mercoledì 17 luglio 2013

Gatland ha pescato il jolly, Deans perde tutto

La polvere sollevata dall'evento del lustro, la "bella" della Serie Lions in Australia, conclusasi a Sydney sabato 6 luglio davanti a 84.000 spettatori (più quanti davanti alle tv?) con un netto 16-41, s'è alfine posata.
La vittoria dei Boreali  - o il cedimento dei Wallabies, secondo il lato cui lo si guardi - rivela quel che il Tour è sempre stato: una prova in cui la selezione delle Isole Britanniche ci mette "colonialmente" (nel senso glorioso del termine) il meglio e il massimo, pur nel peggior momento stagionale per gli atleti Boreali, lontano da "casa" - ma le maglie rosse dei supporters non mancano mai negli stadi dell'ex Impero; al contrario per il Paese Ospitante, è una prova di resistenza stile assedio del castello, se passa senza danni pfiuu tutto bene gran pacche sulle spalle, ma quando le mura cedessero allora eventuali eroismi, sfortune o l'esserci andato vicino non contano più nulla, come nel Medioevo resta solo la devastazione e il saccheggio. Giusto per definire i profili psicologici asimmetrici della sfida suprema nel rugby Mondiale.
La storia riporta un record totale negativo dei B&I Lions nei tour che iniziano in forma privata nel 1888, poi supportati dalle federazioni dal 1910 ma pienamente "istituzionalizzati" solo dal 1950 (in precedenza e fino al '36 inclusivi anche dell'Argentina - tre tour tutti vinti). Record perdente nel totale (15 vinti, 20 persi, 1 pari) e in particolare nei confronti del Sudafrica - 4 tour vinti, 1 pari e 8 persi - e con la Nuova Zelanda - dieci tour persi contro uno solo vinto, nel 1971  (anche allora Lions a trazione gallese, con Carwyn James head coach, John Daves capitano e Barry John miglior realizzatore). I motivi psicologici sopra delineati fan si che il record negativo "alla Azzurri" non renda certo i Lions dei perdenti, né porta certo le avversarie ad affrontarli sottogamba.

L'Australia non è mai stata "fortezza" anti Lions per un sacco di motivi, ma proprio i nove Tour a partire dal 1899 han probabilmente dato un contributo fondamentale a mantenere il codice vivo in un Continente in cui è sotto assedio della popolarità del League e Ozzy Rule. Sette sono i tour vinti dai Lions contro 2 soli persi in Australia: nel 1930 su partita secca appendice del tour in Nuova Zelanda e il famoso penultimo tour nel 2001, quando il coach Lions era Graham Henry, c'era Jonny Wilkinson vs. Matt Burke, Martin Johnson capitano ma George Smith MVP nella tesa partita decisiva. Una vittoria così esaltante ed appagante quella Aussie ... da provocare secondo molti la sconfitta nel successivo mondiale casalingo, in finale contro il famoso drop di Wilko, uno dei gesti individuali più noti della intera storia dello sport.

Il coach Lions Warren Gatland è capitato quindi nell'anno giusto sul ciclo dei dodici e come vedremo, non è l'unico jolly che abbia pescato. In più non rischiava granché anche in caso di sconfitta, se non qualche flame polemico nei giornali inglesi: è difatti ben saldo in sella al Galles del back-to-back al Sei Nazioni e difatti si è potuto permettere scelte impopolari, come l'affidarsi totalmente al "blocco" dei suoi uomini di fiducia nel momento decisivo, umiliando gli inglesi a coprire pochi ruoli apparentemente marginali, relegando gli scozzesi nelle partite infrasettimanali e svillaneggiando irlandesi e non con l'esclusione dal deciding game di Brian O'Driscoll.
Il bello è, a proposito di jolly pescati da Gatland, che il risultato di queste scelte è stato decisamente poco influente: la partita decisiva è stata vinta quasi senza volerlo su ben altri fronti, grazie all'apporto decisivo dei pochi non gallesi come Corbisiero, Parling e Sexton. Di più ancora, dopo i Mondiali 2015 in cui i Dragoni a questo punto si presentano come una delle grandi favorite, il Kiwi Gatland in ascesa pazzesca tra le panchine mondiali, potrebbe legittimamente aspirare al top del top, quella All Blacks.

Guai ai vinti invece per coach Robbie Deans: il poco sopportato neozelandese nella terra dei Canguri s'è dimesso e/o è stato rimosso a stretto giro di posta dopo la sconfitta di Sydney. Fa da ovvio capro espiatorio, nonostante sia andato vicinissimo a vincere Gara Uno (due errori al piede finali di Beale), quindi la serie e abbia saputo superare i Boreali sul loro terreno, davanti, in due gare su tre. Ha saputo mantenere i Wallabies ad alti livelli ma pur senza mai riuscire a "stabilizzarli" in un ciclo vincente - vedi jo jo nei Test Match e la vittoria nell'ultima edizione del Tri-Nations 2011, seguita dalla sconfitta in semifinale mondiale. Tante vittorie sofferte, poche sconfitte ma sanguinose, pesanti: l'epilogo ben rappresenta l'avventura del guru dell'Università del Rugby di Christchurch di là del Mar di Tasman.
Al suo posto arriva il "prenotato" ex coach dei Queensland Reds Ewen McKenzie, un Aussie 100%  - poco credibile si affidassero a un altro straniero come il sudafricano Jake White, che pure sta facendo benissimo coi Brumbies. McKenzie aveva fatto la sua scommessa dimettendosi a sorpresa dalla panchina della franchigia qualche mese fa; ora già lancia la nuova mission dei suoi Wallabies, nei quali l'(auto-) escluso Quade Cooper coprirà sicuramente un ruolo importante: è significativamente tutta rivolta ai vicini All Blacks da scalzare, prima la Bledisloe Cup che i prossimi Mondiali.

Storia, vincitori, vittime: tutto deciso dalla "bella" della Serie in un colpo solo. Il punteggio è impietoso: 25 punti di scarto, quattro mete a una. Eppure la partita è stata decisamente in bilico per un intero quarto abbondante e se fosse passata l'Australia col medesimo scarto, non avrebbe rubato nulla.
I giornali australiani si dilungano sull'erroraccio di Will Genia sulla prima palla della partita, causato da malinteso con Kane Douglas sul calcio di inizio - la tensione fa brutti scherzi anche ai grandi campioni, anche se la responsabilità è più del lock che si muove poi si ferma. Nella realtà la chiave che apre la porta alla prima meta è la conseguente mischia ordinata: l'arbitro Poite giudica "falloso veniale" l'ingresso di Ben Alexander, Phillips parte veloce sul lato chiuso (pressoché l'unica sua azione importante) e lancia l'ala destra Bowe; sugli sviluppi della ruck che ne consegue, prima capitan Alun-Wyn Jones sfiora la meta sulla base del palo, poi ci pensa Alex Corbisiero a carpiarsi come un pesce fuor d'acqua e toccare in meta. Partire 7-0 al secondo minuto della partita del lustro su errore marchiano, è un bel baco nella testa dei defender e un ottimo viatico per le Giacche Rosse, entrate in campo determinate come sempre ma forse con qualche dubbio da leadership.

Successivamente i Lions fermano i veementi tentativi di reazione Aussie , viziati anche da spreco di occasioni da piazzare per cercare già la rimessa laterale ravvicinata. I Lions dominano la scena, ma non mediante le armi tattiche predisposte da Gatland. La scelta del coach era di fatto un "all in": due massicci blindside in posizione flanker (Sean O'Brien, Daniel Lydiate), più Faletau altro ball carrier e Jamie Roberts sfondatore in mezzo. I quali si schiantano tutti regolarmente sulla attenta difesa australe, che si permette pure il lusso di "distaccare" il suo blindside Ben Mowen (nella realtà un terza centro) alla marcatura a uomo del mediano, con l'effetto di rallentare tutto il tecnasma messo in piedi per concentrare la difesa australe e poi allargare il gioco. Al contrario, gli attacchi Lions ristagnavano vicino al portatore di palla per tenere due uomini a protezione.

E allora come arrivano le marcature su punizione al 7', 12', 15' e 25' di Leigh Halfpenny, il Man of the Match meritato per la bravura nel posizionamento difensivo profondo, non solo per la precisione nei piazzati? Beh a parte la prima, un calcio da metà campo, sono nove punti prodotti dalla mischia ordinata, vera arma letale di una partita decisa alla "moda Boreale". Mentre Adam Jones fa il suo superbo lavoro a tenere Benn Robinson, sull'altro lato il menzionato Alexander a Corbisiero non lo regge sul piano dei trick più che della forza e l'arbitro lo prende di mira: il cartellino giallo arriva come il destino al 24'. E' bastato il rientro di Corbisiero, autentico unsung hero (inglese non gallese) della partita con tanto di meta, a cambiare il verso della mischia ordinata nella Serie e con esso quello della partita decisiva. A proposito di jolly pescati, l'edge del primo tempo e quindi della partita, non arriva per i Lions dall'inserimento di Roberts. Il pilone sinistro ex Irish ora Saints vince il confronto per l'esperienza: contrariamente ai Vunipola vari, sa mettere in pratica le istruzioni dello staff, come testimonia gli sguardi d'intesa nel booth Lions dopo il fallo che costa la panca puniti al numero tre contrapposto.
L'arbitraggio di Poite ha influito? Certamente si, in modo palese, con buona pace di chi s'era lagnato negli altri due test, quando a soffrire era la prima linea Lions. Solo, a questi livelli - e con questo tipo di regolamento (speriamo tanto nei prossimi cambiamenti), bisogna sapersi adattare.
L'arbitraggio ha influito notevolmente nel primo tempo anche nell'area cruciale del breakdown. Qui Poite s'è reso conto solo sporadicamente (un piazzato all'8', altre tre punizioni troppo frettolosamente calciate in rimessa) di quante ne facessero i Rossi privi di fetcher: tutti a buttarsi sopra e a giocar regolarmente da terra o con le ginocchia appoggiate sull'attaccante.

Il vento cambia attorno alla mezz'ora: la superiorità numerica porta i Lions in vantaggio 19-3 a tentare di ammazzare la partita, ma qui si rivela la fallacia della tattica tutta ball carrier allestita da Gatland; consistente, ma facile da controbattere per la sua prevedibilità. I Lions inanellano allora ben 29 fasi sequenziali senza mai diventare pericolosi, alla fine il tentativo fallito di drop di Sexton è per fine benzina e alternative. Da quel momento il campo è dei Wallabies, pur ancora in inferiorità e pure colpiti dalla sfortuna (uscita di Folau, ingresso dell'esordiente Mogg). La pressione viene concretizzata al 40' da un guizzo personale di James O'Connor, che cala in meta dopo aver piantato sul posto Sexton e rotto il placcaggio di Phillips. Si va alla pausa sul 10-19, partita riaperta (e se avessero piazzato tutte le occasioni, con la precisione di Leali'ifano, chissà come poteva essere ).

Alla ripresa Poite torna in campo evidentemente "istruito" dai collaboratori a prestare maggior attenzione al breakdown. La cosa penalizza i Lions che vacillano in difesa, anche per la carenza di leadership in campo. I Wallabies paiono poter dilagare: nel giro di 5 minuti Leali'ifano può piazzare i due calci che portano il punteggio sul 16-19 (anche i Wallabies sono stati evidentemente "istruiti" all'intervallo a non sprecar occasioni da punto). Le squadre separate da tre punti, rieccoci quindi alla Serie Lions 2013 come l'avevamo conosciuta!
A un passo dal paradiso, i Wallabies vengono ricacciati indietro: prima i Lions si portano avanti nel modo solito, percussioni ravvicinate che graffiano poco, poi al 51' è ancora l'arma letale della mischia ordinata: stavolta cede Robinson messo nel mirino da Jones supportato da Tom Youngs che rimpiazza Hibbard. Halfpenny piazza il 16-22.
Ci riprovano imperterriti gli australi che giocano percussioni più variate e ariose e riescono regolarmente a guadagnare il vantaggio sulla linea difensiva, ma la serie di fasi viene interrotta al 55' da un crescendo di interventi dei Lions nei breakdown, da loro interpretati, in assenza di grillotalpa veri, in modo tutto fisico e come di diceva in paese, alla cressi mucio (trad.: buttati nel mucchio che mi butto anch'io), con Poite tornato tollerante come nel primo tempo.
La palla emerge lato Rosso in qualche modo, Conor Murray che ha rilevato il poco positivo Phillips lancia un contrattacco sul lato sinistro che per poco non sfonda con Jonathan Davies. Ma il gioco è tornato nei 22 metri australiani, e il patatrac arriva al 57': i Lions con Murray riescono finalmente ad allargare il gioco in modo consistente, Halfpenny fa il break decisivo e apre (in avanti?) a Sexton in supporto ravvicinato. E' la meta decisiva, 16-29 il punteggio; le altre due mete arrivano nel tempo della disperazione Aussie, quando le mura han ceduto e resta poco da fare: di North al 65' e l'ultima al 70' di Roberts, utile a Gatland per poter sostenere che l'inserimento di questi al posto di BOD è stato corretto.

Sta di fatto che i Lions rivincono una Serie dopo 16 anni (1997, 2-1 in Sudafrica, guidati da Sir Ian McGeechan e Jim Telfer, con Martin Johnson capitano e Neil Jenkins miglior marcatore) e questo sarà quel che resta. Valore, sfortuna, episodi, jolly pescati dal mazzo: tutto come lacrime nella pioggia, the Winner takes it all, scordando quanto sia stato vicino alla sconfitta nelle prime due gare, sorpreso nel proprio punto di forza davanti e quanto inefficace sia stata la strategia "tutti ball carrier" di Gatland.
Giusto così? Mah, in ogni caso è tutto molto anglosassone, gli australiani ci stanno dentro. E la scelta - molto prevedibile - di Deans a capro espiatorio, rende tutto molto scialla. E ora tutti posson tranquillamente dirigere l'attenzione sul reclutamento della star del League Benji Marshall, il cui agente sta forse sta solo giocando al rilancio del contratto in scadenza (in NRL so' come i calciatori). 

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