sabato 15 novembre 2008

Little Italy

Stadio Olimpico di Torino: Italia 14 - Argentina 22
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Un bel passo indietro dopo i progressi visti a Padova. Beninteso, avevamo di fronte i veri Pumas, la quinta squadra nel ranking Irb, la terza classificata ai mondiali e non il gruppo di vacanzieri stanchi incontrato a Cordoba in giugno; però non è stato solo merito argentino, nè solo demerito delle molli zolle delicatamente appoggiate sul terreno dell'Olimpico di Torino manco fossimo sui green della Mandria, letteralmente arate a ogni accenno di mischia.

L'Italia schierava la squadra di Padova, con Pratichetti al posto dell'infortunato Canale e la prima linea in campo nel secondo tempo, a rimarcare il giudizio positivo sulla prova contro l'Australia fatta eccezione per la mischia:
15 Andrea Masi, 14 Kaine Robertson, 13 Matteo Pratichetti, 12 Gonzalo Garcia, 11 Mirco Bergamasco, 10 Andrea Marcato, 9 Pablo Canavosio, 8 Sergio Parisse, 7 Mauro Bergamasco, 6 Josh Sole, 5 Marco Bortolami, 4 Carlo Antonio Del Fava, 3 Carlos Nieto, 2 Fabio Ongaro, 1 Matias Aguero.
A disposizione: 16 Leonardo Ghiraldini, 17 Andrea Lo Cicero, 18 Salvatore Perugini, 19 Tommaso Reato, 20 Pietro Travagli, 21 Luciano Orquera, 22 Luke Mclean.
Molto rimaneggiata invece l'Argentina rispetto a quella sconfitta in Francia, causa soprattutto infortuni, soprattutttoin terza linea:
15 Bernardo Stortoni, 14 Federico Martin Aramburu, 13 Gonzalo Tiesi, 12 Felipe Contepomi (c), 11 Rafael Carballo, 10 Juan Martin Hernandez, 9 Nicolas Vergallo; 8 Juan Martin Fernandez Lobbe, 7 Rimas Alvarez Kairelis, 6 Martin Durand, 5 Patricio Albacete, 4 Esteban Lozada, 3 Juan Pablo Orlandi, 2 Mario Ledesma, 1 Rodrigo Roncero.
A disposizione: 16 Alberto Vernet Basualdo, 17 Marcos Ayerza, 18 Alvaro Galindo, 19 Alejandro Campos, 20 Agustin Figuerola, 21 Santiago Fernandez, 22 Horacio Agulla.

L'impressione iniziale è positiva: l'Italia ha sistemato più che decentemente le rimesse laterali e la prima linea, al punto che Nieto fa letteralmente impazzire Roncero che più tardi riceverà non per caso un cartellino giallo. Col passare del tempo però appare evidente che l'Italia, fissati quei due problemi, non esprime alcun progresso nelle fasi di attacco, anzi. Si giocano al massimo due, tre fasi e non sempre: la regola che i diligenti Marcato e Canavosio applicano senza gran varianti è via di gran calci molto up e poco under che fatalmente regalano il possesso ai Pumas, i quali ringraziano e ripartono.
Fin che la difesa italiana regge il confronto fisico l'equilibrio è massimo: i primi punti (Contepomi e cinque minuti dopo Marcato) entrano alla mezzora; ma la tattica è suicida per noi, innanzitutto perchè risultiamo più indisciplinati: il primo tempo si chiude 9 a 3 tutto di piazzati, alla fine subiremo un passivo di 5 calci contro 3.
Secondariamente perchè giochiamo la partita preferita dai Pumas: esattamente come la Francia la scorsa settimana li sfidiamo fisicamente, sulle ruck e sulla solidità difensiva. Come invitarli a nozze. Inoltre la Francia - anche quella di Lievremont - qualche guizzo e qualche bella individualità d'attacco la sa produrre; noi invece ce la giochiamo a pedate ancor più che a zuccate e alla fine fatalmente cediamo anche in difesa ai più tosti Pumas.
Già logorati di calci di punizione e pur avendo azzeccato l'immancabile drop di Marcato al 5' del secondo tempo (uno su due tentati), la partita alla fine ce la giochiamo al 50' dopo l'espulsione temporanea di Roncero: non riusciamo ad approfittare della superiorità numerica perchè non manteniamo il possesso e l'ennesimo up senza nemmeno un cenno di under da parte di Canavosio (poi immediatamente sostituito da un discreto Travagli) regala a Hernandez palla e un'autostrada per lanciare Carballo in meta trasformata da Contepomi: 19 a 9, mamma metti la caffettiera sul fuoco che tra poco siamo a casa . Manca ancora mezzora ma la reazione è timida perchè l'approccio alla gara non cambia: una punizione dopo 5 minuti successivamente pareggiata da una di Contepomi, l'ingresso dell'ancor più ligio Orquera al posto del fragile Marcato e il prodigarsi di Travagli non cambia le cose. La meta a tempo esaurito e nuovamente in superiorità numerica di Masi premia il cuore, non la preparazione della partita e la determinazione a vincere contro chichessia (che non c'è) degli Azzurri.

Quelli che sanno e scrivono di rugby (e anche Mallett) avevano sottolineato: occhio ai problemi in prima linea e in rimessa laterale, gli Argentini useranno la loro forza lì per schiacciarci se non ci sistemiamo. Beh prima di tutto chi ha visto la superba prova australiana contro l'Inghilterra con Sheridan e Vickery in campo, ha forse finalmente colto che non erano tanto i nostri problemi ad essere emersi a Padova, quanto lo strapotere e "l'expertise" della prima linea Wallaby (come del resto facevamo già notare la settimana scorsa nel nostro post).
Ciò detto, avete visto che fine abbiamo fatto nonostante la "sistemata"? Forse forse i nostri problemi non sono in mischia. Forse forse non sono mai stati lì.
Il fatto è che non ha nessun senso assicurarsi il controllo delle fonti di gioco se poi si calcia via la palla come se scottasse. Si potrebbe fare solo se avessimo centri e ali che non aspettano in linea (e magari poi sbagliano il placcaggio), ma asfissianti nella pressione, come lo è stata l'Australia con l'Inghilterra: mute di predatori aggressivi lanciate in profondità a ogni calcio. Il generale Patton diceva che chi pensa a difendersi fatalmente perde, l'unica strada per vincere è attaccare attaccare attaccare.
Come se ciò non bastasse, non s'è visto progresso nella disciplina, sopratutto nel best seller con cui regaliamo calci di punizione: lo sdraiarsi sopra il compagno placcato.
Infine, una dolente nota sulla mentalità. Beninteso i ragazzi danno l'anima in campo, ma è come se fossero rassegnati al destino dei buoni perdenti: s'è visto quando Masi ha segnato all'80', tutti addosso a congratularsi come se avessimo vinto ... Sorry Mallett ma il tuo non facile lavoro somiglia sempre più alla tela di Penelope: si costruisce qualcosina che poi si disfa.
Da fuori come se non bastasse arrivano gran brutte notizie: passi la discesa nel ranking Irb - saremo retrocessi undicesimi a vantaggio di Fiji, avvantaggiata dal meccanismo di attribuzione punti perchè fa pochi test - ma l'avete vista la Scozia, l'unico punto di riferimento sino a ieri vicino a noi nella galassia Sei Nazioni, che razza di partitone ha fatto contro i Campioni del Mondo in carica? Occhio al rischio cucchiaio di legno quest'anno; fossi Dondi, cercherei di recuperare il numero di telefono di Jake White.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Secondo me ci sono aspettative troppo alte e i nostri psicologicamente ne risentono. Anche nell'ambiente azzurro si dice con sorprendente faciloneria che l'obbiettivo a breve sarebbe quello di entrare nei primi otto (?!!!) del ranking mondiale. Le partite della nazionale, isolate nel silenzio mediatico che circonda il nostro movimento rugbystico, hanno sempre un clima di (sperata) definitiva consacrazione che irrigidisce come bacchette i nostri giocatori. Certo la mischia non è il nostro problema, e anzi lì abbiamo anche discrete seconde scelte. Dietro sì abbiamo problemi di statura tecnica, ma non tanti quanti certe partite sembrano mostrare. La palla scotta fra le mani, non c'è tranquillità, e si fanno le cose a metà (andiamo o non andiamo? andiamo o non andiamo?). C'è un orgasmo confuso come se dovessimo andare in meta dopo una o due fasi ed è invece il modo per perdere la palla. Nel gioco alla mano, anche nelle partite importanti, e pur nell'agonismo anche più feroce, si dovrebbe sempre "sentire" un certo piacere nel giocare, nel sostenere, nel riorganizzare l'azione, nell'essere capaci di "risettare" il cervello ad ogni nuova fase. E non farsi dominare da un'ansia che blocca anche le gambe. Basta vedere Masi sempre teso come un violino, incerto tra la "liberazione" del calcio e lo sfondamento ad ariete della difesa avversaria, e confrontarlo con la scioltezza di Stortoni dall'altra parte.

Abr ha detto...

Si, tesi come le corde di un violino, dici bene.
Ma c'è tensione e tensione: quella al risultato pur sapendo che è impegnativo e quella di chi ritiene gli sia chiesto qualcosa di superiore alla sue forze. La differenza è sottile, l'esito è abissalmente difforme.
Compito dell'allenatore è portare i giocatori al giusto livello di tensione, quella positiva, non quella paralizzante che descrivi, offrendo le giuste motivazioni e stimoli, fatte di bastoni e carote. Nulla di nuovo sotto il sole.

Il rischio che percepisco e descrivo è quello opposto: coach e ambiente che, per evitare il rischio della paralisi da responsabilità, fa capire ai giocatori che si accontenta di "buone sconfitte". Cosi' non si migliorerà mai.

Se poi si volesse affrontare il problema alla radice (perchè la nazionale è un effetto non una causa, anche se Dondi sinora l'ha usata "contro natura": come trascinatrice del movimento e non come sua espressione), allora il coach dovrebbe dire: signori da questo Super10 e tutti 'sti stranieri, bravi ma per lo più panchinari (sopratutto gli arretrati: Masi, Canale, Mirko etc.), più di così non si fa.

Volete fare "il salto"? Allora reset e passiamo alle due selezioni più una serie A semiprofessionista. DOMANI, perchè il 2011 arriva in fretta. Pendere o lasciare.

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