domenica 21 ottobre 2007

Boks on the top! - II

Dal nostro inviato Danny
La tensione si taglia col coltello in una Parigi ora decisamente da soprabito. Dalla tribuna stampa siamo alle prese con il più difficile dei commenti, quello incrinato dal sentimento, stasera è proprio difficile, i pensieri e le considerazioni s'intrecciano e ingroppano poco lucidamente.
Per rompere il ghiaccio partiamo dal "colore"; come insegna Brett i giocatori bisogna guardarli in faccia durante gli inni per capire come sta la loro motivazione: inglesi tosti e pimpanti, Springboks concentratissimi e determinati.
Dal pubblico s'alza subito "Swing Low Sweet Chariot" a far capire quale tifoseria predomini tra gli 80.450 spettatori sugli spalti - record assoluto per il rugby nell'emisfero boreale. Spicca un parterre de roi : in alto i due reali nipoti di Sua Maestà Britannica, nel palco d'onore il padrone di casa Sarkozy tra lo scozzese Gordon Brown a portar sfiga agli inglesi e Thabo Mbeki presidente della Repubblica Sudafricana, sufficientemente saggio da aver dato a Mr. Jake White carta bianca sulle quote razziali non senza qualche potente incavolatura, significata dal rifiuto di riceverlo prima del Mondiale; ma stasera c'è, col giaccone verde oro.

Un tentativo d'analisi a caldo
I primi due minuti sembrano chiarire tutti i quesiti: la prima rimessa laterale lanciata dagli inglesi viene rubata dai sudafricani, la mischia che ne nasce vede gli inglesi sradicare i Boks.
Tutto come previsto dalla critica? Purtroppo per i sedicenti esperti, a questi livelli la parola magica è "adattamento": gli inglesi rimettono più o meno a posto la rimessa, che ricrollerà in mani Boks solo nel finale; i sudafricani dal canto loro tengono botta in mischia, adottando un atteggiamento "alla figiana" con la terza centro Roussow, uno dei migliori stasera, a recuperare velocemente il tallonaggio.
Gli inglesi all'inizio giocano il loro "piano A": conquista territoriale con gli avanti per procacciare punizioni o drop per Wilkinson; ne prova uno al sedicesimo senza successo. I sudafricani rispondono facendo barriera davanti e attenzione dietro: sono sghisci, molto attenti in difesa e al gioco tattico, calciano ogni palla recuperata tanto poi c'è una rimessa laterale cioè troubles assicurati per gli inglesi; in più tutte le volte che arrivano nella metacampo inglese (un paio), si ripagano i costi di viaggio con un calcio tra i pali.
Si capisce presto che le difese saranno il punto cruciale della partita: impeccabile macchina spaccaossa quella sudafricana, alterna la famosa "rush defense" (montante) e quella rovesciata per pressare l'apertura al largo; competente e smaliziata quella inglese, protesa a "sporcare" ogni possesso avversario.
E' uno scontro stellare e super-fisico, da manuale del rugby; lasciate perdere gli ex-trequarti dal greve accento ispanico che fanno gli "esperti" e vi dicono che tutto ciò non sarebbe bello: questo è il rugby, bellezza.
Tutto inchiodato tra botte da orbi, prese al volo, calci e rimesse sino al 30', quando il piano sudafricano evidentemente prevede il cambio di marcia. Steyn parte dritto per dritto un paio di volte, la prima entra nei 22 metri, la seconda manda Os duRandt sino a un metro dalla meta sul lato destro e poi negli sviluppi DuPreez a mezzo metro dalla marcatura sul lato sinistro. La fine del primo tempo sul 9-3 per gli africani ferma l'offensiva. Punteggio basso, equilibrio totale, partita apertissima.

Al rientro in campo non c'è più capitan Vickery, brutto colpo al morale inglese; Os invece è ancora al suo posto, dodici anni dopo la finale di Johannesburg.
Al 42' la svolta, su innesco del bravissimo Tait migliore dei suoi; l'instant reply rivela che il piedino di Cueto letteralmente accarezza i fili d'erba imbiancati della linea laterale prima di depositar palla in area di meta. Il Tv match officer Dickinson dopo lunga e sofferta valutazione 50-50 decide per il NO. Avesse detto si, sarebbe stato come contro Fiji, al massimo tre punti da recuperare per i Boks con gli avversari che iniziano a respirare a bocca aperta.
Gli inglesi infatti iniziano ad annaspare, sfibrati dal gioco fisico davanti, che è altra cosa rispetto al gioco "esperto" boreale, e un po' alla volta perdono pezzi preziosi (dopo Vickery, Robinson, un positivo Catt, Worsley appena entrato) mentre gli Springboks son sempre quelli e serrano i ranghi con sapienza.
Il "piano B" inglese non funziona: il continuo e usurante assalto generale diviene una Somme, una Ypres, una Verdun: battaglioni decimati lanciati all'arma bianca contro impassibili mitraglie che li falciano; inchiodati lì sui loro 40 metri vuoi dai calci vuoi dalle ripartenze Bokkes, altro la rosa rossa non può fare; a Wilkinson arriva un solo pallone giocabile, tenta un drop che non è parente dei suoi nemmeno alla lontana.
Il segnale che la diga difensiva Afrikans, imperniata sulla impeccabile rimessa laterale, sul fiato degli avanti e sul sacrificio di tutti, reggerà senza patemi sino alla fine è data da un significativo episodio intorno al 70': all'ennesima interruzione per rimuovere morti e feriti dal campo di battaglia, capitan John Smit chiede all'arbitro, allora si gioca o li farai rifiatare ancora?
In quel momento gli avanti inglesi piegati sulle ginocchia hanno probabilmente realizzato che Os DuRandt e Cj Van Der Linde erano sempre lì, come se il peso di età pressione e fatica non li toccassero, pronti a giocarsi un finale di finale a pick&go; ma quei due lì non dovevano essere il famoso "punto debole" sudafricano?!
Compreso che di birra ce n'era di più nelle capaci pance africane, le luci inglesi si sono progressivamente spente: no way, è stata la vittoria del "più forte" nel senso letterale del termine.
I protagonisti
Gli inglesi hanno retto con dignità il campo, perdendo con onore contro una autentica macchina da guerra decisamente più tosta e completa di loro e di tutti gli altri: anche gli All Blacks o gli stessi Australiani non avrebbero avuto strada, per me questa è decisamente la miglior nazionale del 2007, lo sostengo da tempi non sospetti (Super14).
Si capisce dalla tranquilla, spavalda sicurezza con cui affronta chiunque, incluse le sue stesse distrazioni ed errori (come con Tonga, Fiji, Argentina): questa nazionale Afrikaner ha la faccia tosta e un po' strafottente di Bakkies Botha, uno che non si tira mai indietro e non ne ha mai abbastanza.
Venendo ai protagonisti, dopo un doveroso grazie a Jason Robinson a fine corsa, è doveroso spezzare una lancia per il ventunenne Tait che ha retto il confronto con il ventenne dirimpettaio Steyn, risultando nettamente il migliore dei suoi.
Tra i sudafricani, lodi sperticate a tutti per l'attenzione e il sacrificio; svettano il giraffone Matfield, autore tra l'altro di un paio di precisissimi calci e il mulo Bakkies Botha, il miglior uomo-squadra di tutti, stavolta molto attento a non cadere in fallo.
Poi il solito mitico Schalk Burger e un grandissimo Roussow, risolutore odierno del quesito mischia, oltre che salvatore della patria nel tentativo di meta di Cueto; la promessa sempre più certezza Steyn, autore del calcio decisivo e più giovane marcatore di sempre in una finale RWC; il capocannoniere del torneo Percy Montgomery; un grandissimo capitano "vero", John Smit, cresciuto nel college di Pretoria dove si onorano ancora oggi le vittime boere degli inglesi.
Tra tutti però la menzione speciale va parimerito ai due piloni, Os DuRandt e CJ Van Der Linde per i motivi già detti: dovevano essere l'anello debole secondo gli "esperti". Eroici, un simbolo di questi Springboks che vincono la Web Ellis non tanto grazie agli sprint di Habana, ma lo edificano sulle spalle e sul sacrificio degli avanti.

A proposito di "esperti", mentre doveroso va un grazie alla passione di Raimondi e di Pierantozzi (un po' petulo ogni tanto), ai chiarimenti di Kirwan e alla sagace competenza di Munari che ci hanno accompagnato in questi 45 giorni, è arrivato finalmente il momento di liberarci da un sassolino polemico che ci trascinavamo nelle scarpe almeno dai quarti di finale.
Caro Dominguez, tutto il rispetto dovuto al grandissimo campione ma lasciati dire, il rugby è una partita a scacchi giocata coi muscoli, bisogna conoscere tutti i pezzi e non andar per simpatie o per tifo; sotto questo profilo, sorry ma ho trovato che le tue analisi valgano quanto la mia conoscenza del mazzancollo patagonico.

UPDATE 22/10: gli inglesi, sportivi come sempre, ammettono generalmente che era giusto annullare la meta di Mark Cueto; tutti tranne ovviamente Cueto himself (ma lui fa poco testo, il piede sinistro non se lo poteva mica vedere).

Considerazioni finali
Il fischio finale di un discreto Rolland decentemente assistito da Honiss e Jutge premia con la Web Ellis Cup lo sforzo di tutta una Comunità, fotografata nel volto del "suo" capitano John Smit: felice ma serio, composto, profondo, quasi una maschera classica. Non si vince per caso una Web Ellis Cup, ci vogliono motivazioni molto profonde, che in questo caso trascendono nettamente il fatto meramente sportivo. E' il momento di festeggiare la vittoria, il conseguente diritto a rivendicare una identità verrà poi; domani con tutti i suoi serissimi problemi sarà un altro giorno.
La dura realtà con cui la minoranza bianca deve confrontarsi giornalmente nel Sudafrica post-Mandela è infatti quella cupa del socialismo reale, della dittatura della maggioranza corroborata da sensi di colpa ("taci tu che eri razzista"; tipo i profughi dalmato-giuliani a fine guerra: "Muti e sghisci, fascisti!"). La chiamano "verità e conciliazione", in realtà la epocale intuizione di Mandela viene via via prosaicamente intaccata da corruzione "African way"e da espropri sociali concreti ma anche simbolici.
Il concetto di "quota razziale" nello sport ad esempio ne rappresenta una inquietante implementazione, con la finalità di spezzare uno degli elementi più riconoscibili ed identitari della Tribù Bianca Afrikaner di cui è divenuto simbolo, come se noi ci obbligassimo a schierare almeno due calabresi e un sardo nella nazionale di hockey su ghiaccio con la scusa di estendere la base. Va sempre tenuto presente, questi non sono i classici "colonialisti" come in Rhodesia o Namibia, poche centinaia di migliaia di ricchi allevatori arrivati al massimo da un paio di generazioni; qui parliamo di Comunità radicate dal Seicento, migrate a nordest dal Capo mica dall'Europa, che non ha altri posti dove "tornare".
Grazie a questo trionfo speriamo che venga fermato il piano governativo di metter le mani sul succulento affare del rugby nazionale facendo leva sulle quote (si parla anche di cambiar nickname alla nazionale, non più Springboks). Lasciamo più che volentieri il calcio alla maggioranza nera - laggiù e anche qui in Italia :) - purchè il rugby rimanga libero da assurde barriere.

Ci ritorneremo, ora è il momento della gioia e degli outings: chi mi conosce come Brett sa che da sempre tifo accanitamente Springboks. E' una questione non solo "ideologica", di affinità tecnico-tattiche ma anche ragioni affettive (frequentazioni oimè lontane nel tempo); abbiamo centrato il pronostico/auspicio del primo post di questo blog e ne siamo felicissimi.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti per il pronostico centrato e per il vostro impeccabile lavoro di queste settimane, ragazzi.
Siete stati un sostituto più che valido alla visione diretta delle partite, che gli anti-skyisti come me si negano serenamente (sempre a proposito di saldi principi :-)
Non ero al corrente dei tristi sviluppi che il politicamente corretto si appresta ad avere per la nazionale sudafricana; pur con tutto quello che va riconosciuto ai nativi, è davvero deprimente che si debba politicizzare perfino lo sport.
Ciao!

Abr ha detto...

Grazie mille Ismael del supporto, felici di esserti stati utili semplicemente "sfogando" la nostra immane passione.

Il rugby è uno sport strano (personalmente dico, è più di uno sport), pieno di implicazioni educative ma anche sociali e politiche.
Come faceva notare Zamax qualche tempo fa, non è casuale notare in che Paesi si vada affermando.

Orso von Hobantal ha detto...

Questo blog è stata l'unica cosa a tenermi informato sulle sorti del mondiale (ho visto solo due partite, ahimé) e l'ho particolarmente apprezzato.
Per quanto riguarda il Sudafrica: si apre una parentesi dolorosa, che va ben oltre il semplice rugby. C'è veramente da essere tristi sulle magnifiche sorti e progressive perché ogni qualvolta si realizza una democrazia laddove c'erano forme (semi)autoritarie, la tirannia della maggioranza prevale, sappiamo tutti con che risultati.

Abr ha detto...

Tnxs a Elboaro.
La vittoria della Tribù Bianca Afrikaner si spera serva a rallentare il cammino di certi processi "democratici" laggiù (e orso ben sa quanti parallelismi si possano identificare con la storia di Nazioni non-più-Stato che conosciamo bene).
I giocatori erano ipermotivati da questo, avete visto la faccia di capitan Smit prima e dopo la partita?

Anonimo ha detto...

ciao, mi piacerebbe comunicare con l'autore di questo articolo. sono italo-sudafricana. la mia famiglia sudafricana discende dai Venter, uno dei primi coloni che giunsero in nave negli anni '80 del '600, solo con la bibbia e due braccia forti.mio zio è stato capitano della naz.rhodesiana di rugby per alcuni anni.vivo a milano e per me condividere la gioia della vittoria dei Boks ha avuto un significato molto profondo.i miei parenti,molti,e mia madre vivono laggiu'. un paese straordinario, un futuro incerto.ho vissuto da vicino la storia tragica di zimbabwe.lavoro con il sudafrica e guardo ai suoi sviluppi con particolare attenzione.vivo per quelle persone ma anche per gli animali di quella terra, la cui dignità sta scomparendo.il mio cuore è in sintonia con ogni parola di questo articolo.perche' il rugby,specie questo rugby, dei Boks,racchiude molto di piu'.come fai a conoscere cosi' bene questa realtà?in italia non trovo molti riscontri e ti ringrazio di aver espresso questi sentimenti.ciao

Abr ha detto...

Ciao Miss Venter, benvenuta!
La storia che racconti è magnifica e triste, sono felice che tu condivida la mia visione da "estraneo" ma molto interessato a quanto succede lassù (anche per legami affettivi oimè lontani come ho scritto).

In Italia non trovi riscontri? Mi stupirebbe: quassù in Europa saprai, c'è un terribile virus, si chiama political correctness: fa perdere la vista e la comprensione dei fatti, l'interesse per i propri parenti e fratelli, procura enormi sensi di colpa e attacchi di masochismo.

Scrivimi a nequidnimis@tocque-ville.it, mi piacerebbe molto invitarti a scrivere un post "da sudafricana" sul significato di questa vittoria e pubblicarlo qui.
ciao, Abr

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