Rugb-rica mondiale - meno sette: la ricetta
La rugbrica mondiale del giorno meno sette dall'ouverture si occupa di ricette. Per la vittoria.
Traduciamo qui il decalogo degli esperti (ovviamente inglesi) per vincere i Mondiali, pubblicata sul sito ufficiale RWC2011.
L'Italia non deve vincere niente, se non tre partite a caso per raggiungere i suoi obiettivi; ognuno faccia le sue considerazioni su come siano messi gli Azzurri rispetto alla ricetta, io riporto le mie.
1 Centrare i piazzati
Le mete ovviamente stanno al gioco come il circolo del sangue nel corpo, ma il valore dei piazzati non dovrebbe venir sottostimato. Ogni squadra vincente ha avuto un calciatore con l'accuratezza di un metronomo: Grant Fox nel 1987, Michael Lynagh nel 1991, Joel Stransky nel 1995, Matt Burke nel 1999, Jonny Wilkinson nel 2003, Percy Montgomery nel 2007.
Commento: cominciamo bene!
2 Il pack: grandi, grossi e aggressivi
Non c'è da aspettarsi timori reverenziali da nessuno. Se l'avversario dispone di un pacchetto di avanti determinati, lo userà per prendersi il controllo della partita; è indispensabile quindi avere un pack almeno equivalente. Nessun avversario era in grado di prendersi delle libertà in presenza di gente come Wayne Shelford, Martin Johnson o Bakkies Botha.
Commento: qui già un po' meglio, anche se, ogni tanto, qualche falla difensiva ...
3 Un po' di fortuna
I migliori me hanno bisogno. L' Australia nel 1991 è stata a cinque minuti dall'essere sbattuta fuori dal Mondiale per una meta irlandese, quando Michael Lynagh salvò la baracca con un ultimo assalto che produsse la meta vincente. Fortuna, o un caso di "più ci provo, più fortuna ho", come disse una volta il campione di golf Gary Player?
Commento: dato per scontato che non avvengano distrazioni fatali con Russia e Usa, tutto il dannatissimo mondiale italiano si ridurrà a una singola maledettissima partita. Avere un briciolo di fortuna servirà molto, ma la fortuna non è cieca, come disse Gary Player ...
4 Dominio nelle fasi statiche
Chi è stato il giocatore più decisivo per la vittoria del South Africa nel 2007 ? L'ala Bryan Habana? Il dirompente flanker Schalk Burger? O il seconda linea Victor Matfield? Con quest'ultimo a garantire ovali dalle rimesse, il game plan degli Springboks era basato su fondamenta solide.
Commento: speriamo che la rimessa italiana venga risistemata: nel 2007 siamo stati i migliori al mondo nel fondamentale. L'altra "fonte di gioco", la mischia ordinata, di fatto può procurare piazzati (per cui si torna al punto 1), preoccupazione e vantaggio territoriale, ma non illudiamoci, le partite non si vincono solo con la prima linea. Gli ultimi test Azzurri lo illustrano bene.
C'è una terza fonte di gioco che non è "set", è dinamica ed è sempre più praticata: le palle recuperate e la rapidità a trasformare l'azione da difensiva a offensiva. L'altra fase che necessita dominare per vincere è quella tattica: saper quando e dove calciare sotto pressione, eseguire i movimenti di squadra più appropriati.
5 Saper quando fare i cambi
Nel 2003 ci si attendeva che l'Inghilterra superasse facilmente il Galles nei quarti di finale, ma nella gara furono messi in difficoltà. Coach Clive Woodward allora inserì Mike Catt e la sua esperienza tattica, che consentì all'Inghilterra di rispettare il pronostico. Catt fu confermato per la semifinale.
Commento: la cosa vale anche sul piano strategico. In un torneo lungo e a ranghi predeterminati, è fondamentale predisporre due squadre, con ruoli precisi, chiari e divisi. Gli Azzurri sono ancora in fase di test, in competizione per i posti nella partita cruciale. Speriamo serva da stimolo non da fonte di stress, e occhio agli infortuni!
6 Giocare sui propri punti di forza
England arrivò alla finale del 1991 grazie a un pack che scardinò le partite con Francia e Scotland. In finale invece cambiò tattica e si mise ad aprire ovali in giro per il campo. I pur più creativi Australiani si misero a giocare una partita pragmatica e vinsero, segnando l'unica meta da una azione degli avanti da una rimessa.
Commento: gli Azzurri non possono limitarsi a giocare con la prima linea. E' la ricetta per "perdere bene". Devono azzardare qualcosa in più.
7 Preparazione, preparazione, preparazione
Quando l'Inghilterra annunciò i Test per il 2003, sembrarono troppo impegnativi per un pre mondiale – trasferte con New Zealand e Australia. Il team di Martin Johnson vinse meritatamente a Sidney, avendo preventivamente sepolto ogni timore reverenziale per quelle squadre nel loro terreno. I vincenti devono anche raggiungere il massimo della forma al momento giusto. Per la Francia, dopo la grande vittoria su New Zealand nel 1999, ripetersi dopo una settimana in finale era probabilmente troppo.
Commento: ah avessimo battuto la Scozia che a sua volta aveva superato l'Irlanda ... Speriamo almenoche i nostri ricordino l'amaro in bocca della sconfitta con l'Irlanda al Flaminio per un drop, esattamente come gli inglesi avevan ruggini pregresse da sistemare, sabato scorso.
8 Ottenere supporto di alto profilo
Il rugby è una battaglia simulata, chi gioca ha bisogno di sentire sostegno. La campagna 1995 del South Africa ottenne il supporto di un certo Nelson Mandela, quindi quello di tutta la nazione.
Commento: agli italiani non servono "simboli", sanno bene che se vincessero avrebbero il sostegno entusiastico di tutti, ma se non ce la facessero, l'affetto e il rispetto di molti rimarrebbe. Assieme a quegli sguardi della serie: l'avevo sempre detto io, che non ce la potevan fare ...
9 Un generale al centro
Se un'apertura di alto profilo solitamente si prende le lodi, la posizione cruciale per il successo del team e quella di inside centre. Nel 2003 Will Greenwood, dalla sua posizione strategica dalla quale nulla sfugge, fu occhi e orecchie di Jonny Wilkinson.
Commento: qui non ci siamo. Al centro possiamo schierare al massimo dei mastini difensivi, qualche volta anche ball carrier. L'apertura poi: occhi e orecchie per far cosa?
10 Qualcuno dotato di X-factor
Maverick, genio, eroe solitario – ogni squadra ha bisogno di un giocatore che faccia quello non ti aspetti nel momento cruciale. Non è detto sia il giocatore che segna più mete o punti. Pensate a Michael Jones nel 1987 o a David Campese nel 199; James Small nel 1995 – l'ala che destabilizzò Jonah Lomu; Tim Horan nel 1999; Bryan Habana nel 2007. E England nel 2003? Jason Robinson? Jonny Wilkinson? Diremmo Richard Hill, in forma solo per tre partite ma una era quella che contava di più.
Commento: uno splendido volteggio corale perfetto sul trapezio più alto, come la meta di Tommy Benvenuti alla Scozia. Peccato che se capita, è una per partita. Servirebbe accumulare tutto il resto più "standard", prima. A partire dai piazzati.
3 commenti:
Mi accorgo di non averlo mai fatto.
Vi seguo da parecchio tempo e non vi ho mai ringraziato per i vostri post.
Lo faccio ora: grazie, perchè se ho cominciato a capirci qualcosa, di rugby, e a sviluppare uno spirito maggiormente tecnicocritico è anche per merito vostro e dei vostri post sui fondamentali.
Hey, thanks Alessando. Guarda, descrivi un progresso che è anche il nostro. La voglia di approfondire, e la faccia tosta di pubblicare, confrontandoci con le opinioni altrui senza problemi.
Uno dei guai del rugby, 4 anni fa quando iniziammo (ma ancora adesso) è l'aura misteriosa, da iniziati, che alcuni amano difendere. Sono i "sacri custodi", bravissima gente che lo difenderebbe quasi a costo della vita, ma che in realtà non ne ha capito granchè, e nemmeno desidera farlo, in fondo. So' quelli del "cuore" e della "passione". Certo, importantissimo; ma noi preferiamo analizzare quel che si può analizzare, cioè la parte tecnica e i fatti, e come suggeriva Wittgenstein, lasciar perdere ciò di cui parlare non si può (cuore, passioni etc.etc.).
Certi approcci danno solo spazio a gossip e bandieroni provincial localistici. Cosa che purtroppo dilaga, rischiando di trascinare questo fantastico sport verso approdi calciottardi stile "qui studio a voi stadio".
Mi unisco ai ringraziamenti del Socio. In quattro anni ne abbiamo fatta di strada: se vado a rileggere certe cose scritte da parte mia nel 2007, non che me ne vergogni, però penso "ma che cavolo ho scritto?". D'altronde, un conto è seguirlo, un conto è provare a raccontarlo e analizzarlo questo sport. E' questione di allenamento, come in ogni cosa. Nessuno nasce imparato, tranne i fuoriclasse o chi si crede tale.
Un saluto.
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