sabato 20 ottobre 2007

Boks on the top!


England-South Afrika 6-15
Dal nostro inviato Brett
Hanno vinto i più forti. Hanno vinto i giganti venuti dagli altipiani. Hanno strappato la Web Ellis Cup ai detentori inglesi, arcigni come sempre o quasi. Non ha sfrecciato Habana per tutto il campo, ci hanno pensato i piedi di Montgomery e di Steyn. Rassegniamoci, il rugby è giunto a livelli di pretattica e di preparazione tali per cui le finali si disputano sul filo di lana e sulla ricerca del fallo per aprire le danze e segnare la distanza sugli avversari. Poi, a risultato acquisito, può starci l’attacco sbaraglino che fa felice fotografi e registi. Però finale migliore per questo Mondiale 2007 non si poteva sperare.
Springboks e inglesi. Due squadre così simili eppure così diverse. I primi ci sono giunti da favoriti, i secondi da campioni del mondo in carica e a sorpresa dopo aver battuto Australia e Francia, mica due capitate per caso nella fase finale. Forse avevano già dato tutto contro i galletti, mentre i sudafricani, che probabilmente si aspettavano di fronte gli All Blacks, hanno marciato dritti per il l’obiettivo della loro spedizione. Inciampando pericolosamente qualche volta, ma vincendo sempre.
La cronaca
Tutti i punti sono venuti da calci di punizione, dicevamo. Al 7’ del primo tempo il trequarti centro Tait scivola sulla pressione sudafricana nei propri 22, trattiene il pallone e l’arbitro irlandese Rolland fischia il primo calcio di punizione che ciuffo biondo Montgomery trasforma: 3-0. Quattro minuti dopo risponde Jonny Wilkinson, il giocatore che ha rialzato i suoi compagni dopo la batosta nella fase a pool contro gli odierni avversari. Finì 36-0, ora invece con un calcio di punizione da posizione angolatissima lungo la linea laterale sulla fascia destra pareggia i conti: 3-3. Altri quattro minuti: ostruzione su Bucth James, Monty dalla piazzola: 6-3. Wilkinson risponde con un drop che non arriva a destinazione, come volesse avvertire i sudafricani che sta prendendo le misure. Steyn non trova i pali da una punizione da metà campo, lui che di bombarde se ne intende.
Al 35’ ecco la prima vera azione offensiva alla mano da parte del Sud Africa: Steyn va oltre il placcaggio e si infila nell’area dei 22 inglesi con un grande scatto, viene travolto, l’azione continua e gli avanti sentono profumo di meta. Ma le ferrea linea difensiva impostata dagli avanti di Sua Maestà non cede nemmeno a mezzo metro, tiene lontane le teste di ponte dei Boks. Che però guadagnano almeno tre punti per un vantaggio non concretizzato grazie sempre al piede del loro estremo: 9-3. In un match di calci equivale ad un break.
La sensazione è che alla truppa di Jack Whit basti una meta davvero per chiudere i giochi. Però la meta non arriva ed è tutto di guadagnato per gli inglesi che, sornioni e conservatori, si adoperano in quello che gli riesce meglio: stare incollati, giocando chiusi e senza concedere spazi ai trequarti avversari. Tanto poi ci pensa Wilko, per quanto la pressione in ruck è talmente pesante che garantire un drop non è così scontato.
Si torna in campo. Passano due minuti: Tait, buona la sua prestazione, evita i placcaggi del bel addormentato Francois Steyn e dell’immobile Percy Montgomery, viene trascinato a terra ad un soffio dalla meta, la palla esce e giunge sul lato chiuso all’ala Mark Cueto. Che si lancia, allunga le braccia e all’altezza della bandierina e schiaccia l’ovale. Rolland ferma il gioco e chiede lumi al TMO. E’ meta? Oppure ha toccato con il piede la linea laterale? E’ thrilling al Saint Denis. Replay. Altro replay. L’ennesimo replay. No, niente meta, si torna indietro su un vantaggio a questo punto non concretizzato. Wilkinson trasforma, 9-6.
L’Inghilterra non è mica morta, ma perde il guerriero Jason Robinson, alla sua ultima partita. Esce per infortunio, così come era successo nella funesta serata del trentasei-a-zero.
Arrivano altri tre punti dal piede di Montgomery: 12-6. Ora gli uomini della rosa sono chiamati all’assalto finale per cambiare le sorti della finale. Ma non passano. Manovrano poco decisi, merito soprattutto della maglia difensiva degli Springboks. Habana non avrà ancora toccato un pallone, ma si sacrifica nei placcaggi. I minuti scorrono con gli inglesi che si ingegnano, ma non trovano un buco uno per poterla spuntare. Da una di queste lunghe e macchinose fasi offensive, arrivano altri tre punti per il Sud Africa per una ostruzione. Si calcia da oltre la metà campo, si presenta per la seconda volta Steyn. Sa di avere la forza ed il mirino tarato per quelle conclusioni. Non sbaglia, altro allungo: 15-6.
Le linea dei Boks è chiusa come la saracinesca di un negozio in un giorno di sciopero generale. Monty si fa trovare al posto giusto su tutti i calci in profondità di Catt, Tait e Wilko, chiaramente. Jon Smit guida i suoi da capitano in mischia, in rimessa, in ruck e nelle maul. La partita è messa al fresco. Non c’è più tempo, non basta nemmeno una meta ora. Quando mancano dieci minuti, quei nove punti valgono quanto un break incolmabile.
Considerazioni finali
Rolland fischia la fine. Ed esplode la festa dei mitici Springboks che si laureano per la seconda volta campioni del mondo. La prima volta fu nel 1995 e Os DuRandt c’era anche in quella occasione. La sua è una laurea honoris causa. Scendono in campo tutti, tra i coriandoli color oro e verde, da una parte i volti dispersi degli inglesi non più campioni, dall’altra il cerchio per la preghiera finale di ringraziamento a Dio. Roba da altri tempi, roba da gente che sa cosa vuol dire lottare per una cosa che gli appartiene. Ci sono volti che non rivedremo più tra i nuovi campioni del mondo. Si stringono forte fra di loro i protagonisti della cavalcata, in attesa che la politica moralmente corretta ci metta lo zampino e stravolga il merito della formazione di Jack White, che chiama il collega australiano Eddie Jones, nello staff sudafricano in questa occasione, ad alzare la coppa assieme. All’orizzonte ci sono le quote per i giocatori di colore da rispettare e la gazzella sulla maglietta che dovrà scomparire. Questi campioni dovranno pagare colpe che non sono loro.
Ma il rettangolo di gioco, ora, è lo scenario ideale per una festa. Sotto gli occhi di Sarkozy e di Brown, due che non se la passano bene, pure rugbisticamente parlando. C’è il giro d’onore per loro e ci sono comunque gli applausi per gli inglesi. Dati per spacciati, dispersi. E invece sempre lì a rosicchiare l’osso come veri bulldog.
Hanno vinto coloro che sono stati i più bravi a mettere in pratica alcuni principi abilmente azzeccati dal nostro Danny: orgoglio, amicizia fraterna, sofferenza, preghiera, violenza regolata, faccia a faccia, tanto rispetto. In uno sport di veri uomini, ha vinto chi meritava.

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