Ciò che è bene per Aironi e Benetton, è bene per gli Azzurri
«A questo punto vogliamo confrontarci con la Fir, è chiaro che queste norme condizionano in maniera pesante le nostre scelte, la nostra programmazione tecnica». Così il solitamente molto felpato Amerino Zatta, presidente di Benetton Rugby, in una dichiarazione al giornale della sua città, Treviso.
L'oggetto del disappunto del presidente è la fatwa Fir sull'impiego degli stranieri nella prossima Celtic League - che sicuramente non si chiamerà più Magners.
Gli stranieri - intesi come non eleggibili in una nazionale Azzurra - restan anche la prossima stagione al massimo cinque a referto. E' meno delle avversarie (si capisce che secondo la Fir possiamo permettercelo); inoltre, stavolta si sono inventati on top dei fantasiosi paletti per "macro-ruolo": a referto (quindi nei 23) ci deve essere al massimo un pilone straniero, un solo seconda linea, un terza, un mediano-estremo e un centro-ala.
Non solo, le dichiarazioni di Zatta lasciano intendere che la decisione è calata senza alcuna discussione preliminare o condivisione coi club: "Queste norme rimettono in discussione molti contratti già siglati con i giocatori per la prossima stagione", scandisce il presidente, "Noi ci siamo impegnati un anno fa, non sapendo di queste novità".
Il problema ha già fatto una vittima illustre, non in casa Benetton: Gareth Krause, ottimo flanker degli Aironi, ha deciso di appendere anzitempo le scarpette al chiodo (evidentemente c'era stata qualche fuga di informazioni nei dintorni di Parma ...) e togliere dall'imbarazzo la società nel dar spazio a Nick Williams. Se prendiamo la mediana "estesa" secondo la (anacronistica) definizione Fir, in casa Benetton Botes a giugno sarà eleggibile e quindi non sarebbe coinvolto, ma non si potranno schierare assieme Brendan Williams e Willem De Waal: cervellotico. E Joe Maddock, ammesso resti? Se resta all'ala, mai con Vilk ... In prima linea poi stendiamo un pietoso velo: tra oriundi ed equiparati non si capisce mai bene chi è che cosa; invece Van Zyl in seconda linea è equiparato, mentre Vermaak è unico straniero in terza. Quindi, acquisti di stranieri in casa Benetton impediti per qualsiasi reparto se non la seconda linea, potranno solo che sfoltire; in attesa di chiarezza, han deciso di fermare tutte le operazione di mercato.
In casa Aironi ad oggi sarebbe problematico il settore trequarti (Demas, Des Fountain, Pizzarro, San Martin) e la mediana estesa (Laharrague-Marshall e/o il nuovo Pacifico in arrivo). Probabile lo sfoltimento drastico di tutti i backs stranieri. La buona notizia è che gli Aironi hanno spazio: potrebbero dire al mediano dal Pacifico, sorry ci siamo sbagliati, e comprarsi un seconda linea (come se non ne avessero abbastanza) o un piloncino ...
La logica che sottende la fatwa Fir è presto detta: forzare le italo celtiche a "sviluppare" il più possibile giocatori eleggibili alle nazionali italiane nei vari ruoli. Ma qui non è la Nuova Zelanda, dove basta dar strada e qualcuno emerge: non abbiamo le file di campioncini potenziali bloccati dagli stranieri, quel che ci manca è la materia prima e i modelli da imitare per i pochi che ci sono.
Nella realtà, diciamocelo chiaro, trattasi di tipico esempio di pensiero debole, miope ed autolesionista nel medio periodo, come tutti i centralismi calati dall'alto; è un trappolone nazional-popolare. Poco male se siamo in pochi a dirlo: suonar campane da soli contro le tante trombe altrui sollecite al soccorso del più forte, è posizione che non ci spaventa.
Non è certo il caso di far lezioni sui danni del protezionismo qui, e non serve nemmeno scendere agli Antipodi per trovare delle best practices da imitare: basterebbe considerare l'esempio irlandese, che prendiamo proprio perchè la IRFU è la più "estrema" d'Europa nell'approccio centralizzato "per franchigie" federo-dirette (a noi convince di più quello per club liberi alla franco-inglese, ma tant'è). Lassù l'obettivo numero uno è sempre la nazionale, ma il mezzo per renderla vincente è incentivare le squadre provinciali a trionfare in Celtic League e nelle Coppe Europee. Con otto (8) stranieri per team, Dove servono. Perchè lassù l'han stampato chiaro in testa: ciò che è bene per Munster - o Leinster - lo è anche per l'Irlanda.
Da noi invece succede l'esatto contrario: "Le italiane sono in Celtic solo per il bene della nazionale, sennò non avrebbe senso", disse Dondi, slogan che su altre bocche diventa un inqualificabile: "bello quando vincono i club italiani, ma ancor meglio quando vince la nazionale". Perchè, forse l'una vittoria preclude l'altra? Ma che discorso è?
Parafrasando Dondi, la verità è che le italiane sono in Celtic per vincere, sennò non avrebbe senso. A cominciare dal senso sportivo (é sempre bene richiamarlo, nella patria dei Machiavelli da salotto). Il bene della Nazionale ne deriverebbe inevitabilmente, sarebbe un by-product di un atteggiamento vincente a livello di club che "contagia" i nazionali, a livello tecnico e psicologico. Come Munster e Leinster con l'Irlanda.
Il tutto cade poi a fagiolo in una stagione, quella 2011-12, che partirà durante il Mondiale, con ben sei partite del campionato celtico ad esso sovrapposte, più il solito periodo del Sei Nazioni, impegnandovi in media una decina di atleti per team italo-celtico. Beninteso, nessuno si lamenta di questo anzi è un onore, ma in tale prospettiva qualunque "buon padre di famiglia" avrebbe allentato i vincoli sugli stranieri per quest anno eccezionale. Invece nisba.
Perciò, diffidando come sempre da quelli che, assisi al Centro, discettano roboanti ai periferici del "bene comune" e della "Patria" (ocio ..) noi affermiamo i nostri 5 punti, tanti quanti gli stranieri concessi (sennò sarebbero di più):
UNO: Fir ottenne dal Board Celtic licenza per due franchigie italiane da essa presentate ma approvate dal Board e messe a contratto su base pluriennale. Non siamo quindi in presenza di una "graziosa concessione Fir", revocabile a piacere. Finiamola allora con risibili "queste sono le regole, prendere o lasciare", perchè così NON E'. La Fir farebbe meglio ad abbandonare le velleità autoritarie per farsi finalmente autorevole, collaborativa con le celtiche per il bene del rugby italiano e quindi degli Azzurri, che sono IL FINE del movimento ma non la sua Alfa e Omega.
DUE: Si vede col Munster, col Leinster o le francesi: la nazionale cresce solo in un contesto di giocatori inseriti all'interno di un movimento di club/franchigie vincente. Il viceversa, cioè una nazionale di successo fondata su club/campionati chiusi, sotto controllo e scarsi, è nei sogni di molti provinciali ma non funziona, è esattamente il motivo del declino della gestione Dondi, dello stallo decennale dopo il trionfo dell'ingresso al Sei Nazioni.
TRE: è cosa buona e giusta preveder restrizioni sull'impiego degli stranieri: nessuno vuole l'Inter del rugby. Senza però arrivare all'illogicità, all'autolesionismo e alla impar condicio con gli avversari. Il nostro movimento non ha ricambi per l'alto livello, ma è assurdo pensare di svilupparli artificialmente. I giovani crescono in contesti positivi e vincenti, esponendoli ad esperienze a fianco di campioni, per evitare traumi da carico eccessivo di responsabilità, che ne sviliscono l'entusiamo e le doti a suon di schiaffoni, disamoramenti e scetticismo (ogni riferimento a personaggi realmente esistenti nel giro Nazionale NON è casuale).
QUATTRO: quando si avanzano costantemente richieste di apertura e collaborazione da parte Federale ma poi s'impongono dall'alto decisioni cervellotiche senza uno straccio di pianificazione ed avviso, è chiaro che la risposta che arriva sia la "defenestrazione di Viadana" dei tecnici federali.
CINQUE: A Treviso come tecnici e organizzazione invece stan bene così, grazie. Non da adesso peraltro. Potrebbero esser utili alla Nazionale come ausilio alla programmazione e alla selezione, più di quanto i tecnici federali potrebbero aiutare loro. Quando la Fir sarà in grado di metterne di più di Benetton (di soldi e capacità organizzative), allora potrà pretendere di comandare in casa d'altri. Per intanto, conta il numero di nazionali sfornati, non le chiacchiere o i salamelecchi.
L'oggetto del disappunto del presidente è la fatwa Fir sull'impiego degli stranieri nella prossima Celtic League - che sicuramente non si chiamerà più Magners.
Gli stranieri - intesi come non eleggibili in una nazionale Azzurra - restan anche la prossima stagione al massimo cinque a referto. E' meno delle avversarie (si capisce che secondo la Fir possiamo permettercelo); inoltre, stavolta si sono inventati on top dei fantasiosi paletti per "macro-ruolo": a referto (quindi nei 23) ci deve essere al massimo un pilone straniero, un solo seconda linea, un terza, un mediano-estremo e un centro-ala.
Non solo, le dichiarazioni di Zatta lasciano intendere che la decisione è calata senza alcuna discussione preliminare o condivisione coi club: "Queste norme rimettono in discussione molti contratti già siglati con i giocatori per la prossima stagione", scandisce il presidente, "Noi ci siamo impegnati un anno fa, non sapendo di queste novità".
Il problema ha già fatto una vittima illustre, non in casa Benetton: Gareth Krause, ottimo flanker degli Aironi, ha deciso di appendere anzitempo le scarpette al chiodo (evidentemente c'era stata qualche fuga di informazioni nei dintorni di Parma ...) e togliere dall'imbarazzo la società nel dar spazio a Nick Williams. Se prendiamo la mediana "estesa" secondo la (anacronistica) definizione Fir, in casa Benetton Botes a giugno sarà eleggibile e quindi non sarebbe coinvolto, ma non si potranno schierare assieme Brendan Williams e Willem De Waal: cervellotico. E Joe Maddock, ammesso resti? Se resta all'ala, mai con Vilk ... In prima linea poi stendiamo un pietoso velo: tra oriundi ed equiparati non si capisce mai bene chi è che cosa; invece Van Zyl in seconda linea è equiparato, mentre Vermaak è unico straniero in terza. Quindi, acquisti di stranieri in casa Benetton impediti per qualsiasi reparto se non la seconda linea, potranno solo che sfoltire; in attesa di chiarezza, han deciso di fermare tutte le operazione di mercato.
In casa Aironi ad oggi sarebbe problematico il settore trequarti (Demas, Des Fountain, Pizzarro, San Martin) e la mediana estesa (Laharrague-Marshall e/o il nuovo Pacifico in arrivo). Probabile lo sfoltimento drastico di tutti i backs stranieri. La buona notizia è che gli Aironi hanno spazio: potrebbero dire al mediano dal Pacifico, sorry ci siamo sbagliati, e comprarsi un seconda linea (come se non ne avessero abbastanza) o un piloncino ...
La logica che sottende la fatwa Fir è presto detta: forzare le italo celtiche a "sviluppare" il più possibile giocatori eleggibili alle nazionali italiane nei vari ruoli. Ma qui non è la Nuova Zelanda, dove basta dar strada e qualcuno emerge: non abbiamo le file di campioncini potenziali bloccati dagli stranieri, quel che ci manca è la materia prima e i modelli da imitare per i pochi che ci sono.
Nella realtà, diciamocelo chiaro, trattasi di tipico esempio di pensiero debole, miope ed autolesionista nel medio periodo, come tutti i centralismi calati dall'alto; è un trappolone nazional-popolare. Poco male se siamo in pochi a dirlo: suonar campane da soli contro le tante trombe altrui sollecite al soccorso del più forte, è posizione che non ci spaventa.
Non è certo il caso di far lezioni sui danni del protezionismo qui, e non serve nemmeno scendere agli Antipodi per trovare delle best practices da imitare: basterebbe considerare l'esempio irlandese, che prendiamo proprio perchè la IRFU è la più "estrema" d'Europa nell'approccio centralizzato "per franchigie" federo-dirette (a noi convince di più quello per club liberi alla franco-inglese, ma tant'è). Lassù l'obettivo numero uno è sempre la nazionale, ma il mezzo per renderla vincente è incentivare le squadre provinciali a trionfare in Celtic League e nelle Coppe Europee. Con otto (8) stranieri per team, Dove servono. Perchè lassù l'han stampato chiaro in testa: ciò che è bene per Munster - o Leinster - lo è anche per l'Irlanda.
Da noi invece succede l'esatto contrario: "Le italiane sono in Celtic solo per il bene della nazionale, sennò non avrebbe senso", disse Dondi, slogan che su altre bocche diventa un inqualificabile: "bello quando vincono i club italiani, ma ancor meglio quando vince la nazionale". Perchè, forse l'una vittoria preclude l'altra? Ma che discorso è?
Parafrasando Dondi, la verità è che le italiane sono in Celtic per vincere, sennò non avrebbe senso. A cominciare dal senso sportivo (é sempre bene richiamarlo, nella patria dei Machiavelli da salotto). Il bene della Nazionale ne deriverebbe inevitabilmente, sarebbe un by-product di un atteggiamento vincente a livello di club che "contagia" i nazionali, a livello tecnico e psicologico. Come Munster e Leinster con l'Irlanda.
Il tutto cade poi a fagiolo in una stagione, quella 2011-12, che partirà durante il Mondiale, con ben sei partite del campionato celtico ad esso sovrapposte, più il solito periodo del Sei Nazioni, impegnandovi in media una decina di atleti per team italo-celtico. Beninteso, nessuno si lamenta di questo anzi è un onore, ma in tale prospettiva qualunque "buon padre di famiglia" avrebbe allentato i vincoli sugli stranieri per quest anno eccezionale. Invece nisba.
Perciò, diffidando come sempre da quelli che, assisi al Centro, discettano roboanti ai periferici del "bene comune" e della "Patria" (ocio ..) noi affermiamo i nostri 5 punti, tanti quanti gli stranieri concessi (sennò sarebbero di più):
UNO: Fir ottenne dal Board Celtic licenza per due franchigie italiane da essa presentate ma approvate dal Board e messe a contratto su base pluriennale. Non siamo quindi in presenza di una "graziosa concessione Fir", revocabile a piacere. Finiamola allora con risibili "queste sono le regole, prendere o lasciare", perchè così NON E'. La Fir farebbe meglio ad abbandonare le velleità autoritarie per farsi finalmente autorevole, collaborativa con le celtiche per il bene del rugby italiano e quindi degli Azzurri, che sono IL FINE del movimento ma non la sua Alfa e Omega.
DUE: Si vede col Munster, col Leinster o le francesi: la nazionale cresce solo in un contesto di giocatori inseriti all'interno di un movimento di club/franchigie vincente. Il viceversa, cioè una nazionale di successo fondata su club/campionati chiusi, sotto controllo e scarsi, è nei sogni di molti provinciali ma non funziona, è esattamente il motivo del declino della gestione Dondi, dello stallo decennale dopo il trionfo dell'ingresso al Sei Nazioni.
TRE: è cosa buona e giusta preveder restrizioni sull'impiego degli stranieri: nessuno vuole l'Inter del rugby. Senza però arrivare all'illogicità, all'autolesionismo e alla impar condicio con gli avversari. Il nostro movimento non ha ricambi per l'alto livello, ma è assurdo pensare di svilupparli artificialmente. I giovani crescono in contesti positivi e vincenti, esponendoli ad esperienze a fianco di campioni, per evitare traumi da carico eccessivo di responsabilità, che ne sviliscono l'entusiamo e le doti a suon di schiaffoni, disamoramenti e scetticismo (ogni riferimento a personaggi realmente esistenti nel giro Nazionale NON è casuale).
QUATTRO: quando si avanzano costantemente richieste di apertura e collaborazione da parte Federale ma poi s'impongono dall'alto decisioni cervellotiche senza uno straccio di pianificazione ed avviso, è chiaro che la risposta che arriva sia la "defenestrazione di Viadana" dei tecnici federali.
CINQUE: A Treviso come tecnici e organizzazione invece stan bene così, grazie. Non da adesso peraltro. Potrebbero esser utili alla Nazionale come ausilio alla programmazione e alla selezione, più di quanto i tecnici federali potrebbero aiutare loro. Quando la Fir sarà in grado di metterne di più di Benetton (di soldi e capacità organizzative), allora potrà pretendere di comandare in casa d'altri. Per intanto, conta il numero di nazionali sfornati, non le chiacchiere o i salamelecchi.
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