Fuori dai cori nordici
La melassa dei commenti un po' troppo british-biased riguardo al Lions Tour 2009 appena concluso, rischia di sfumare l'attenzione da una serie assolutamente fa-vo-lo-sa per gare giocate, individualita' e gioco di squadra, tanto da far risorgere alla grande lo spirito dei Lions ancora ammaccato dai tempi del tour 2005 in Nuova Zelanda. L'attenzione vien dirottata verso amenita' collaterali: tipo il gioco duro dei sudafricani, e capirai la scoperta.
Tanto che alla fine i media generalisti l'unica cosa che riportano di un tour che ha mosso 35.000 turisti europei e ha riempito gli stadi (impietoso il confronto con le trombette della contemporanea Confederations Cup) e' chiaramente quella, inutile poi lamentarsi delle ferite auto inflitte.
Per non parlare poi dei toni trionfalistici per la vittoria dei Lions nel terzo match: peccato che a quel punto la serie fosse gia' stata vinta dagli Springboks, autori di performance di intensita' stellare, esaltata dal livello delgi avversari. A tal proposito, mentre languevamo nel colmo dello sconforto, troviamo su Sportingo.com un articolo di Ivan Nel che volentieri traduciamo, con totale trasporto e adesione:
"Che serie fantastica! Quelli che avevano anticipato che il tour dei Lions sarebbe stato poco interessante stanno scuramente ingoiando le loro parole. Quanto s'e' visto sabato al Loftus Versveld (il secondo test, quello terminato 28-25, ndr) dovrebbe essere ricordato per molti anni come una delle migliori partite mai giocate nel suolo sudafricano.
Invece cio' che rimane e' il sapore amaro dello stupido fallo commesso da un sudafricano (Schalk Burger e il suo dito nell'occhio, ndr) e quello della stampa britannica che non riesce ad accettare le sconfitte.
"Schalk Burger avrebbe dovuto prendersi un cartellino rosso per quel fallo - tale errore ci e' costata la gara" (e quindi la Serie, ndr), lamenta il mediano dei Lions Phillips in una intervista nel post partita. Sembra suggerire che i Lions potrebbero vincere contro i Boks solo se questi rimanessero in 14.
Secondo lo spirito del rugby tale commento e' seriamente erroneo, almeno quanto lo e' stato atteggiamento protettivo del coach sudafricano Peter de Villiers nei confronti dell'autore del fallo.
A Phillips non dovrebbero consentire di far commenti su quella partita, dato che le sue aperture dopo 32 passi e il suo mediocre box kicking l'hanno reso l'anello debole dell'armata Lions - nemmeno vicino alla classe di Fourie du Preez.(..) A mio avviso poi, i giocatori dovrebbero esprimersi solo con commenti del tipo, "siamo spiaciuti per la sconfitta ma crediamo che la prossima volta possiamo vincere".
(..)
I media hanno avuto tanto da dire su(i due falli di) Schalk Burger e Bakkies Botha (la cui esclusione per due gare ha fatto protestare i sudafricani, ndr).
Quest'ultimo secondo la mia opinione e' entrato del tutto legalmente in una ruck, e' rimasto in piedi e sfortunatamente ha causato un infortunio al pilone Lions (Adam Jones: distorsione dei legamenti della spalla con dislocazione, ndr).
I media (europei, ndr) descrivono i Boks come utilizzatori di tecniche fallose, contro le regole. Stranamente non fanno nessuna menzione dei molti placcaggi non chiusi (di spalla, ndr) di Brian O'Driscoll - uno dei quali ha mandato anzitempo alle docce Danie Rossouw e un altro ha causato la collisione dell'infortunio di Gethin Jenkins. Non menzionano il tentativo di Lee Mears di rimuovere la testa di Burger, ne' il pugno di Andrew Sheridan a Andries Bekker o il suo tuffo su Botha circa cinque secondi dopo che la palla era uscita dalla ruck.
No, non c'e' nessuna menzione di tutto questo: il motivo e' che gli Springboks credono per davvero che in amore e in guerra tutto sia permesso e che il gioco del rugby vada giocato duro.
Loro accettano quello che ricevono, buono quanto quello che danno, senza sentire il bisogno di andare a piangere dai media riguardo gomiti e ginocchia degli avversari.
This is rugby: e' uno sport tosto giocato da uomini tosti. Le squadre dell'Emisfero Nord dovrebbero semmai prendere una lezione dagli Springboks: giocare duro e quando si perde, si perde e basta.
Standing ovation.
Gia' che ci siamo, altro sassolino dalla scarpa: il coach sudafricano Peter de Villiers viene costantemente sbeffeggiato, criticato e messo alla berlina dalla stampa (anglosassone e chi la legga acriticamente) manco fosse Berlusconi, per cui traduciamo altro articolo dell'ottimo Sportingo che canta fuori dal coro, un po' scherzosamente ma ridendo castigat:
Ten reasons why Peter de Villiers (PdV) is rugby union's greatest (coach):
1. PdV ha un carattere colorito, fa spettacolo. E chi le regge piu' facce tristi di gente come Graham Henry, Robbie Deans o Warren Gatland (o, aggiungiamo noi, Nick Mallett)?
2. PdV si prende la pressione e la tira via dai suoi giocatori: ruba i riflettori, tutti aspettano di sentire cosa si inventerà di nuovo e nel mentre i suoi sono liberati dalla pressione.
3. PdV ha la liberta' nel disegnare la squadra che nessuno ha avuto prima di lui in Sudafrica. Lui ha il vantaggio di essere un nero, il che assieme alla sua eccentricita' che spiazza, gli evita le controversie di tipo razziale riguardanti i giocatori selezionati.
4. PdV genera l'impressione che la sua squadra vinca NONOSTANTE lui, non per merito suo.
5. PdV a ogni suo passo ci ricorda che tutti quei supereroi del rugby sono esseri umani - spesso sprovveduti quanto noi .
6. PdV e' il coach dei campioni del mondo che continuano a vincere. Ciò chiude le acclamazioni di genialita' per altri coach. Se lo scemo del villaggio batte il massimo genio del rugby britannico, meglio (per gli inglesi) smontare dal piedistallo!
7. PdV e' un grande professionista. E' rispettato in modo sorprendente dai suoi giocatori. Il suo team tecnico sa che lui dara' il massimo spazio ai loro suggerimenti.
8. PdV ci ricorda che il rugby e' solo un gioco. Appendere il proprio onore nazionale e autostima a un gioco e farne una cosa troppo seria, e' una grande cavolata.
9. PdV fa errori e li riconosce. Si prende le sue responsabilita' ed e' pronto a fungere da capro espiatorio quando serve.
10. PdV e' impredicibile e trasferisce tale caratteristica alla sua squadra. Di fatto, l'uomo che la gente (inglese) ama ridicolizzare e odiare, e' un coach modello. E il suo miglior trucco e' fingere di non esserlo.
8 commenti:
Mah... se in amore e in guerra tutto è permesso, la stessa cosa non dovrebbe valere per il rugby, che non è amore e non è guerra, ma un gioco (da hooligans, ok, ma giocato da gentiluomini, o almeno così dovrebbe continuare ad essere).
Il gioco è duro, ed il rischio di infortuni bisogna accettarlo, ma liquidare il gioco falloso o anche al limite del regolamento come una faccenda su cui è inutile andare a piagnucolare non è giusto, prima di tutto nei confronti di quei ragazzoni che ci deliziano con le loro giocate e (aggiungo io) con la loro lealtà (quando c'è).
Anche perché c'è sempre PdV a ricordarci che "tutti quei supereroi sono esseri umani, sprovveduti come noi". Direi che è perfetto.
Il professionismo spreme i giocatori al limite delle possibilità umane, crea delle macchine da rugby, ma qui si pone un problema etico. Fino a che punto è lecito spingersi? E' giusto trattare questi uomini come gladiatori da sacrificare nelle arene del terzo millennio? O non sarebbe etico e nobile preoccuparsi anche della loro testa e delle loro ossa?
Qualcuno ha cominciato seriamente e autorevolmente a porsi il problema (v. articolo di David Reyrat "Rugbyman..." su Le Figaro, ripreso anche da rugby1823). Non mi pare si tratti di lagne da fighetti.
E tutto questo, sia chiaro, vale assolutamente per tutti, dai rudi Bocks alle dita negli occhi, ai placcaggi chiusi di BOD eccetera.
Ora che il professionismo ha esasperato tutto, mi piacerebbe un bel G8 del rugby che riparta dall'etica e dalla lealtà come valori fondanti di questo meraviglioso sport.
Paolo, mi piace la tua considerazione perchè prescinde dal pregiudizio tifosereccio (in cui magari anche il sottoscritto talora indulge).
Il tuo è un punto di vista rispettabile sulla faccenda.
Il mio personale è il seguente: prima di tutto mi infastidisce molto l'approccio unilaterale e sciovinista di gran parte dell'opinionsimo di stampo anglosassone, quello che sfoderano quando perdono. E anche quando vincono: celebrativo e trionfalistico.
Quindi lo stigmatizzo.
Aldilà della violenza, da loro tollerata o stigmatizzata secondo il colore della maglia, ho colto l'opportunità per pagare un tributo dovuto a DeVilliers, perchè accusato di qualche cessione alla politica (anche da me) e invece più va avanti più ci si rende conto che sta agendo da autentico garante degli Springboks. Anche qui tra gli sberleffi, di stampa Albionica e Australiana e di chi la legge acriticamente.
Secondariamente, ritengo che il professionismo contenga un rischio: la vittoria a tutti i costi che comporta una involuzione furbetta, calcistica. L'esatto contrario della involuzione violenta.
Li vediamo tutti quegli estremi-aperture che appena toccati dopo un salto o un calcio, rimangono a terra per far dare il giallo all'irruente avversario.
Il professionismo porta anche una opportunità: essendo tutta gente che campa giocando, si vedono più spintoni che ossa rotte volutamente.
Ovviamente la cosa cambia quando c'è in ballo qualche manifestazione epocale, tipo Lions Tour: anch el'intimidazione (persino nel cricket!) gioca un aparte.
Ma la cosa, a mio avviso, vale soprattutto per gli europei: i sudafricani,inutile far tanto le verginelle, si sa già come giocano.
Infatti l'art. che ho tradotto sottolinea non tanto la loro "innocenza", quanto il loro non lamentarsi.
Protestano per la giustizia due pesi due misure (persino Munari, questa volta chiaramente pro Lions, ha detto che nella stessa partita aveva visto almeno dieci falli uguali a quello che è costato 2 giornate a Botha), non per aver subito.
Riassumendo: considero il professionismo un antidoto naturale contro le teste calde, al contrario credo esponga questo sport a derive furbette di tipo calcistico.
Dopodichè sono con chi sostenga che uno sport duro e bordeline come il rugby, debba prevedere sanzioni severe in ottica dissuasiva.
Non erogate però dagli occhioni sgranati di finte verginelle nutrite a birra doppio malto e foto di tettone del The Sun.
beh, diciamo che non seguo il rugby da un tempo sufficientemente lungo, quindi penso di avere ancora una certa ingenuità che mi preserva da esasperazioni "tifoserecce" ;)
(o almeno spero).
A me interessa il gioco, faccio il tifo ma poi che vinca il migliore.
Sulle questioni politiche (IRB e compagnia cantante) non so molto, ma inizio ad avere la vaga impressione che siano influenzate da un certo conservatorismo, non sempre disinteressato, dei sudditi di Sua Maestà.
Ad esempio, nell'ambito della recente discussione sulle ELVs, la resistenza opposta sull'estensione del calcio libero e sulla gestione del breakdown.
Di cui non ho capito molto (anzi, ne approfitto per chiederti gentilmente se puoi darmi qualche breve ragguaglio in merito, te ne sarei molto grato), ma mi pare che la decisione presa abbia suscitato non poche critiche da parte di chi avrebbe voluto realmente migliorare il gioco.
Infine, mi dispiace molto quando parli dell'involuzione furbetta del rugby. Così mi smonti... :(
Da ex calciatore, una delle cose che mi hanno fatto avvicinare al rugby (disgustato peraltro dal calcio dei furbetti col capello impomatato e l'inclinazione al teatro in area di rigore) è stata proprio la lealtà, il rispetto assoluto dell'arbitro e delle sue decisioni (anche di quelle sbagliate), degli avversari, anche al netto di qualche scazzottata in campo, l'assenza di furberie e meschinità assortite. Eccetera.
Tra l'altro ho sempre pensato che una naturale inclinazione alla lealtà fosse fondamentale in un gioco così duro e di contatto, in cui rischi di far veramente male all'avversario.
Non sono abbastanza skillato da distinguere tutte le finezze del gioco, e pertanto nemmeno le piccole furberie, ma se anche il rugby inizia a essere inquinato da queste cose allora non c'è speranza per l'umanità :D
ciao ad entrambi,
sono anch'io per il rugby duro dei bocks.
almeno loro vanno dentro di brutto e cercano di imporsi sugli avversari.
credo che siamo tutti d'accordo nell'affermare la netta differenza che intercorre fra una "seola" sul muso tirata a viso aperto ad un avversario che fa il furbo e le dita negli occhi che sono un fallo vigliacco e da punire con squalifica biblica.
ciò detto direi che il rugby sudafricano è forse l'unico rimasto almeno marginalmente rugbys fra quelli d'alto livello,forse insieme a quello francese ma limitatamente al midi e certamente guazzini a parte.
ormai i tecnici sembrano tutti avvocati intenti più a far giocare le vacatio regolamentari che a tentare di soverchiare l'avversario.
quanto a pdv direi che abr ha colto egregiamente la sostanza:è un furbo di sette cotte che si tira addosso tutta la pressione e manda i giocatori in campo con la testa libera:i suoi devono adorarlo.
l'esatto contrario del suo connazionale e collega che allena da noi e che cerca di mantenere un minimo di verginità nei confronti del rugby che conta lagnandosi della scarsità dei suoi
Ehh Paolo, la politica c'è in tutte le poleis, sennò che poleis sarebbero ...
Sulle Elv difatti è calato un poderoso sipario, i Boreali si sono autoproclamati vincenti (ma i Lions han subito meta su una rolling maul dei Boks, mioddio come ho goduto!); personalmente aspetto il Trinations per farmi una idea definitiva di dove siamo oggi perchè se non ho coapito male ancora non è "fissato" tutto (il calcio libero nella fattispecie).
Sulla involuzione furbetta, tranqui Paolo: ho parlato i rischio (a noi appassionati vigilare) e poi tutto è relativo. La perfezione non esiste, ma nei vari "toni di grigio" esistenti al porposito in giro tra i vari sport, vai tranqui. che nel rugby si respirerà ancora aria più buona che da altre parti.
Proprio per il motivo che sottolinei tu: è insito nel mettersi in gioco fisicamente, un certo livello di lealtà. Comprenderai quindi perchè tra tutti le sfumature di rugby giocato, personalmente prediliga dove ci si mette più in gioco senza paura e senza quasi pretendere tutele, cioè la versione sudafricana.
Dev'essere il retaggio di quando i loro avi partirono per il Grand Trek: sottrarsi agl'inglesi padroni e addentrarsi negli Altipiani.
Colonne di carri con donne bambini e bestiame, senza Settimi Cavalleria o regole a proteggerli dalle aggressive confederazioni Zulu che ogni tanto mettevan sotto pure gli eserciti professioanli di Sua Maestà, se non i loro fucili personali.
Ciao tagus, concordo su tutta la linea, critica al Mallett always looking for excuses inclusa.
ho visto la maul dei Bocks, ho pensato esattamente la stessa cosa, chi di spada ferisce... fermo restando che, come ho già detto, le maul a me non dispiacciono affatto (se fatte cum grano salis) e quella sudafricana è stata spettacolare.
Le rolling maul non mi dispiacciono affatto anche a me.
Solo, con le regole vecchie (ripristinate) sono formalmente inarrestabili.
Con le Elv in vigore invece, certi team austrlai avevano imparato utili accorgimenti per sfruttarle ancora (ricordo una meta dei Waratahs nel Super14) e la difesa non era disarmata di fronte, aveva la possibilità perlomeno di provare ad abbatterla.
Personalment equindi, preferivo la Elv.
Ma non mi ci impicco, camperò lo stesso anche col "rigore" della maul inabbattibile.
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