un paio di casi trovano sguarnita la retroguardia sull’asse Bergamirco – McLean.
Valerio Bernabò per Sole, Carlo Del Fava per Dellapè, Fabio Ongaro per Leonardo Ghiraldini, Andrea Lo Cicero per Perugini, Gonzalo Garcia per Sgarbi e Luciano Orquera per Burton. Tutto questo, per la cronaca, tra il 50’ e il 70’, minuti durante i quali l’Italia prova a farsi sentire e rischia grosso: al 59’, altro pessimo assist di O’Driscoll per McFaddenn, da un ovale recuperato – anzi, perso malamente dai nostri nei propri 22. Nell’attacco successivo, è Gordon D’Arcy a perdere il controllo ad un soffio dalla meta. Il modo migliore per tenere lontani gli irlandesi, sarebbe quello di tenere palla. Le fasi sono rotte, l’Irlanda recupera due palloni, il primo dopo una lunga fase azzurra con gli uomini che finiscono per isolarsi causa fiato corto, poi sul gioco al piede. Ma l’avidità di Sean O’Brien gioca contro i suoi nel contrattacco perdendo palla in avanti.
La notizia del giorno è che al 67’ si vede finalmente una driving maul come si deve di marca italiano da touch. Poite concede un vantaggio, si va in mischia e Cian Haley è richiamato all’ordine, sotto pressione dalla zavorra capelluta di Castro. Ma al 70’, arriva il solito errore a ridosso del più bello, una leziosità di troppo, anziché la concretezza che richiede la situazione. Ci vogliono calma e temperamento per marcare. Cinque minuti prima, aveva fatto il suo ingresso O’Gara per rendere chiara l’idea: sul 6-10, a noi bastano i punti al piede perché oltre questa Irlanda non potrebbe andare. Al 73’, invece, c’è il cartellino giallo il blind side flanker Denis Leamy, per indisciplina ripetuta. Ohibò, mancano sette minuti e l’Italia ha il vantaggio numerico.
È il momento di pungere e di dimostrare che gli avanti azzurri sanno essere competitivi quando c’è da dare la svolta in attacco. Al 75’, inizia la danza, con una serie di raggruppamenti dopo una rimessa nei 22 nemici. La linea del Piave è alta ora, molto vicina dal rompere gli argini. Capitan Sergio Parisse fa da skipper, si conquistano centimetri e lo si fa con calma. Serve pazienza, prima di passare dai tank alla cavalleria che ha le belle mani di Orquera, Masi, Garcia che si passano veloci e con il timing giusto l’ovale che giunge tra le braccia del più veloce, McLean, dall’altra parte del campo e arriva la meta alla bandierina che Bergamirco non converte per un soffio. Siamo al 74’, siamo sopra di un punto: 11-10.
Il pubblico si esalta, c’è da crederci. Ma guai dire che l’Italia è ad un passo dalla vittoria. Mica per scarogna, quanto perché in 60 secondi tutto cambia. Un possesso che doveva essere nostro, non lo è. Gli sherpa si mettono all’opera e in fretta e furia, come mai fatto prima nel corso della gara, spostano il mortaio al posto giusto: è il piede di O’Gara, che va di drop per il contro sorpasso 11-13. Piccole cose che fanno la differenza. All’Italia manca il killer istinct, all’Irlanda no. All’Italia manca quella serenità di giudizio nei momenti frenetici. Come quando allo scadere, si affida al drop di Orquera: mal costruito e mal protetto, due fasi in più non avrebbero fatto male anche perché gli avversari non potevano concedere il calcio di punizione e Poite, come detto, non fa sconti a nessuno. Il tentativo dell’apertura azzurro è sbilenco e finisce lontano dai pali. E' stata una questione da fifty-fifty. Con mezza percentuale in più all'Irlanda. Roba da mangiarsi le mani, ma il sangue freddo che dà l'esperienza non si compra al supermercato .
- Reparto per reparto, fase per fase - by Abr
a) La difesa Azzurra
Gran bel lavoro fatto da Mouneimne, l'assistente sudafricano di Mallet per i punti di incontro. I nostri difendono la linea con compostezza, efficacia (94% dei placcaggi buoni contro 96% degli avversari) e una disciplina mai vista - un solo piazzato concesso, 5 penalty in tutto contro 13 guadagnati - raddoppiando sistematicamente i placcaggi ma senza mai inviare in ruck più di due difensori. Anche Burton fa la sua parte senza sbavature, ben protetto dalle chiusure dei compagni. E se gli irlandesi - che non sono certo dei pellegrini - risultano molto imprecisi, una parte del merito va anche alla pressione che i nostri gli portano. Peccato non aver tentato di essere propositivi con regolarità "rovesciando" la difesa alle estremità - un solo tentativo di intercetto con Parisse, fallito di poco - e non avere in campo gran skill da grillotalpa; alcune belle controruck sono riuscite, ma alla fine i cambi di possesso sono dovuti alla durezza dei placcaggi e ai conseguenti errori degli avversari, quindi rimangono episodici o transitano dalla mischia ordinata. In certe fasi difensive molto lunghe, i nosti rimangono con la lingua fuori e faticano a far salire la linea sugli up&under.
La meta subita, dice bene Ringo, è il prodotto della scarsa concentrazione con cui si rientra in campo. Essa infatti è figlia non di una ma di una sequenza di "cappelle": una mischia sulla linea dei 22metri con ingresso anticipato ma poco male, riusciamo a buttarli fuori; una rimessa laterale nostra sulla linea dei 5 metri con palla persa ma poco male, potremmo recuperare con la mischia. Invece ce la girano e partono ma poco male ancora, li fermiamo sulla linea di meta come fatto almeno un altro paio di volte nel primo tempo; peccato che stavolta risulti fatale l'ultimo errore, il mancato rischieramento difensivo sul lato chiuso della ruck formata, dove arrancano i due piloni, ultimi arrivati dalla mischia precedente. Eppure Sexton aveva perso tempo ...
b) L'attacco Azzurro
Le fasi statiche - rimessa e mischia ordinata - sono quelle che assicurano il possesso e pongono le basi per le fasi di attacco. In entrambe i settori facciamo vedere dei decisi progressi, con alti e bassi. Soddisfacente la rimessa, con Dellapè, Zanni, Parisse e Geldenhuys ad alternarsi al salto. Loro non rubano, a noi riesce un furto ma diverse volte ci impappiniamo da soli.Quanto alla mischia, appare vincente rispetto a quella Verde ma mai decisamente, se non nell'ultimo quarto.
La meta la subiamo non per caso quando la flessione in tali due fondamentali si fa evidente: Perugini toccato duro anticipa l'ingaggio, Zanni e Ghiraldini si tirano pallate in rimessa e l'ovale cade, come avverrà anche poco dopo a Geldenhuys. Prima e dopo, all'ingresso di LoCicero e Ongaro, la situazione torna soddisfacente, appoggiando egregiamente Castrogiovanni come all'inizio. Peccato non si sia riusciti a concretizzare il lavoro ai fianchi sul loosehead Cian Healy nel secondo tempo: richiamato dall'arbitro, alla terza mischia rifatta noi non riuscivamo ad avanzare e Parisse decideva di partire all'avventura, mentre a Parigi qualche ora dopo i francesi incassavano una meta di punizione.
I mediani - di mischia e d'apertura - impostano le fasi d'attacco, ne determinano timing e direzione. Kris Burton non solo non fa "buchi" difensivi ma si presenta mostrando personalità: un calcio al millimetro da quaranta metri per la corsa di Mirco Bergamasco, peccato fosse controsole; più tardi prova anche un drop e qualche up&under che risulta troppo profondo e poco supportato da una linea che in certe fasi pensa più al recupero del fiato che non a portar pressione. Nel corso di una gara spesi perlopiù in difesa, ovviamente scompare. Rivedibile.
Ottimo l'impatto finale di Luciano Orquera, dalle mani e occhi precisi e veloci. Peccato non abbia il drop nelle corde: a parte il momento sbagliato scelto dal mediano, non si "protegge" nascondendosi dietro al pack e si fa mettere sotto pressione. Brutto colpo l'infortunio di Gori: aveva iniziato molto bene, muovendo palla con gran timing. Pablo Canavosio ci mette dinamismo ed esperienza, non commette cappelle ma man mano che il tempo passa deve tirare il fiato e le sue aperture dalle ruck divengono agonie sempre più lente.
- Il gioco tattico - Gli avversari altezzosamente non ci sfidano in quel campo, pensavano di regolarci al solito, mediante le accelerazioni e i cambi di ritmo, ovviamente con qualche possesso speso ogni tanto a guadagnar rimesse laterali (7 volte contro 3 nostre). Mal glie ne stava per incogliere, anche se per lunghe fasi a metà del primo e del secondo tempo, si gioca solo nella nostra metà del campo. Burton prova inizialmente a giocar ogni tanto al guadagno territoriale, con esiti alterni. Luke McLean, aiutato stavolta efficacemente dalle due ali, fa buona guardia in fondo, quando nel secondo tempo viene sfidato da avversari alla caccia del guadagno di tempo più che di terreno. Alla fine gli irlandesi avranno comunque calciato il 40% dei possessi contro il 32% nostro.
- I piazzati - Piccolo passo indietro di Mirco Bergamasco che ben ci aveva iniziato ad abituare. Non mi riferisco all'ultima trasformazione, impossibile ma sfiorata, che avrebbe cambiato il finale obbligando gli irlandesi all'attacco a testa bassa invece che limitarsi al drop, quanto a almeno uno dei due piazzati falliti nel primo tempo. Tant'è.
I trequarti - Nel primo tempo si distingue ancora una volta Alberto Sgarbi, sistematico, uno dei pochi italiani capace di attaccare la linea avversaria diritto e accelerando al contatto. Ovviamente con gli italiani si parla sempre e solo di sfondamento centrale, a parte il tentativo di lancio al piede di Burton per Mirco sopraddetto. Pur restando lì, il problema è che i nostri paiono tanti running back della Nfl statunitense: la palla se la tengono stretta fin per terra, il riciclo è vietato. Non per caso la meta arriva la prima volta che la palla gira rapida fino al largo. Difesa a parte - tutti eccellenti - poco palpabile la prova di Gonzo Canale, positivo Masi all'ala e Garcia per quel poco che s'è visto, non valutabile Bergamirco, isolato e inchiodato, per equilibri difensivi, sul lato "sbagliato" senza mai incrociare. Mi domando se la cosa sia voluta, per "risparmiarne" i preziosi piedi ...
Gli avanti - nel rugby non c'è attacco e difesa distinti, anzi, gli avanti posseggono molte più "armi" organizzate dei trequarti per concludere le azioni offensive. Finalmente s'è vista qualche driving maul fatta bene, anche se nessuna decisiva. Dentro agli ultimi cinque metri avversari ci siamo entrati non spesso e i pochi pick&go non sono stati risolutivi. La fretta di concludere una di tali fasi, che pure ci stava portando del bel territorio, ci è stata fatale: come dice Ringo, nel finale gli irlandesi erano in inferiorità numerica e non potevano far fallo, bastava insistere con calma anche oltre l'ottantesimo e qualcosa di meglio saltava fuori con buone probabilità.
Sergio Parisse si segnala per esser tornato in miniera, a spalar moli di oscuro lavoro e a prendersi le responsabilità d'attacco, anche se un passaggetto dietro la schiena - finito fuori - non riece a trattenerlo. Il resto della terza linea è composto, per necessità , di gente tutta simile: Zanni, Sole, il subentrato Bernabò: tutti alti e grossi, quindi un reparto prevedibile.
c) Dulcis in fundo, l'Irlanda: non si comprende se sia il dolce clima romano, l'averci presi sottogamba (della serie "come sempre, basteranno un paio di accelerazioni e con l'Italia si entra come un coltello caldo nel burro") o se sia il cambio al modello di gioco imposto da Declan Kidney ai suoi, che già li aveva imballati per bene a novembre. Oppure l'anagrafe. O tutto insieme; fatto sta che la mole di errori commessa dai Verdi (14 contro 8) li avrebbe visti schiacciati da una delle Nazionali con cui vorrebbero gareggiare alla pari - le Tri Nations, Inghilterra e Francia.
Beninteso, abbiamo visto la loro area dei 22 metri solo nell'ultimo quarto di gara e la loro difesa è stata tosta almeno quanto la nostra in una gara singolarmente equilibrata (94 placcaggi tentati contro 112 dell'Italia, 102 palle vinte nel gioco aperto contro 90 azzurre), mentre la differenza di ranking imporrebbe un controllo di gara più deciso da parte loro. Al contrario: se un tempo cedevamo nel finale, ora sono stati loro a vedersela brutta e venir salvati in inferiorità numerica solo dalla nostra frenesia inesperta.
S'era detto che era importante vincere adesso per piantare un bel paletto in vista dei mondiali, in cui c'incontreremo ancora; beh, non so se l'aver strappato la minima vittoria di sempre al Sei Nazioni sull'Italia li esalterà e tranquillizzerà e a noi ci intimidirà ulteriormente: probabile che sia esattamente il contrario.
Italy 11 - 13 Ireland
Per 60 secondi, si è sparsa la concreta sensazione che la vittoria fosse dietro l’angolo. Peccato che 60 secondi in una partita di rugby – sport tremendamente crudele e quindi anche per questo motivo avvincente – non sono nulla. Anzi, bastano e avanzano per far sciogliere il sogno sotto il caldo cielo primaverile di Roma. È bastata l’azione perfetta dell’Irlanda culminata nel drop del cecchino Ronan O’Gara per riportare avanti i suoi e così, all’ottantesimo, il risultato del Flaminio dice 11-13 per gli ospiti e l’Italia esce dal campo a testa alta e con un peccato di troppo sulla coscienza: un possesso regalato agli avversari, quello che è valso il controsorpasso per intenderci. Non è stato il 5 febbraio 2000, data ripescata dalla memoria dai media di casa nostra, con la vittoria storica sulla Scozia al debutto assoluto nel torneo. Amen, è andata così e comunque il fiato sul collo alla concorrente mondiale è stato messo.
Nei primi minuti di gara, gli Azzurri giocano a rugby e mostrano due ipotesi di attacco: il piede di Kris Burton o la velocità ad infilarsi dell’estremo Luke McLean. Mettono pressione, placcano e reggono agli urti, nell’area del break down il ritmo si fa subito alto e l’Italia di Nick Mallett difende con orgoglio la famosa linea del Piave, quella che aveva costretto l’Australia ad optare per i calci piazzati anziché per la via della meta a novembre in quel di Firenze. E al 6’ arrivo il primo calcio per Mirco Bergamasco per un tenuto a terra ravvisato dal francese Romain Poite: 3-0. Chi ben comincia è a metà dell’opera o per lo meno può dirsi soddisfatto di aver svolto il compito sino a quel momento prefissatosi: non cedere di un passo, reggere il ritmo e mettere paura.
Di contro, l’Irlanda è arrugginita. Le guardie italiane salgono, i trequarti opposti muovono male palla al largo, commettono quegli errori che tante volte hanno condannato gli Azzurri, senza dare velocità all’attacco e partire piatti non è il massimo della vita. Il triangolo allargato è fatto di uomini (Keith Earls, Fergus McFadden e Luke Fitzgerald) che giocano fuori posizione, mentre pure il capitano Brian O’Driscoll la passa un po’ come vuole e la bislunga lo punisce. La strategia multifase non funziona e però gli uomini di Declan Kideny rubano terreno, lentamente. Ugo Gori manca un placcaggio che potrebbe rivelarsi pericoloso, ma si capisce presto il perché: è ko, con una spalla fuori dopo una botta tremenda in mezzo la campo e all’11’ è costretto a cedere il posto a Pablo Canavosio. Partita non bella, ma avvincente. Gli errori sono tanti, soprattutto dal lato ospite, mentre la truppa di Nick Mallett è onesta e non cede all’indisciplina, confermando il buon stato mentale nei raggruppamenti. Ma non tiene palla e così, a furia di tentare e ritentare, al 20’ si assiste alla prima seria accelerazione irlandese, che si conclude quando un perfetto Alberto Sgarbi si tuffa sulle spalle di O’Driscoll dopo che la retroguardia italiana si è trovata aggirata e tagliata fuori. Quando premono sull’acceleratore, saranno pure pasticcioni, ma fanno paura e la storia della sfida lo dimostrerà più avanti.
Al 23’ il pacchetto di mischia guidato da un agguerrito Martin Castrogiovanni vince bene un faccia a faccia nei propri 22, l’Italia si affida ad una delle due strategie offensive sopra citate, quella che passa dal piede dell’apertura Burton, ma il baricentro comincia a non salire con timing giusto e consente agli avversari di trovare palloni giocabili, altra merce che serve a trovare la confidenza necessaria. E a guadagnare un calcio di punizione appena fuori dai 22, al 28’, per il pareggio firmato Jonathan Sexton. Dio piacendo, dopo la mezz’ora l’Italia torna a mettere la testa fuori dalla propria metà campo e Bergamirco ha la possibilità di riportare avanti i suoi al 31’ per ingresso laterale dalla trequarti, posizione centrale, ma la palla gira troppo ed esce.
Si vivono gli ultimi minuti su due binari. Che quella di Mallett sia una formazione decisa lo indicano la qualità dei placcaggi portati da ogni reparto: da Alessandro Zanni e Josh Sole in terza linea, alla consistenza fisica di Andrea Masi e Sgarbi e dalla bravura di Santiago Dellapé a rendersi utile nel rallentare la manovra nemica. La linea del Piave regge, finché può, finché ha fiato e quindi focus mentale. Il guaio, ancora quello, è che palla la tengono quelli vestiti di verde che al 36’ sprecano una ghiotta occasione per un’altra cattiva trasmissione sull’ala Magnus McFadden. Le pericolose coincidenze sono che quando gli irlandesi danno ritmo e qualità al loro gioco al largo, la difesa italiana è sfilacciata. L’importante è dare una risposta, tipo al 38’, quando c’è il tentativo di drop di Burton importato dal modus operandi trevigiano che non va a buon fine: una fase di più per costruirselo non sarebbe stato male. E anche qui, ne riparleremo più avanti. Tant’è, allo scadere il mediano irlandese Tomas O’Leary non rotola via dopo un placcaggio, l’occhio clinico del transalpino Poite pesca le note furbizie irlandesi di cui più volte abbiamo parlato, e Bergamirco alla piazzola defilato sulla destra infila i pali per il 6-3 con il quale si va negli spogliatoi.
La ripresa ha un sapore diverso. Se ci sono i famosi 60 secondi, ci sono anche i famosi cinque minuti durante i quali sarebbe buona cosa non mancare di concentrazione, perché servono a ribadire i concetti precedentemente esposti. Ed invece, l’Irlanda attacca a tamburo battente, con i suoi avanti che vanno a riprendersi il calcio di inizio di Sexton. Ci sono un ingresso in mischia anticipato dagli Azzurri, una rimessa storta e di conseguenza un’altra mischia a ridosso dei cinque metri per gli ospiti. E c’è O’Driscoll (e che altro poteva essere?) che va a marcare pesante, dopo un paio di battaglie in ruck, con le guardie azzurre assorbite furbescamente e il secondo centro irlandese che si trova davanti un varco protetto solo da due uomini più lenti come Totò Perugini e Castro: arriva la meta, arriva la trasformazione di Sexton per il 6-10 del 43’.
Il game plan italiano è destinato a cambiare. Bisogna tenere palla e tenerli lontani e all’inizio non gira per il meglio con una mischia a proprio favore ed una rimessa mal giocata. I soliti vecchi vizi tutti nostri, quelli di complicarsi la vita chiedendo troppo quando il gruppo non ha ancora assimilato quegli automatismi che consentono di fare la differenza o, per lo meno, di addentrarsi dall’altra parte del campo con più sicurezza. Gli ospiti sfidano al piede, attendono la fanteria al varco per rispondere con i mortai a lungo raggio e in un paio di casi trovano sguarnita la retroguardia sull’asse Bergamirco – McLean.
Valerio Bernabò per Sole, Carlo Del Fava per Dellapè, Fabio Ongaro per Leonardo Ghiraldini, Andrea Lo Cicero per Perugini, Gonzalo Garcia per Sgarbi e Luciano Orquera per Burton. Tutto questo, per la cronaca, tra il 50’ e il 70’, minuti durante i quali l’Italia prova a farsi sentire e rischia grosso: al 59’, altro pessimo assist di O’Driscoll per McFaddenn, da un ovale recuperato – anzi, perso malamente dai nostri nei propri 22. Nell’attacco successivo, è Gordon D’Arcy a perdere il controllo ad un soffio dalla meta. Il modo migliore per tenere lontani gli irlandesi, sarebbe quello di tenere palla. Le fasi sono rotte, l’Irlanda recupera due palloni, il primo dopo una lunga fase azzurra con gli uomini che finiscono per isolarsi causa fiato corto, poi sul gioco al piede. Ma l’avidità di Sean O’Brien gioca contro i suoi nel contrattacco perdendo palla in avanti.
La notizia del giorno è che al 67’ si vede finalmente una driving maul come si deve di marca italiano da touch. Poite concede un vantaggio, si va in mischia e Cian Haley è richiamato all’ordine, sotto pressione dalla zavorra capelluta di Castro. Ma al 70’, arriva il solito errore a ridosso del più bello, una leziosità di troppo, anziché la concretezza che richiede la situazione. Ci vogliono calma e temperamento per marcare. Cinque minuti prima, aveva fatto il suo ingresso O’Gara per rendere chiara l’idea: sul 6-10, a noi bastano i punti al piede perché oltre questa Irlanda non potrebbe andare. Al 73’, invece, c’è il cartellino giallo il blind side flanker Denis Leamy, per indisciplina ripetuta. Ohibò, mancano sette minuti e l’Italia ha il vantaggio numerico.
È il momento di pungere e di dimostrare che gli avanti azzurri sanno essere competitivi quando c’è da dare la svolta in attacco. Al 75’, inizia la danza, con una serie di raggruppamenti dopo una rimessa nei 22 nemici. La linea del Piave è alta ora, molto vicina dal rompere gli argini. Capitan Sergio Parisse fa da skipper, si conquistano centimetri e lo si fa con calma. Serve pazienza, prima di passare dai tank alla cavalleria che ha le belle mani di Orquera, Masi, Garcia che si passano veloci e con il timing giusto l’ovale che giunge tra le braccia del più veloce, McLean, dall’altra parte del campo e arriva la meta alla bandierina che Bergamirco non converte per un soffio. Siamo al 74’, siamo sopra di un punto: 11-10.
Il pubblico si esalta, c’è da crederci. Ma guai dire che l’Italia è ad un passo dalla vittoria. Mica per scarogna, quanto perché in 60 secondi tutto cambia. Un possesso che doveva essere nostro, non lo è. Gli sherpa si mettono all’opera e in fretta e furia, come mai fatto prima nel corso della gara, spostano il mortaio al posto giusto: è il piede di O’Gara, che va di drop per il contro sorpasso 11-13. Piccole cose che fanno la differenza. All’Italia manca il killer istinct, all’Irlanda no. All’Italia manca quella serenità di giudizio nei momenti frenetici. Come quando allo scadere, si affida al drop di Orquera: mal costruito e mal protetto, due fasi in più non avrebbero fatto male anche perché gli avversari non potevano concedere il calcio di punizione e Poite, come detto, non fa sconti a nessuno. Il tentativo dell’apertura azzurro è sbilenco e finisce lontano dai pali. E' stata una questione da fifty-fifty. Con mezza percentuale in più all'Irlanda. Roba da mangiarsi le mani, ma il sangue freddo che dà l'esperienza non si compra al supermercato .
- Reparto per reparto, fase per fase - by Abr
a) La difesa Azzurra
Gran bel lavoro fatto da Mouneimne, l'assistente sudafricano di Mallet per i punti di incontro. I nostri difendono la linea con compostezza, efficacia (94% dei placcaggi buoni contro 96% degli avversari) e una disciplina mai vista - un solo piazzato concesso, 5 penalty in tutto contro 13 guadagnati - raddoppiando sistematicamente i placcaggi ma senza mai inviare in ruck più di due difensori. Anche Burton fa la sua parte senza sbavature, ben protetto dalle chiusure dei compagni. E se gli irlandesi - che non sono certo dei pellegrini - risultano molto imprecisi, una parte del merito va anche alla pressione che i nostri gli portano. Peccato non aver tentato di essere propositivi con regolarità "rovesciando" la difesa alle estremità - un solo tentativo di intercetto con Parisse, fallito di poco - e non avere in campo gran skill da grillotalpa; alcune belle controruck sono riuscite, ma alla fine i cambi di possesso sono dovuti alla durezza dei placcaggi e ai conseguenti errori degli avversari, quindi rimangono episodici o transitano dalla mischia ordinata. In certe fasi difensive molto lunghe, i nosti rimangono con la lingua fuori e faticano a far salire la linea sugli up&under.
La meta subita, dice bene Ringo, è il prodotto della scarsa concentrazione con cui si rientra in campo. Essa infatti è figlia non di una ma di una sequenza di "cappelle": una mischia sulla linea dei 22metri con ingresso anticipato ma poco male, riusciamo a buttarli fuori; una rimessa laterale nostra sulla linea dei 5 metri con palla persa ma poco male, potremmo recuperare con la mischia. Invece ce la girano e partono ma poco male ancora, li fermiamo sulla linea di meta come fatto almeno un altro paio di volte nel primo tempo; peccato che stavolta risulti fatale l'ultimo errore, il mancato rischieramento difensivo sul lato chiuso della ruck formata, dove arrancano i due piloni, ultimi arrivati dalla mischia precedente. Eppure Sexton aveva perso tempo ...
b) L'attacco Azzurro
Le fasi statiche - rimessa e mischia ordinata - sono quelle che assicurano il possesso e pongono le basi per le fasi di attacco. In entrambe i settori facciamo vedere dei decisi progressi, con alti e bassi. Soddisfacente la rimessa, con Dellapè, Zanni, Parisse e Geldenhuys ad alternarsi al salto. Loro non rubano, a noi riesce un furto ma diverse volte ci impappiniamo da soli.Quanto alla mischia, appare vincente rispetto a quella Verde ma mai decisamente, se non nell'ultimo quarto.
La meta la subiamo non per caso quando la flessione in tali due fondamentali si fa evidente: Perugini toccato duro anticipa l'ingaggio, Zanni e Ghiraldini si tirano pallate in rimessa e l'ovale cade, come avverrà anche poco dopo a Geldenhuys. Prima e dopo, all'ingresso di LoCicero e Ongaro, la situazione torna soddisfacente, appoggiando egregiamente Castrogiovanni come all'inizio. Peccato non si sia riusciti a concretizzare il lavoro ai fianchi sul loosehead Cian Healy nel secondo tempo: richiamato dall'arbitro, alla terza mischia rifatta noi non riuscivamo ad avanzare e Parisse decideva di partire all'avventura, mentre a Parigi qualche ora dopo i francesi incassavano una meta di punizione.
I mediani - di mischia e d'apertura - impostano le fasi d'attacco, ne determinano timing e direzione. Kris Burton non solo non fa "buchi" difensivi ma si presenta mostrando personalità: un calcio al millimetro da quaranta metri per la corsa di Mirco Bergamasco, peccato fosse controsole; più tardi prova anche un drop e qualche up&under che risulta troppo profondo e poco supportato da una linea che in certe fasi pensa più al recupero del fiato che non a portar pressione. Nel corso di una gara spesi perlopiù in difesa, ovviamente scompare. Rivedibile.
Ottimo l'impatto finale di Luciano Orquera, dalle mani e occhi precisi e veloci. Peccato non abbia il drop nelle corde: a parte il momento sbagliato scelto dal mediano, non si "protegge" nascondendosi dietro al pack e si fa mettere sotto pressione. Brutto colpo l'infortunio di Gori: aveva iniziato molto bene, muovendo palla con gran timing. Pablo Canavosio ci mette dinamismo ed esperienza, non commette cappelle ma man mano che il tempo passa deve tirare il fiato e le sue aperture dalle ruck divengono agonie sempre più lente.
- Il gioco tattico - Gli avversari altezzosamente non ci sfidano in quel campo, pensavano di regolarci al solito, mediante le accelerazioni e i cambi di ritmo, ovviamente con qualche possesso speso ogni tanto a guadagnar rimesse laterali (7 volte contro 3 nostre). Mal glie ne stava per incogliere, anche se per lunghe fasi a metà del primo e del secondo tempo, si gioca solo nella nostra metà del campo. Burton prova inizialmente a giocar ogni tanto al guadagno territoriale, con esiti alterni. Luke McLean, aiutato stavolta efficacemente dalle due ali, fa buona guardia in fondo, quando nel secondo tempo viene sfidato da avversari alla caccia del guadagno di tempo più che di terreno. Alla fine gli irlandesi avranno comunque calciato il 40% dei possessi contro il 32% nostro.
- I piazzati - Piccolo passo indietro di Mirco Bergamasco che ben ci aveva iniziato ad abituare. Non mi riferisco all'ultima trasformazione, impossibile ma sfiorata, che avrebbe cambiato il finale obbligando gli irlandesi all'attacco a testa bassa invece che limitarsi al drop, quanto a almeno uno dei due piazzati falliti nel primo tempo. Tant'è.
I trequarti - Nel primo tempo si distingue ancora una volta Alberto Sgarbi, sistematico, uno dei pochi italiani capace di attaccare la linea avversaria diritto e accelerando al contatto. Ovviamente con gli italiani si parla sempre e solo di sfondamento centrale, a parte il tentativo di lancio al piede di Burton per Mirco sopraddetto. Pur restando lì, il problema è che i nostri paiono tanti running back della Nfl statunitense: la palla se la tengono stretta fin per terra, il riciclo è vietato. Non per caso la meta arriva la prima volta che la palla gira rapida fino al largo. Difesa a parte - tutti eccellenti - poco palpabile la prova di Gonzo Canale, positivo Masi all'ala e Garcia per quel poco che s'è visto, non valutabile Bergamirco, isolato e inchiodato, per equilibri difensivi, sul lato "sbagliato" senza mai incrociare. Mi domando se la cosa sia voluta, per "risparmiarne" i preziosi piedi ...
Gli avanti - nel rugby non c'è attacco e difesa distinti, anzi, gli avanti posseggono molte più "armi" organizzate dei trequarti per concludere le azioni offensive. Finalmente s'è vista qualche driving maul fatta bene, anche se nessuna decisiva. Dentro agli ultimi cinque metri avversari ci siamo entrati non spesso e i pochi pick&go non sono stati risolutivi. La fretta di concludere una di tali fasi, che pure ci stava portando del bel territorio, ci è stata fatale: come dice Ringo, nel finale gli irlandesi erano in inferiorità numerica e non potevano far fallo, bastava insistere con calma anche oltre l'ottantesimo e qualcosa di meglio saltava fuori con buone probabilità.
Sergio Parisse si segnala per esser tornato in miniera, a spalar moli di oscuro lavoro e a prendersi le responsabilità d'attacco, anche se un passaggetto dietro la schiena - finito fuori - non riece a trattenerlo. Il resto della terza linea è composto, per necessità , di gente tutta simile: Zanni, Sole, il subentrato Bernabò: tutti alti e grossi, quindi un reparto prevedibile.
c) Dulcis in fundo, l'Irlanda: non si comprende se sia il dolce clima romano, l'averci presi sottogamba (della serie "come sempre, basteranno un paio di accelerazioni e con l'Italia si entra come un coltello caldo nel burro") o se sia il cambio al modello di gioco imposto da Declan Kidney ai suoi, che già li aveva imballati per bene a novembre. Oppure l'anagrafe. O tutto insieme; fatto sta che la mole di errori commessa dai Verdi (14 contro 8) li avrebbe visti schiacciati da una delle Nazionali con cui vorrebbero gareggiare alla pari - le Tri Nations, Inghilterra e Francia.
Beninteso, abbiamo visto la loro area dei 22 metri solo nell'ultimo quarto di gara e la loro difesa è stata tosta almeno quanto la nostra in una gara singolarmente equilibrata (94 placcaggi tentati contro 112 dell'Italia, 102 palle vinte nel gioco aperto contro 90 azzurre), mentre la differenza di ranking imporrebbe un controllo di gara più deciso da parte loro. Al contrario: se un tempo cedevamo nel finale, ora sono stati loro a vedersela brutta e venir salvati in inferiorità numerica solo dalla nostra frenesia inesperta.
S'era detto che era importante vincere adesso per piantare un bel paletto in vista dei mondiali, in cui c'incontreremo ancora; beh, non so se l'aver strappato la minima vittoria di sempre al Sei Nazioni sull'Italia li esalterà e tranquillizzerà e a noi ci intimidirà ulteriormente: probabile che sia esattamente il contrario.
18 commenti:
partita persa in più occasioni:
-decisione di fare mischia invece che andare per i pali
-palla persa al calcio d'inizio dopo la nostra meta
-il drop arrivato troppo presto, quando invece dovevamo tener palla anche dopo lo scadere
Grazie Faggy per avermi ricordato il primo punto. In effetti, ora che ben ricordo, mi ero messo a grattarmi la testa e non perché abbia i pidocchi.
WHAHAHAHAHAHA!!!!! prego!
ho appena letto che verrà convocato Semenzato...PAURA!...ma quel poveraccio di Tebaldi? nei suoi limiti è cmq 100 volte meglio lui!
Ho aggiunto le mie considerazioni in merito, fae per fase, reparto per reparto.
Ovviamente le partite sono fatte da episodi, ma in questa ritengo che gli episodi "pesanti" per l'esito, più che quelli che segnali, faggy, siano stati:
- la loro meta e come è sortita,
- la decisione di passare a Orquera per il drop invece che insistere non per un paio di metri ma per un paio di minuti: erano in inferiorità numerica e non potevano far falli !!!
Su Semenzato convocato: sono contento per lui, se lo merita, è il minimo che si possa dire di uno che sa reggere la concorrenza di Botes.
Tebaldi ha avuto esami e prove di riparazione, ma se l'è fumate tutte. Senza far errori marchianissimi, intendiamoci. Ma è come se se al Canavosio di oggi (a riaprire lento come un obietore, in certe fasi), ci aggiungessi delle scelte cervellotiche. A questi livelli sorry non si può. Avrà tempo e possibilità, dopo che il clock avrà fatto reset, a fine ottobre.
Eh sì. Quando ho visto quella palla passata indietro di mille metri a Orquera mi è sfuggito un "che c...o fanno?!" Veramente inspiegabile quella fretta.
Ho sentito Dondi alla radio. Direi che ormai sì vive da separati in casa con Mallet.
Tono minaccioso confermato dalla "voce del padrone" 100% rugby.
ma a Semenzato viene rimproverato propio la lentezza delle riaperture...speriamo bene...
Io mi sono trovato d'accordo nella scelta della mischia piuttosto che i pali.
Ricordiamo che quando sono state scelte le mischie il risultato era -4, che Bergamasco veniva da un errore piuttosto imbarazzante dalla piazzola nel primo tempo e che soprattutto l'Irlanda stava subendo gli Azzurri nella ripresa ordinata.
Col senno di poi ci sarebbero serviti come il pane 3 punti, ma purtroppo l'errore è stato commesso dopo la meta dell'Italia perché non si è ancora in grado di tenere un risultato in vantaggio a quattro minuti dalla fine.
La differenza l'hanno fatta i due drop, in uno l'Irlanda ha messo un pallone in mano a uno specialista, in mezzo ai pali, con un corridoio libero che più libero non si può e tutto questo dopo aver subito una meta che avrebbe tagliato le gambe a una squadra meno preparata mentalmente. Nell'altro l'Italia ha scelto Orquera in posizione defilata, il confronto è impari.
Spiegabile con la palla che scotta, forthose. Come quei dilettanti dello sci che si trovano contro la loro volontà inspiegabimente attirati dai baratri o dagli sci altrui.
Dondi sta solo eseguendo il suo piano da provinciale, onesto ma provinciale, "pensato" diciamo così sin da novembre e sputtanato inconsapevolmente da Brunel.
eh faggy, non stiamo certo parlando di un Gregan o di un Youngs, ma dato che tutto è relativo quale sarebbe l'alternativa? Dare subito l'ennesima chance a uno che ne ha già fallite tre o quattro? Vorresti proprio si facesse del male, allora ... Vedrai che a settembre ci saranno novità, visto che Gori è fuori: come Botes, "italiano" da giugno?
(scusate l'uso privato di blog pubblico!) Simone, ma sei il Trilli che il sabato pomeriggio si allena a Velate?
No, non sono Trilli.
Simone, anch'io ho pensato che in quel frangente facevan bene a far mischia: nè pali (era vicino ma angolato e Mirco non era in giornata) nè rimessa laterale (troppo rischiosa per noi).
Poi dopo ho visto la Francia, con tre spinte s'è presa la meta tecnica; noi anche con sta mitica mischia, solo a due spinte buone in fila al massimo sappiamo arrivare contro mischie "europee", sarebbe ora di dircelo chiaro in faccia. Al terzo tentativo ci hanno stallati, Parisse ha fatto bene a provare a partire e trovo che tutto sia stato strumentale anche al successivo cartellino giallo e alla meta.
Che il confronto fosse impari cmq. non lo impariamo certo dopo i due drop che narri: proprio 'sti qui, con lgi stessi giocatori, han fatto il grand slam non più tardi del 2009 ...
Recuperiamo il senso delle proporzioni e quello del nostro posto: abbiamo sfiorato l'impresa, era fifry fifty come ha ben detto il socio; quando è così, basta una piuma per far pendere la bilancia da una parte o dall'altra, e stavolta è stata esperienza di O'Gara e meccanismi oliati vs. improvvisazione e fretta da paura (di vincere).
Sono assolutamente d'accordo con te, i drop ci hanno dimostrato per l'ennesima volta cosa manca ancora all'Italia per fare un ulteriore passo in avanti.
Poi l'Inghilterra sabato prossimo ne farà 50 e saremo allo stesso punto di 6/7 anni fa. Speriamo di no.
La piuma nostra sarebbe potuta essere l'entusiasmo e la grinta unita alla fredda lucidità.
Tolto Mirco che poveretto l'ha sfiorata quella trasformazione per lui mission impossible, nè i trentenni (Geldenhuys, Canavosio, Orquera per citare i tre "colpevoli" nel finale) nè gli altri ventisettenni che non sono saliti in tempo a murare O'Gara ne avevan più, dopo l'ora e mezza di trincea.
sisi, vero quello che dici su Tebaldi, è che con Semenzato i problemi non si risolvono, tra i tanti possibili equiparati, Botes è uno dei pochi che merita la nazionale e con Gori formerebbe la coppia ideale di mediani.
Inghilterra sabato prossimo, Simone? A Twickenham? Lì me la vedo come la Strafexpedition del 1916, quando gli italiani si trovarono a resistere aggrappati all'orlo dell'Altipiano, a poche centinaia di metri dall'essere buttati giù in pianura (chi conosce quella parti comprende).
L'unica chance sarebbe che s'innervosissero per inconcludenza provocata, tipo Australia.
Ma il loro pack in fase dinamica è altra cosa, ti spaccano le ossa, per non parlare dei centri e del triangolo allargato.
Ma il peggio, la vera pena per il nostro modo di giocare sarà con la Francia, se rimane così: s'accomodi pure e, mentre le faccio barba e capelli tipo Aldo Giovanni e Giacomo nello spot Wind, io riparto, vado in meta e avanti un altro.
Faggy, mentre noi siam qui a interrogarci, la soluzione Mallett l'aveva individuata con un anno di anticipo: Bocchino mediano di mischia! ;)
Battute a parte, se Tebaldi ha avuto le sue possibilità, ora è giusto darle all'ultimo che resta tra i mediani di livello Celtico.
A meno che non si segnalasse qualche baldo mediano di mischia, giovane o vecchio chissene, emergente dall'Eccellenza ... dopo però, ci vuol coraggio.
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