giovedì 15 settembre 2011

La ricreazione è finita, purtroppo

Carlo M. affronta a suo modo un aspetto dell'argomento sollevato dai colleghi neozelandesi martedì: l'educazione allo sport. Un intermezzo tra le partite in programma.

Ne parlavo con uno oggi al bar, io dietro il bancone a mescere il vino, lui lì col prosecco. Il problema dello sport in Italia non è (solo) il dilagare dei giocatori stranieri mediocri che si conquistano via via spazio per via del loro passaporto e non dell’abilità. Non è la mancanza di fondi. Ed è una motivazione che viene prima anche delle console che hanno monopolizzato il tempo libero domestico. 
Il problema sono le donne. Due categorie di donne, anzi, che così evito di essere tacciato di essere misogino. Le mamme e le maestre. 
Lo dice uno che vuole passare la sua vita con una ragazza che vuole diventare sia l’una che l’altra (e io approvo, sia chiaro), quindi che avrebbe ragione di essere preoccupato, se non fosse che sa com’è fatta Lei. Scusatemi se vorrò argomentare un po’ il discorso. Anzi la mia convinzione. 
Se quando andavo a scuola io eravamo già in fase di declino, ora si è al caffè. Parlo con il mio babbo e mi racconta di attività che lui era solito fare da bambino e che ora potrebbero essere considerate sport estremi molto pericolosi, tipo le gare di discesa con carrettini (niente a che fare con quelli che hanno reso a noi celebre la voce di Cecinelli) artigianali per strade ripide e pericolose del paese. Oppure l’arrampicata sugli alberi, meglio se alti e secchi. E una miriade di altri giochi che costavano fatica, botte, gambe e braccia sbucciate e sanguinanti. Ma che allo stesso tempo ti sviluppavano abilità. 
Al mio tempo i carrettini erano già spariti, sugli alberi era un’avventura ancora più affascinante perché proibitissima dai genitori. In compenso, i giochi abituali con gli amici erano gli stessi che si facevano a scuola al momento della ricreazione: calcio, ciapa-ciapa e l’uomo nero. 
Giochi fondamentali, che allenavano “gratuitamente” – e qui veniamo al perché di un articolo così in un blog di rugby – skills altrettanto fondamentali, cioè i calci e la corsa, i cambi d’angolo imprevisti, le variazioni di ritmo e la velocità. Al prezzo, anche qui, di qualche ginocchio sbucciato, di una botta, di un bel litigone con quello che era amico, fino a prima della partita (e anche poco dopo la fine della stessa). 
Arriviamo ora all’oggi. Ma li vedete questi bimbi? Le vedete queste mamme? No, ok, levatevi dalla testa l’aspetto esteriore di certe mamme e pensate solo al loro carattere, le loro preoccupazioni e i loro isterismi. Le mamme d’oggi sono quelle che se il loro bimbo spacca un vaso in testa al compagno a scuola e il maestro si sogna di punirlo vanno dritte dritte dai carabinieri a denunciare l’insegnate (lo fanno anche per molto meno, mentre dovrebbero preoccuparsi quando l’insegnante mostra altri tipi di attenzioni…). 
Sono quelle che se loro figlio prende una botta alla partitella di calcio corrono in campo a menare quell’altro bambino, quello che l’ha falciato. Sono quelle che piuttosto che il loro bimbo si prenda un raffreddore non lo mandano ad allenarsi alla minima pioggia, che poi magari si sporca anche di fango e chi fa la lavatrice? Sempre loro, le mamme. Che preferiscono che il pargolo giochi alla wii, che diventi un campione di golf virtuale, di ping pong virtuale, di canoa virtuale, di basket virtuale, ma poi non sa neanche calciare un pallone dritto tra due pali. 
E le maestre? Sono quelle che vietano i giochi a ricreazione, che vorrebbero che il loro fosse un ambiente di chierichetti (salvo dimenticare che poi all’oratorio lo sport, compreso il rugby, si fa). Ecco le corresponsabili di questa generazione che non corre, non sa giocare a calcio né tantomeno a rugby. Quelle che l’educazione è una cosa seria. 
E lo sport cos’è? Cosa c’è di più educativo di una partita (giocata) di rugby per sistemare la testa di un bullo? Come insegnare cos’è l’unione e la cooperazione? Cos’è il sostegno? Cerchino di avere più coraggio. Per noi ma non solo. Perché lo sport ti forma anche per la vita.

8 commenti:

roberta ha detto...

scusa, ma mi sento direttamente chiamata in causa... sono una donna e sono una mamma, ti assicuro che ce ne sono tante altre di donne/mamme che sono l'opposto della tua descrizione... mio figlio gioca a rugby e sono la prima a mandarlo agli allenamenti anche con la neve, ha 12 anni e va da solo, si fa 1h30 di viaggio sui mezzi pubblici, finisce alle 20 e ritorna a casa dopo le 21h30, la wii non esiste a casa nostra, si va insieme al parco con il pallone ovale e si fa qualche tiro... sono orgogliosa di pulire le sue scarpe dal fango (quando si dimentica di farlo lui) e se ritorna a casa con l'occhio pesto o il dito incassato o il ginocchio che sembra un melone... passerà, l'importante è che lui si sia divertito sul campo! In quanto alle maestre non posso parlare, non faccio parte di quella categoria.

Carletto ha detto...

Roberta, in base alla tua descrizione non dovevi nemmeno sentirti chiamata in causa.
Grazie per quello che fai!

roberta ha detto...

Carletto, in quanto donna e mamma mi sono un po' risentita... Non devi ringraziarmi, è un piacere per me e non so stare lontana dai campi da rugby... respirare il profumo dell'erba umida... sentire il rumore dei placcaggi, la nube di vapore sopra le mischie in inverno... Adoro vedere i bambini del minirugby tutti insieme sul campo... quest'anno mio figlio è nell'U14, non vedo l'ora di seguirlo in campionato...

Abr ha detto...

Dalla parte di roberta (ma non so se apprezzerà): il problema più che la presenza di troppo tempo con donne, è l'assenza degli UOMINI dall'educazione dei figli, maschi e anche femmine.

Venendo poi al rugby,c'è una cultura dell'outdoor distorta: in Italia se non prendi l'auto (o il camper, uguale è) per andar lontano lontano, non ti diverti; le società calcistiche (calcio!) guadagnano più dai diritti televisivi che dai ticket.
Forse anche perchè gli stadi son dei cessi pubblici.
Ci hai azzeccato in sostanza: è un problema culturale.

roberta ha detto...

Bhe' per quanto mi riguarda hai azzeccato, sono da sola con due figli e ogni volta che c'è partita o allenamento è una lotta (più che altro psicologica) con il padre, perché vorrebbe fare altro nel suo tempo libero. Ma noi resistiamo, mai mollare!!! Ormai si va avanti così da più di tre anni. Quindi, posso solo darti ragione... gli uomini sono assenti e pure ingiustificati. eheh

Carlo ha detto...

Come ben ha sottolineato Abr, è un problema culturale. A me interessava più che altro provocare sul concetto. Avessi scritto che era un problema di genitori e di maestri non avrebbe avuto lo stesso effetto :)

Poi sull'uomo di oggi e la donna di oggi non mi sento ancora in grado di giudicare, son zovene!

ringo ha detto...

Che spreco!

Anonimo ha detto...

bellissimo articolo!

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