giovedì 14 maggio 2009

Vogliono romperci il giocattolo


La storia è ormai nota perché ha fatto il giro di giornali, siti internet e televisioni: ha per protagonisti gli energumeni del rugby australiano accusati di aver violentato in gruppo una ragazza a Christchurch in Nuova Zelanda dopo una bevuta corposa. Lei era convinta di divertirsi con uno soltanto, poi sarebbero comparsi i colleghi di squadra ed ecco il danno. È scattato il “dagli al rugbista”, non possono che essere colpevoli lor signori. Di mezzo ci è andato pure Matthew Jones, che ha ammesso di aver partecipato al tutto e di essersi vergognato. La National Rugby League è corsa ai ripari dicendo che per i suoi tesserati sono già stati programmati corsi di recupero.È una storia già vista, pensiamoci su un attimo. Anzitutto non siamo nel campo del rugby a XV, quello che tutti quanto conoscono, ma in quello del rugby a 13, una variante più spettacolare e “calcistica” nei mezzi, molto simile al football americano come in passato aveva ben descritto il socio Danny. Una variante che in Australia è una religione capace di radunare migliaia di tifosi allo stadio come capita per il football australiano. Vi investe pure della gente ello spettacolo, come l'attore Russell Crowe a Sydney. Un paragone con l’estero? Prendete la Nba negli Stati Uniti (o il baseball o quello che volete dello sport made in Usa) e il gioco è fatto.

Il tutto, visto da vicino, ricorda la vicenda di Kobe Bryant, il talento dei Los Angeles Lakers, che pochi anni fu implicato in un lungo (e fotografatissimo) processo per stupro. Stessi personaggi: da una parte l’idolo sportivo, risicato e chissà-quanto-è-bravo-a-letto, famoso e ambito, dall’altra la bambola che farebbe di tutto per averlo. Poi va a finire che si beve al balcone del locale, scatta l’invito a casa e, quando ormai la pratica sembra archiviata, l’idolo si trasforma in violentatore. L’opinione pubblica si mobilita e il processo è fatto nell’arco di poche ore.

Un processo che ieri sera è stato presieduto dall’altissimo giudice Piero Chiambretti nel corso del suo programma in onda su Italia 1. Ospiti i fratelli Bergamasco. Domande: le solite di sempre. Chi tra i due cucca di più, quanto è duro questo sport, invidiati i calciatori e null’altro. Finché non è arrivato il pistolotto: ma quei giovanotti come voi che in Australia hanno violentato una ragazza? I due probabilmente avrebbero voluto rispondere: “A noi che importa?”. Invece si sono difesi cercando di far capire che i rugbisti non sono degli orchi. Anche perché pochi attimi dopo lo stesso Chiambretti ha mandato in onda una scena di rissa tra due formazioni romene.

Ma come? Il rugby, questo sport di rispetto, che finisce per mettersi le mani in faccia? Mauro ha detto che ebbene sì, succede: “A me è capitato una sola volta in tutti i miei anni di carriera”. Lo spettatore medio, però, era stato accontentano: foto dei due padovani in pose sexy per il famoso calendario che ha spopolato in Francia, inni al machismo per orecchioni sempre all’erta, pippone per dire che nemmeno loro sono angeli. Peccato che nessun rugbista vada in giro a dire di esserlo. Piuttosto, bello sottolineare come all’ennesima provocazione (“Ma c’è più marcio nel rugby o nel calcio?”), sempre Mauro abbia risposto: “Da professionista, non conoscendo la realtà del calcio non mi sento di rispondere”. L’obiettivo dei media, da qualche tempo, è quello di rompere il giochino con la palla ovale. Che è un giochino al cui interno esistono meccanismi e regole (esatto, regole da intendere come leggi) che agli occhi del profano sembrano scemate. Dati i numeri di chi pratica rugby e di chi lo segue attivamente, è matematicamente logico che questi siano in minoranza di fronte ad una frotta di commentatori. Difendersi diventa quasi impossibile. Quasi, perché in realtà il rugby è sempre riuscito ad autoregolamentarsi.

Ovvio che il problema non è Pierino il Pestifero, il suo programma talvolta è anche spiritoso. Il problema sono quelli che parlano a vambera e, ahinoi, sappiamo che sono in molti. Soprattutto da quando l'Italia ha fatto il salto tra le grandi. Un pegno da pagare, ma con stile. Se davvero vogliono gettare un po' di qualunquismo su questo splendido sport che è metafora di vita, lo facciano pure, ne sono liberi. D'altra parte, nel mondo reale sono parecchie le cose che non tornano ultimamente.

Sono bastate le parole di una ragazza (ancora tutte da confermare, per quanto se ne dica) per aprire il vaso di Pandora: i rugbisti hanno il corpo grande, ma il cervello piccolo. Al punto che in occasione del Varisty Blue (la sfida tra Oxford e Cambridge) circola un detto in Gran Bretagna: se si facesse saltare in aira Twickenham durante la partita, scomparirebbe la classe dirigente presente e futura di un'intera nazione. Una nazione che ha costruito un impero, giusto per rammentarlo agli smemorati.

1 commento:

Abr ha detto...

La migliore descrizione del fatto e suo incasellamento nell'ambito corretto che abbia letto ovunque. Altrove solo banalita' politically correct. Complimenti!

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