Il prezzo del successo
Il Galles che vince fa i conti con i postumi della sbronza. Perché se dopo tutto un Warren Gatland alla guida dei British & Irish Lions era fatto scontato da tempo - in particolare da quando Martin Johnson è saltato assieme all'Inghilterra manca soltanto l'ufficialità che pare vagare nell'aria -, bussano alla porta anche gli acquirenti: quelli con più soldi, i club francesi.
Visto il migrare di giocatori gallesi dall'altra parte della Manica, non stupisce nemmeno: avevano cominciato Lee Byrne, James Hook e Mike Phillips, hanno proseguito Gethin Jenkins, Luke Charteris, Aled Brew e Huw Bennet che hanno già preso accordi con società francesi. Alla lista dei nomi ambiti si sono aggiunti quelli di Dan Lydiate e Alex Cuthbert, la terza linea e la giovane ala che le voci di corridoio danno in contatto anche con i Northampton Saints per 140.000 sterline l'anno. Sta assumendo le dimensioni dello smottamento la crisi finanziaria che attanaglia il rugby gallese: c'è in sospeso pure Jamie Roberts, che aveva già respinte le avance per poter terminare gli studi in medicina a Cardiff, mentre il Racing Metro avrebbe nell'obiettivo Dan Biggar, altro pezzo degli Ospreys pur fuori dal giro nazionale (il che per un club lo rende ancor più attraente), spinti dalle necessità economiche e quindi come tutto il movimento gallese in corso di ristrutturazione, così come i Cardiff Blues.
C'è febbre gallese, in giro: il successo è una arma a doppio taglio, ai giocatori di livello i mezzi club mezze franchigie gallesi non sono più in grado di proporre contratti adeguati, giocoforza i campionati "ricchi" si gettino su campioni a prezzo di saldo. Son finiti i tempi gloriosi e non lontani in cui il Galles del rugby era terra di immigrazione, e migliori Kiwis non della riserva All Blacks - come Tito o Xavier Rush - atteravano a Cardiff.
L'attrattiva si applica anche all'allenatore. E' ufficile che i Chiefs del Waikato avessero cercato Gatland prima dei mondiali; dopodiché la nazionale ha vinto due 6 Nations Grand Slam in cinque anni di gestione del neozelandese, arrivando anche al miglior risultato in 24 anni di partecipazione alla Rugby World Cup, il quarto posto nella scorsa edizione. Il guaio è che se Gatland alla fine venisse davvero scelto come head coach della selezione che l'anno prossimo volerà in Australia, da settembre si troverebbe a svolgere un altro lavoro che non equivale a quello di manager del Galles. E in autunno al Millennium Stadium attendono i Wallabies e - soprattutto - gli All Blacks.
Roger Lewis, il chief executive della Welsh Rugby Union, ha dichiarato - e diversamente non poteva dire - di voler Gatland al proprio posto per i Test Match di novembre. D'altra parte, la stessa federazione sa quale futuro attende Gatland al quale è stato concesso un via libera di sei mesi per il 2013, quando l'operazione Lions entrerà definitivamente nel vivo e sarà l'assistan coach Rob Howley a prendere il posto del neozelandese al prossimo 6N.
E' il prezzo del successo e in Galles sono al lavoro per non ritrovarsi impreparati.
Visto il migrare di giocatori gallesi dall'altra parte della Manica, non stupisce nemmeno: avevano cominciato Lee Byrne, James Hook e Mike Phillips, hanno proseguito Gethin Jenkins, Luke Charteris, Aled Brew e Huw Bennet che hanno già preso accordi con società francesi. Alla lista dei nomi ambiti si sono aggiunti quelli di Dan Lydiate e Alex Cuthbert, la terza linea e la giovane ala che le voci di corridoio danno in contatto anche con i Northampton Saints per 140.000 sterline l'anno. Sta assumendo le dimensioni dello smottamento la crisi finanziaria che attanaglia il rugby gallese: c'è in sospeso pure Jamie Roberts, che aveva già respinte le avance per poter terminare gli studi in medicina a Cardiff, mentre il Racing Metro avrebbe nell'obiettivo Dan Biggar, altro pezzo degli Ospreys pur fuori dal giro nazionale (il che per un club lo rende ancor più attraente), spinti dalle necessità economiche e quindi come tutto il movimento gallese in corso di ristrutturazione, così come i Cardiff Blues.
C'è febbre gallese, in giro: il successo è una arma a doppio taglio, ai giocatori di livello i mezzi club mezze franchigie gallesi non sono più in grado di proporre contratti adeguati, giocoforza i campionati "ricchi" si gettino su campioni a prezzo di saldo. Son finiti i tempi gloriosi e non lontani in cui il Galles del rugby era terra di immigrazione, e migliori Kiwis non della riserva All Blacks - come Tito o Xavier Rush - atteravano a Cardiff.
L'attrattiva si applica anche all'allenatore. E' ufficile che i Chiefs del Waikato avessero cercato Gatland prima dei mondiali; dopodiché la nazionale ha vinto due 6 Nations Grand Slam in cinque anni di gestione del neozelandese, arrivando anche al miglior risultato in 24 anni di partecipazione alla Rugby World Cup, il quarto posto nella scorsa edizione. Il guaio è che se Gatland alla fine venisse davvero scelto come head coach della selezione che l'anno prossimo volerà in Australia, da settembre si troverebbe a svolgere un altro lavoro che non equivale a quello di manager del Galles. E in autunno al Millennium Stadium attendono i Wallabies e - soprattutto - gli All Blacks.
Roger Lewis, il chief executive della Welsh Rugby Union, ha dichiarato - e diversamente non poteva dire - di voler Gatland al proprio posto per i Test Match di novembre. D'altra parte, la stessa federazione sa quale futuro attende Gatland al quale è stato concesso un via libera di sei mesi per il 2013, quando l'operazione Lions entrerà definitivamente nel vivo e sarà l'assistan coach Rob Howley a prendere il posto del neozelandese al prossimo 6N.
E' il prezzo del successo e in Galles sono al lavoro per non ritrovarsi impreparati.








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