mercoledì 13 giugno 2012

Il mio Canada che va a scuola di rugby

Ospitiamo il contributo di elpigna, fedele lettore di RR che vive in Canada e che sarà allo stadio a vedere gli Azzurri 
impegnati nella loro seconda partita del tour americano. Una testimonianza diretta, dal campo, sul rugby in quella parte di mondo. Buona lettura.

Quando si parla di sport in Canada, di solito è l’hockey a farla da padrone. Anche se oramai la Stanley Cup non la alza una squadra Canucks dal ‘93 (ed a dire il vero la alzarono i Canadiens di Montreal, che si definiscono prima Quebecois e poi, forse, canadesi. Prima dei Canadiens ci furono gli Oilers di Edmonton 3 anni prima). Ma qui non si prescinde dall’esperienza sugli ice rinks, ce ne sono svariati pubblici, praticamente in ogni parco e son sempre pieni d’inverno: di mattina le scuole, di pomeriggio i bambini, di sera i grandi, maschi e femmine, tutti sanno tenere la mazza in mano e colpire il disco. Poi, in primavera, specie se si è come me a Toronto, gli interessi si spostano sul baseball ed anche qui, diamanti ovunque e tutti, ma proprio tutti, infilano il guantone. Baseball o softball, a scuola si impara e ci si gioca. 
In questi giorni, c’è molto interesse per l’europeo “baeonaro”, ma perché risveglia l’identità nazionale delle migliaia (svariate migliaia, non so esattamente quanti) di immigrati europei o sudamericani che nascono con un pallone da calcio in mano.

Sembrerebbe che ci sia poco spazio per la palla ovale. A parte il Superbowl non è che si parli più di tanto della NFL, a volte a Toronto salgono i Bills di Buffalo (giusto al di là del confine e delle cascate del Niagara) che spostano una delle partite in casa per il guadagnare pubblico in Canada, ma faticano sempre di più a vendere biglietti per la partita/evento (quando invece i Torontonians invadono Buffalo per andare a vedere i campionati mondiali di hockey Under 20, per dire). Del rugby poche tracce. Eppur si muove. 
In Canada ci si sta attrezzando per portare una squadra competitiva ai giochi olimpici di Rio 2016 con il Sevens. E la federazione ha deciso di muoversi per tempo, tanto che da 4 anni ha lanciato il rugby nelle scuole. Già da prima, almeno una ventina di anni fa, il rugby era praticato nelle high school, ma da quello che ho capito, questo era lasciato piuttosto all’iniziativa personale dei prof di educazione fisica. Ora invece i prof già in carica sono caldamente invitati a fare corsi di rugby, una specie di aggiornamento, mentre il rugby diventa un asset (a volte pure un must) per gli aspiranti professori. E quando le scuole non assumono a tempo pieno prof capaci di rugby, offrono posti part-time a giocatori, magari giovani studenti unemployed che così si fanno quattro soldi per mantenersi durante gli studi e vanno direttamente a prenderseli nelle squadre ufficiali. Poi, siccome chi dice rugby in Canada dice immigrants e birra (ce n’e di buone pure quassù, forse pure al livello delle Tennents di cui parlavate qualche post fa), capita spesso che nelle scuola ad insegnare ci vada uno che di palle ovali ne ha masticate fin da bambino, in Inghilterra o, come accade sempre più spesso recentemente, in Irlanda

Da qualche anno a questa parte gli irlandesi hanno invaso il Canada a causa della loro crisi economica in cerca di lavoro. E la sera li trovi su un campo di una scuola a rimpolpare le fila delle squadre della zona. L’anno scorso per la partita warm up pre-Mondiale Canada-USA (svoltasi al BMO Field di Toronto, lo stesso che ospiterà gli Azzurri venerdì sera, preso a prestito alla squadra di calcio peggiore della lega MLS, il Toronto FC), le tribune erano piene di magliette verdi Irish, rosse Munster, Blue Leinster. Gli immigrati europei, specie British and Irish, sono quelli che hanno portato in queste lande la palla ovale nelle loro valigie, son loro che hanno fondato i club di rugby più antichi, rinomati e vittoriosi. Ed ancor oggi fanno la parte del padrone. 
Domenica pomeriggio ad esempio la prima squadra del mio team, i Toronto Nomads, schierava 6/15 irlandesi, più due sudafricani, tre francesi, due inglesi (di cui uno ex pilone delle giovanili di Bristol, mica cotiche). Allenatori un inglese ed un australiano Solo tre canadesi nel XV titolare. Un giovanotto di 18 anni di Toronto e due di Vancouver, dove il rugby è più popolare che qui in Ontario, e non a caso, dato che si trova nella provincia denominata British Columbia. Il giovanotto poi, classico esempio di quello che si dice su questo blog da un bel po’ - che anche solo ad allenarsi con chi ne sa, si assorbono per osmosi le skills, i game plans e facendosi il mazzo agli allenamenti il posto poi ce lo si conquista. 
Il tizio in questione ora fa anche parte della selezione provinciale degli Ontario Blues, che lo ha portato un mese fa con la squadra Under 18 in tournèe in Sudamerica a farsi le ossa giocando contro le Under 20 di Argentina, Cile ed Uruguay. L’Under16 invece è andata in Inghilterra due settimane a fare allenamenti congiunti l’Under 18 della Rosa. 

Ora io ho scoperto il rugby giocato solo poco tempo fa e conosco solo (e poco) la realtà veneta in Italia (origini padovane le mie), ma mi sembra quasi scontato che i progressi si vedranno nel tempo, già in realtà si vedono nel Sevens dove il Canada è sempre presente nelle HSBC Series. Ecco, non mi sembrerebbe strano se a fronte di così tanta energia e programmazione il Canada superasse nel ranking l’Italia, mi dispiacerebbe un sacco chiaramente, ma chi è causa del suo mal pianga se stesso.


@elpigna

5 commenti:

Gigi ha detto...

Articolo molto interessante

Abr ha detto...

Già, parte tutto dalle scuole, bottom up mica dalla nazionale top down. E stendiamo un velo pietoso sullo stato del Sevens in Italia. La pianificazione non ci s'addice, a livello nazionale.
Chi si ferma o cammina all'indietro, non se la può prendere con chi prende la rincorsa da lontano. Vedarem.

ivanot ha detto...

le scuole sono le fondamenta per costruire una casa solida, i bambini, gli adolescenti, i ragazzi hanno il fuoco vivo dentro e se si appassionano a questo grande sport sono il più grande veicolo promozionale, loro giocano per divertirsi, il Topolino ne è la dimostrazione pratica.......ah dimenticavo....non è pubblico ma privato.

Abr ha detto...

Già, 100% reso possibile da un singolo mecenate.

Le scuole come le fondamenta: ma se non c'è, come in Italia (un Paese di analfabeti non solo sportivi e civili, per come sono ridotte le scuole).
Dopotutto Venexia non ha fondamenta: è costruita sui pali ... Fossi la Fir, incentiverei tanti bei "pali" privati da piantare in giro per l'Italia, investendo sulle piccole società con vivai, spendendo soldi a formare formatori e arbitri.

Non franchigie federali che perdono pezzi prima di partire: la diaspora (verso il ProD2 et similia) è maggiore di quella post mondiale 2007 (che almeno era verso il top14): complimenti vivissimi.

ivanot ha detto...

Concordo totalmente

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