domenica 12 febbraio 2012

Italia, la coperta è ancora corta

Dunque, la gara serale allo Stade de France tra Bleus e Irlanda è rinviata per il campo gelato in modo giudicato dangereux  dall'arbitro Pearson - ineffabili gli organizateurs francesi i quali, privi di terreno riscaldato come ce n'è in Inghilterra e anche a Roma (proprio l'Olimpico), insistono per giocare alle 21.00 nel periodo più freddo degli ultimi 50 anni;  si vede che il sabato pomeriggio a Parigi è sacré per il giretto di acquisti.
La cosa ci da' spazio per un commento-analisi più articolato su Italia-Inghilterra imbiancata.

La sintesi che va per la maggiore è quella del regalo Azzurro agli inglesi. Dissentiamo, con tutto il rispetto, anche se l'amarezza è grande: la vittoria era nettamente alla portata dei nostri, stavolta esenti da errori marchiani in fase difensiva (solo uno) e autori di due mete contro una  - leggi: doppia, reiterata capacità di sfruttare errori avversari.
Non è bastato: il motivo della sconfitta è lo stesso di Parigi, la vittoria se la sono guadagnata gli avversari col loro cinismo, figlio di esperienza e quindi maggior sangue freddo. Anche se il conto dei caps era nettamente a nostro favore, le dinamiche nei giochi di squadra, a maggior ragione nel rugby, sfuggono alle analisi limitate all'uno-contro-uno: una squadra, una nazionale sono quasi organismi a sé stanti, sviluppano proprie logiche e sedimenti di conoscenza.
Prevalenza dunque della sagacia avversaria, soprattutto nelle fasi finali, agevolata dai limiti nella "coperta" italiana: "Italy fall agonisingly short", titola con efficacia un anglosassone, a sottolineare una buona metà del secondo tempo spesa dagli Azzurri con poca lucidità. E' il motivo per cui in dispensa a fine partita non abbiamo più trovato quanto raccolto nel primo tempo. I parziali la dicono lunga: 12-6 nel primo tempo, 3-13 nel secondo.

Per quanto riguarda l'Inghilterra, nulla di nuovo rispetto a quanto analizzato la scorsa settimana: i giovinastri radunati da Stuart Lancaster han confermato le attitudini mostrate al Murrayfield, cioè quanto abbiamo battezzato in modo non originale "defense driven pragmatism".
Un approccio consono alle caratteristiche "mastine" ed esperienziali inglesi, perso nella gestione Martin Johnson a causa del troppo spazio concesso agli individualismi, ripreso dal  "caretaker", e reso maledettamente efficace. Il sergente maggiore ha innanzitutto "fissato" i prescelti, legandoli a precise "zolle" (gleba in latino, da cui "servi della gleba") del campo con compiti precisi, rinforzando il tutto con un rinnovato understatement (vedi raduno preparatorio a Leeds e non in Portogallo) anche a livello individuale, come mostra l'atteggiamento remissivo di un super testa calda come Dylan Harley: in campo non reagisce più manco alle mani in faccia!
L'esito è un gioco non molto esaltante: il nostro ospite inglese Total Flanker ha scritto papale papale che non giocano a rugby, il Socio ha sottolineato l'assenza dal novero dei giocatori propositivi e non solo reattivi in campo di Chris Ashton, accompagnato stavolta anche da David Strettle. Ai due è andata di lusso: il terzo membro del triangolo allargato, Ben Foden, s'è messo in luce per motivi decisamente pessimi: errori decisivi, due mete sul groppone. Ma non deve essere molto divertente là dietro rispettare le rigide consegne del coach.
Anche il resto del reparto arretrato non brilla: sono apparsi "vivi" e sufficienti solo il freddo e preciso Owen Farrell, migliore in campo se il titolo dovesse per forza andare a un membro della squadra vincitrice e Charlie Hodgson, in ragione del suo guizzo-bis in meta, a prendersi lo scalpo di Masi dopo quello di Parks la settimana prima - traumatizzato al punto da dichiarare il suo ritiro (Masi mi raccomando, non t'attapirare troppo).
Il guizzo in questione merita di venir sottolineato: ma quale "fortuna" caro Kirwan, certi bis non avvengono per caso, difatti l'apertura dei Saracens s'allena regolarmente sul fondamentale. Lezione: l'esperienza, o "il cinismo", significa prima di tutto cura dei dettagli. Son quelli che fanno la differenza tra una vittoria di misura, "ugly", e una sconfitta di misura  - "onorevole" solo per noi latini, tra gli anglosassoni manco esiste il concetto: onorevole è la concessione a partecipare, il rango di combattente, but a loser is a loser.

Il modello di gioco inglese si evidenzia bene all'inizio partita: il reparto davanti a macinare campo in modo fisico, quella terza linea quasi indifferenziata, tuttofare, volutamente priva di specialisti Croft-Robshaw-Dowson. Priorità è cercare i falli prima dei buchi difensivi, come farebbe la Francia o allargare il gioco come farebbe il Galles o l'Irlanda: lo dimostra il ritmo blando.
Nell'ultimo quarto lo schema viene accelerato dall'ingresso di Lee Dickson in mediana e di Ben Morgan The Missile, abile sfondatore di ruolo. Tattica efficace ancorché conservativa: contieni, cerca il fallo, conserva la calma e prova a colpire con maggior continuità nel secondo tempo.
In fase difensiva, se contro gli scozzesi eran riusciti a ricucire in scrambling tutte le falle, contro l'Italia le coperture saltano un paio di volte, sempre per causa dell'ultimo uomo Foden e tutto nel giro di qualche minuto a fine del primo tempo. Errore individuale, rimediato by keeping cool and holding on; i nostri invece, caratterialmente si sono scomposti e quasi arresi mentalmente per lunghi minuti, una volta subito l'inatteso uppercut della meta d'intercetto a un veterano.
La vera area migliorabile del gioco inglese sono le fasi statiche: il mestiere e la capacità di gestire l'arbitro han messo una pezza alla evidente inferiorità in mischia ordinata - ne han perso due su loro introduzione e han preso un piazzato, mentre i nostri han dovuto subire 4 reset su 5 introduzioni.
Piuttosto, s'è confermata la problematicità in rimessa: Palmer, Croft e Botha han subito un paio di furti e tutta una serie di rimesse sporcate, riuscendo a impensierire gli italiani solo un paio di volte.
Un ulteriore aspetto critico del modello: vedremo se in casa, sotto gli occhi dei suoi e della critica domestica, Stuart Lancaster potrà permettersi un gioco così chiuso e lento. Nel prossimo turno riceveranno il Galles, il peggior cliente possibile oggi per chi tenti di improvvisarsi "espansivo" senza averne i cromosomi.
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Veniamo ora agli Azzurri. Hanno applicato lo stesso modello di gioco visto con la Francia (lo definirei aggressivo più che espansivo tout court); s'è notato qualche progresso nell'affiatamento e nella confidenza. I limiti sono rimasti gli stessi: non tanto stavolta l'incapacità di superare la linea difensiva, quanto  l'ossigeno limitato e soprattutto il morale che crolla al primo infortuno grave.
Sul piano della capacità di portare a galla falle avversarie, stavolta la presenza di Benvenuti - calcetto a seguire per Venditti dopo uno di Burton nella stessa azione d'attacco - e un momento di sbandamento di Foden, han consentito all'ala Aironi di esplorare e capitalizzare l'errore avversario.  Di più, la pressione difensiva - sottolineo, difensiva - attuata da Zanni e ancora Benvenuti, ha provocato il secondo errore degli avversari.

Purtroppo però la coperta è quella che è: è riemerso il difetto pre-Mallett, l'autonomia limitata. Prima di tutto nella testa. Contribuisce anche il salto del cambio in prima linea probabilmente previsto per LoCicero, che ha dovuto spararsi tutta la gara. Il punto della incapacità di reggere il primo passo falso grave (la meta subita) e la distanza, sono l'elemento (negativo) che da solo spiega la sconfitta.
Tutto il resto è dettaglio, accidente: le lacune che elencheremo di seguito non sono state sfruttate appieno da un avversario francamente non trascendentale e, mannaggia, del tutto battibile. Esattamente come due anni fa, sempre a Roma, solo che allora manco ci provammo; mentre negli anni dispari a Twickenham, gli inglesi si sfogano e ce le fan pagare tutte.

Un aspetto problematico Azzurro che gli inglesi non sono stati capaci di sfruttare appieno, è la qualità del gioco tattico. Se la copertura al gioco tattico avversario risulta impeccabile, imperniata su un attentissimo McLean e Masi affidabile anche se monotono, in fase propositiva Burton e Gori han pregi e difetti opposti: se il primo è bravo a identificare lo spot di campo e il momento giusto ma a volte esegue male (due i calci di punizione diretti in rimessa laterale intercettati dagli inglesi, un calcio di spostamento uscito dal fondo), il mediano invece ha il tempismo e la misura di una moglie incavolata.
Stavolta i loro rimpiazzi sono stati ancora più deludenti, in generale non tanto nel gioco tattico: in specie Semenzato, partecipe di uno scadimento della qualità del possesso, mentre Botes ha cannato malamente i due calci di punizione a disposizione, sei punti non impossibili e potenzialmente decisivi. Il quarto d'ora a freddo e storto càpita a tutti.

Nelle fasi statiche, luci ed ombre: molto buona la rimessa laterale, così efficace e "di reparto" da essere indifferente all'assenza del comandante Van Zyl, sostituito in modo efficace dall'antico Bortolami, ben coadiuvato da Geldenhuys e Parisse. Complimenti, per tutta la gestione Mallett avevano traballato non poco nel fondamentale.
E' crisi invece in mischia ordinata: per usare una parafrasi motoristica, non si riesce a scaricare a terra tutta la potenza di cui disponiamo. E' un problema innanzitutto disciplinare e di "credibilità": nonostante l'esperienza, non abbiamo ancora imparato a gestire gli arbitri. Essendo la seconda partita in fila in cui capita e anche di più se ricordiamo i Mondiali, urge riflessione al proposito. Riflessione che s'impone ancor di più per la perdita definitiva (per il Sei Nazioni) di Castrogiovanni, toccato duro al costato. Cittadini peraltro offre molte garanzie - a destra; forse dal male nasce il bene, vedremo finalmente Rizzo convocato.

Molto buono il miglioramento nei movimenti collettivi in fase dinamica, sia di non possesso (difesa) che di possesso palla (attacco) e anche nella conquista del possesso (ribaltamento di fronte). Il sostegno che i nostri attuano al portatore di palla o al placcatore è pressocchè perfetto, regge il confronto con la terza linea gallese, così come in fase di percussione poco abbiamo da invidiare a quella irlandese. La nostra terza linea Barbieri-Zanni-Parisse si conferma di livello mondiale.  Tra gli altri non ancora menzionati, merita Ghiraldini, una terza linea aggiunta in fase dinamica: Molto sagace la partita come detto impeccabile di Luke McLean, uno che da come gioca pare abbia 30 anni e non 24, ci fa piacere che sia stato lodato da Brunel nelle dichiarazioni finali. Chi manca? Masi ha la partita bruciata da quell'infortunio, Canale s'è visto poco, LoCicero meglio in fase dinamica che statica (notevole un suo crollo da fatica in una mischia finale), Venditti cresce;dei sostituti, d'Apice è affidabile, s.v. Bergamauro, Pavanello e Morisi.

E' bello vedere il problema  risultato letale la settimana prima (errori difensivi) del tutto risolto, è bello sentir Brunel dire sicuro prima della partita "Stavolta non vedrete errori di placcaggio" e verificare che è andata così (dal 14% di placcaggi sbalgiati di una settimana fa, siamo scesi al 4%). Purtroppo è rimasto insoluto il grave problema della endurance alla distanza, soprattutto quella mentale a fronte delle inevitabili riprese e accelerazioni dell'avversario. E le conseguenti mancanze di lucidità: far calciare Botes a cinque minuti dalla fine, per arrivare a meno uno? Perché non cercare nuovamente la rimessa laterale? La conseguenza è l'esser tornati ai tempi cupi della imprecisione dalla piazzola (2 su 5 più un drop fallito, contro 5 su 5 di Farrell). Rispetto a Parigi il problema non è stato mitigato dai cambi (mi riferisco alla mediana).
Il cantiere prosegue, durerà a lungo e noi non spegniamo il segnale  "mantenere le cinture allacciate".

8 commenti:

reda ha detto...

più che fisico il problema è mentale. come con l'australia i mondiali siamo crollati al primo errore.

ale ha detto...

anche secondo me il motivo del crollo nn è dal punto di vista atletico (in termini di fiato,) la Benetton (sugli aironi nn mi pronuncio perchè li ho visti poco)le partite le tiene molto bene dal punto di vista atletico, anzi diciamo che è uno dei suoi punti di forza.

Abr ha detto...

sono d'accordo reda e ale: ho appena rivisto la partita per la terza volta, ho lievemente corretto il punto.
Senza esagerare: affermare che teniamo atleticamente oltre al 70', si forse, ma a scapito della lucidità,
Comunque il punto da migliorare, concordo, è prima di tutto mentale: non si può smettere di giocare per lunghi minuti perchè si prende una meta mentre si sta giocando bene. L'Inghilterra ha subito due rovesci non uno, nel giro di due minuti ma non sè scomposta. La differenza è questa. E poi la lucidità nel finale.

Abr ha detto...

'Sto punto tutto mentale non va banalizzato o trascurato. E' caratteristica costante, quasi nazionale. E' una variante delle "distrazioni" difensive con la Francia, due facce della stessa medaglia: la incapacità quasi cronica di rimaner con la testa "sul pezzo" per ottanta minuti. Non riguarda solo gli Azzurri. E il rugby è uno sport dannato per mettere in evidenza up and downs fisici e mentali.

Una bella sfida per Brunel. Che è un latino, sa che la cosa si può gestire nel tempo, con le "buone", i giovani e la motivazione. Vedi Venditti, non certo perfetto ma molto più sicuro di se e tranquillo alla seconda apparizione.

Anonimo ha detto...

Il punto mentale non solo non va banalizzato ma secondo me è l'unico problema. Cosa te ne fai di tanta esperienza e di una nazionale con tanti cap se alla prima volta che hai davanti una situazione da gestire di sciogli come un ghiacciolo al sole. A guardarli in faccia gli azzurri erano già sconfitti a 20 minuti dalla fine con due punto di vantaggio. Il regalo ce lo avevano fatto loro,due mete regalate, noi gli abbiamo restituito il regalo senza neanche aprirlo.....:)

elpigna ha detto...

Abr, l'Inghilterra ha subito due rovesci non uno, vero, ma giusto prima dell'intervallo. Han potuto respirare negli spogliatoi... A volte anche il timing degli errori fa la differenza, e su questi dettagli si possono giocare delle partite quando sono cosi' tight. Ma nulla da eccepire sulla tua analisi.
Inoltre sulla TV francese or ora parlano della fragilita' mentale scozzese paragonandola giustamente a quella italiana... Ma dopo questi primi 30 minuti di WAL-SCO, mica sicuro che la giochiamo con loro, la loro aggressivita' toglie l'ossigeno al cervello solo a vederli

Abr ha detto...

Quello mentale certamente il problema certamente più grosso, anonimo: produce una differenza sottile, quasi impalpabile ma è la differenza tra vincere ugly e perdere "onorevolmente".
Non è "squagliarsi come neve al sole", non esageriamo, gli Azzurri non sono psicolabili; certo è che sbandano a fronte di rovesci invece di far "regroup" come riesce ad altri.
Che poi, c'è cap e cap a mio avviso: quelli inglesi, il capitano ne ha pochissimi ma gioca da sempre in campionati di livello, mentre i nostri più cpas hanno, peggio son messi dal punto di vista della accettazione inconscia della superiorità avversaria.

Non trovo sia nemmeno questione di errori-regali: trovo assurdo, tipicamente da giornalaio italico chiedere che non ne facciano! Quando gli ingleis ne fan due in fila!!! Gli errori (che poi diventano "regali" per le mentalità nostrane) li devi SEMPRE mettere in conto, non capitano per caso ma per pressione.
Il punto è quello che accennavi all'inizio e su cui siam tutti d'accordo, quello mentale: DEVI rimanere freddo, riprendere da dove eri stato interrotto.

Gli americani che se ne intendono, dicono che la differenza tra vincente e perdente non sta nel numero di errori o rovesci subiti (la "sfortuna", altro topos latino) ma nella capacità di lasciarseli alle spalle.

Abr ha detto...

Si elpigna, il timing è sempre importante, spesso decisivo negli sport. Chiaro se segnavamo due mete nel finale, anche partendo da 3-19, arrivando al 15-19 il momentum era tutto nostro e i piedi diventavano ali.
Ciò detto, credo che anche quello sia importante ... solo per chi non ha la mentalità giusta.

Guarda proprio gli scozzesi: prendono schiaffoni terrificanti ma non smettono mai. Loro esagerano sull'altro fronte, hanno FEDE e basta, suoni la piva e loro partono alla carica anche uno contro dieci, come ai tempi dell'Impero.

I loro problemi son altri, sempre di mentalità: a mio avviso non riescono a modulare il piede sull'acceleratore, si sfiancano e logorano mantenendo ritmi a loro inadatti.
Basterebbe sapessero gestirsi (oltre a trovare qualche giocatore d'impatto), ne parleremo nella analisi della partita odierna.

Chiaro che gli italiani se non sistemano la mentalità, troveranno lunghissimo contro il loro approccio indefesso e everlasting.
Come si fa? Beh, a mio avviso il modo più semplice è cambiar generazione di giocatori. Potendo farlo.

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