Sostiene Mallett
Ieri la cerimonia della partenza da Roma del team Italia per i lontani lidi di Aoetaroa, destinazione Mondiali.
Nei report di chi c'era, emerge una cerimonia standard, ufficiata nel senso istituzionale, ricca di auspici, dediche, retorica e messaggi precotti dall'inevitabile Gotha del movimento sportivo italico.
Un esercizio di ipocrisie: "Dopo questo Mondiale Nick Mallett, un grande tecnico, andrà via e mi dispiace", sic il presidentissimo Dondi. Noia e stanchezza evidente nei giocatori, a partire dal capitano.
Il problema di fondo è culturale: in un Paese giustamente e storicamente scettico riguardo le prediche dal pulpito, sovente si atterra nel cinismo più cieco e s'ignorano i benefici address speech motivazionali che da altre parti lanciano futuri presidenti della Nazione. Qui rimangono solo stanchi rituali impaludati. La Nazionale di uno sport di combattimento avrebbe invece bisogno di vedersi consegnata "la bandiera" dal vertice e non da funzionari impacciati o frettolosi, a maggior ragione quando vola agli Antipodi. E' uno dei punti essenziali esplicitati nel decalogo per vincere nel rugby.
Tant'è; tacendo del messaggio standard del capo del Coni Petrucci, buono per il curling come per la ginnastica ritmica, rimane lo sbiadito auspicio Dondiano: "Andrete dall'altra parte del mondo. Non sentirete forse il tifo con le orecchie poiché troppo lontani ma di sicuro lo sentirete con il cuore. Avete visto che ormai nessun avversario è nettamente superiore a voi. Fatevi valere". Oltre che basato sul "voi" e non sul "tutti noi" - è un abbastanza esplicito fatevi valere da voi, noi vi salutiamo e fateci sapere - è motto un po' fiacco per lanciare i cuori oltre le barricate avverse, alte quattro posizioni nel ranking.
Decollati gli Azzurri, restano a terra le ultime polemiche, a mo' di mine lasciate nel già asfittico, provinciale e polemico ambito del rugby italico. Le sgancia involontariamente Nick Mallett, un signore, evidentemente un po' esaurito per l'epilogo della sua avventura. Il coach, laconico con gli italiani, si fa invece più esplicito con la stampa estera. E qui la fazenda si fa lunga, ma se riuscite a portar pazienza e a seguirci, come al solito vi faremo atterrare in Continenti del tutto inesplorati da altri. Non è necessario esser d'accordo con noi, ma l'aver considerato le cose da più punti di vista, aiuta a formare le opinioni.
Procediamo con ordine. Al sudafricano Supersport ad esempio, Mallett racconta i suoi 4 anni di Italia, rammaricandosi della conclusione: "I had more to offer Italy". "Avrei voluto restare per altri due anni perché solo da quest'anno abbiamo cominciato a cogliere i frutti di un lungo lavoro". Fa riferimento alla vittoria con la Francia: "E' stata la stessa gioia che provai quando come coach del Sudafrica vinsi il TriNations", afferma Nick, anche per far risaltare il suo curriculum.
Mallett non nasconde le difficoltà dei primi due anni di gestione di una squadra "technically and tactically not among the best teams in the Six Nations": barriera linguistica, staff non suo, mancanza di fiducia e conseguente incapacità di creare "l'atmosfera" che voleva.
Dopo è cambiato tutto: "But the last two years have been the most pleasurable I have experienced yet as a coach. Se il clima di coesione è decollato come mediamente il gioco, non così i risultati: come sottolineava il candido Castrogiovanni, "con Mallett giochiamo meglio ma con Berbizier si vinceva di più".
Mallett giustamente puntualizza che in quattro anni, con l'eccezione del Giappone, abbiamo sempre sfidato nazionali superiori agli Azzurri nel ranking e rivendica con orgoglio: "I've got a dozen Italian records with best results against many teams". Adesso è la mentalità il vero nuovo asset Azzurro, è per questo che gli spiace mollare: "The most important thing to be proud of has been the spirit of the side", "The players never lose heart and we've never really taken a huge thrashing". Sotto tale luce rimane convinto che la Federazione abbia sottovalutato il suo lavoro.
Sin qui l'analisi di Mallett è abbastanza condivisibile, amarezze e senso di "coitus interruptus" inclusi - anche se lui anglosassone sa bene che i risultati si valutano a partire dalla bottom line (vittorie vs. partite giocate: 7/38, cioè 18%; per Berbizier fu 41%, per Kirwan 31%; bisogna tornare a Brad Johnstone per trovar di peggio, 15% ), solo dopo si considerano gli intangibles (mentalità, spirito, gioco, rapporto coi giocatori etc.etc.).
Mallett ha qualche vacillamento nel farsene una ragione: "Sono sollevato di esser durato quattro anni e di avere ancora del credito. La sfida era enorme. Mi ritengo fortunato perché dopo aver allenato l'Italia si perde reputazione, invece io sono ancora molto richiesto". Che è, siamo la Polonia? Peraltro non ci risulta che a Berbizier o Kirwan dopo esser passati di qui, siano stati ritirati i pass ai piani alti del rugby.
A proposito del suo futuro, Mallett dice di voler pensare solo al Mondiale, poi rilassarsi sei/otto mesi e capire se ha ancora voglia di allenare. "Le offerte non mancherebbero", afferma, "mi sono state presentate opportunità in Francia e in Inghilterra, non allenerò in Sudafrica". E fa riferimento a Tolone: "mi è stato chiesto se ero interessato, ma dopo il Mondiale preferisco fermarmi per un po' "; il che, incrociato con le dichiarazioni del pàtron Budjellal ("c'è chi mi ha risposto che ha bisogno di sei mesi di vacanza, altrimenti la moglie lo pianta"), apre squarci interessanti sulla situazione.
E' il caso Gower però quello che più eccita le menti locali. Il "gran rifiuto" della Nazionale da parte del "mercenario straniero che crede che Gubbio sia nel distretto Toscana" è ovviamente una ferita aperta per Mallett. Il quale rimane l'unico che possa definirsi "tradito", dopo 11 o 12 Test Match investiti nello sviluppo dell'ex centro di Bayonne; alla fine gli rimane un pugno di mosche in mano, una squadra sostanzialmente priva di aperture provate. Mallett esplicita quel che l'Italia ha perso con Craig: "Already he gave us a lot of security in defence and attacked the gain line and we'd have improved his kicking game so it's been a big loss". Dondi invece fa il sostenuto: "Contavamo su di lui. Comunque nessun problema. Rispetto la sua decisione. Anzi, forse è meglio così".
Alla stampa italiana che lo sollecitava al proposito, il coach si è limitato a un laconico: "Se oggi Gower è pienamente recuperato dall'infortunio lo deve soltanto al nostro staff medico, che dovrebbe ringraziare", per far giustizia della urbana e cortese bugia del giocatore, che imputava il forfait a problemi fisici, salvo ricomparire convocato nella nazionale XIII Firl.
All'anglofono Planetrugby il coach chiarisce meglio la vicenda: "E' stato tutto molto frustrante, so che Craig avrebbe fatto di tutto per venire al Mondiale, ma è un semplice problema dell'era dei professionisti: un giocatore Pro deve prendere la decisione migliore per la sua famiglia". Con buona pace dei tifosi che pretendano giuramenti di fedeltà matrimoniale fin che ritiro non li separi, mentre LORO scioperano - correttamente - quando un contratto di lavoro venga minacciato o cambiano azienda - giustamente - alla prima offerta migliorativa.
Tanto dovrebbe bastare per liquidare le uscite nazional popolari gettate in pasto al pubblico (e ai giornalisti) di bocca buona, a partire dalla dondiana "nella nostra Nazionale non si gioca per i soldi", accostabile alle tante vesti stracciate in giro per il web, "basta mercenari!", "che lezione per tutti" e avanti con fiaccole e forconi anti oriundi e prezzolati stranieri tutti.
La dichiarazione di Mallett è quanto serve per comprendere - a chi vuol farlo - quanto già si sapeva: Gower, 33 anni, vicino al termine della carriera, non è un bieco mercenario, semplicemente non gli è stato proposto alcun contratto soddisfacente, paragonabile alla proposta degli Harlequins del rugby XIII. E Craig, contrariamente a noi tutti, col rugby ci mantiene la famiglia.
Chi non l'ha voluto? Gli indiziati ufficiali sono i soliti due, Benetton e Aironi. Mallett apparentemente conferma: "There were opportunities, especially at Aironi who don't have a fly-half, and I don't understand why they didn't think long-term and give him a year plus one year (contract)". Anche Mallett si aggiungerebbe quindi all'elenco dei j'accuse alle Celtiche pervicaci e proterve, mentre per la Fir solo la "frecciatina", di non aver saputo far pressione sulle franchigie: solo un po' timida e incapace quindi, e già hai detto niente. La verità Mallett la conosce bene, ma aldilà del fatto che è troppo signore, dovendo incassare liquidazioni e stipendi non può (ancora) permettersi di sparare alzo zero.
Il punto è che lo stipendio dei giocatori di interesse nazionale è corrisposto al 60% dalla Fir, quindi giocoforza sia essa a dare il parere vincolante sui contratti dei nazionali. Nella sua qualità di maggior contributore "con pesante voce in capitolo sulle scelte delle franchigie " (Dondi dixit), ricade sulla Fir la responsabilità del rifiuto a Gower di un contratto più lungo di un anno e sopra i 150.000€ lordi. Punto e fine della discussione.
Perché mai la Fir non ha agito? Mera ignavia, incapacità e inadeguatezza, come par suggerire Mallett? Forse, ci sta, tipico andazzo da parastato. Assieme però c'è anche altro: probabilmente in Fir ai Mondiali non si pensa più, son già proiettati nel futuro. Molti indizi suggeriscono che a Palazzo sia scattata l'operazione "allineamento col nuovo che avanza", vince il più veloce ad indovinare che ne pensi Jaques Brunel.
In tale scenario il "toscano di Gubbio" Gower era inevitabile vittima collaterale: 33enne, pupillo del coach uscente, figurarsi chi si sarebbe preso la responsabilità di investirci un soldo bucato. Il cerchio si è chiuso con l'imporre al posto di Craig Riccardo Bocchino, un bravissimo ragazzo eterna promessa, unanimemente giudicato ancora immaturo per la Celtic, figurarsi per un mondiale. Imposto a chi l'aveva provato per cinque minuti ... come mediano di mischia! Capolavoro. Del resto il viterbese è senz'altro più "politicamente corretto" di Kris Burton - altro australiano - già 30enne quindi poco spendibile nella prospettiva Bruneliana.
La situazione Gower va in replica paro paro con Mauro Bergamasco, al quale questo inaudito disinteresse della Fir per i giocatori di interesse nazionale -ma per poco - non facilita il trasbordo della sua montagna di esperienza in Italia; è ancora unattached. Guarda caso, il patavino è alla ricerca di qualche approdo professionale fino in Giappone. Ma la voce da diffondere è che sia la Benetton a non volerlo manco dipinto (e vorrei anche vedere: tra Zanni, Derby e Barbieri che ci andrebbe a fare a Treviso, il portaborracce?).
Ergo, si va ai Mondiali senza fiducia nelle aperture e col flanker più senior con la testa altrove. Problemi di Mallett, si mormora in Fir col mezzo sorrisetto, mica si può aver tutto; quando a Mauro, è un Pro, saprà bene come gestirsi mentalmente. Della serie, oltre al danno la beffa.
Cose che capitano quando nessuno ci crede e si pensa solo a non rimaner coinvolti nei probabili crolli. "Fatevi valere". Se del caso, primo colpevole ovvio sarà Mallett, poi l'egoismo esterofilo dei club celtici. Sitting ducks, così si definiscono i bersagli facili.
Del resto la Fir punta da tempo su articoli di fede nazional popolari e collettivisti molto diffusi ed accettati dal popolino, che si beve tranquillamente il concetto illogico di uno sport incentrato sulla nazionale a dispetto dei club, che vanno quindi limitati nelle loro possibilità di affermarsi in campionato e coppa europa, roba che in Irlanda o in Galles farebbe sghignazzare i raccattapalle.
E' un motivo in più per augurarci che vada tutto per il meglio agli Azzurri in Nuova Zelanda. Nun capita, ma se capita che Mallett raggiunga il Sacro Graal del rugby italiano -il passaggio ai quarti di Coppa del Mondo - quanto godremmo nell'intervistare il Ct italiano uscente (rigidamente in inglese): sapremmo bene che domande fargli.
(foto courtesy of "il Grillotalpa").
3 commenti:
Non c'è una parola di troppo in questo articolo, caro Abr: è per questi contributi (ma non solo) che vi leggo avidamente ogni giorno. Che Dio ce la mandi buona.
P.S. Scusa per il mancato commento della partita di Cesena, ma non avendo neanche un cellulare (giuro) mi risultava difficile mandare commenti live. Ah, il verso di W. R. Emerson inizia con la parola "whoso" (chiunque, come whoever"), non con "whose". Ciao!
Tnxs Alessandro per il supporto.
Commenti: mica solo live! Se i ns. più affezionati desiderano aggiungere qualcosa, lo possono fare ex post via email o nei commenti. La storia con Zamax "il nostro corrispondente da Treviso" iniziò così.
Sulla sentenza del Ralph Waldo, hai ragione, è un refuso (che risale a 4 anni fa, oibò).
"Whoso"=whoever: crto che non si finisce mai di imparare.
Ma io ho frequentato soprattutto rednecks 'mericani, al limite so di "ain't", "gonna" e "wanna".
Io frequento i rapper americani e i drunk gallesi, quindi mi tiro fuori subito dalla discussione linguistica...
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