mercoledì 19 agosto 2009

C'è del sangue, ma la ferita sarà ricucita


L’affare è grosso e merita calma. Molta calma. Ricapitolando, Oltremanica – e non solo – ci si domanda se il rugby sopravviverà al bloodgate che ha coinvolto i London Harlequins ormai non più guidati da Dean Richards, quella formazione conosciuta in tutto il mondo la maglietta a colori che ricorda tanto i tempi del dilettantismo. Ora, casomai, ci mettono sopra un’opera di Andy Warhol sulle divise, come a Parigi.

È la fine del rugby as we know it? A RightRugby, o meglio il sottoscritto, crede di no. Tutto quanto ha avuto inizio ai quarti di finale dell’Heineken Cup nell’epica sfida contro Leinster persa 5-6. L’ala Tom Williams viene sostituita al 69’ per sangue da Nick Evans, il trascinatore della formazione tanto nella fase di impostazione da mediano di apertura, quanto per il piede caldo che ha permesso ai Quins di vincere in trasferta contro lo Stade Francais in un epico girone di qualificazione, che a sua volta aveva già lasciato il campo malconcio. I londinesi perderanno comunque la partita perché Evans non trasformerà il calcio di punizione chiamato a battere. Ma in realtà, Williams non aveva alcun taglio: aveva solo “masticato” una pillola contenente del liquido rosso. Un taglio comparirà solo in un secondo momento, negli spogliatoi, per mano di fisioterapista Steph Brennan, membro anche dello staff della nazionale inglese.

Ed ecco servito il bloodgate che è costato caro ai protagonisti di questa sporca vicenda. La ERC ha infatti bandito Richards per tre anni, invitando tutte le federazione ad adeguarsi: in due parole, il tecnico starà per tre anni a piedi. Ha ammesso di aver preso parte alla bravata, di aver progettato la messa in scena della pillola, ma non del taglio operato in un secondo momento. Solo un mese fa aveva rinnovato con la società: “Sono fortemente dispiaciuto per il ruolo che ho giocato in un incidente inaccettabile che ha fatto così tanto male al rugby”. L’accusa del board dell’ERC è pesante: “Mr. Richards ha orchestrato il falso infortunio e ha coperto l’intera vicenda”.

Brennan, ormai prossimo al licenziamento da parte della RFU, è stato bannato per due anni, mentre a Williams, il primo a confessare quanto accaduto in realtà sul campo, rimarrà lontano dai campi di gioco per quattro mesi, dopo aver scampato una squalifica di un anno. Gli Harlequins, in quanto società, dovranno pagare una multa di 258.000 sterline e non potrà ricorrere in appello, idem per Williams. Tutto questo dopo 14 ore di intense discussioni, valutazioni, interrogatori.

È, senza dubbio, una brutta macchia per questo gioco e per gli Harlequins che, nella scorsa stagione, avevano strappato gli applausi di molti osservatori e addetti ai lavori, compresi gli autori di questo blog che apprezzavano la spavalderia con la quale Richards mandava i suoi in campo, rendendoli capaci di imprese come quelle in Heineken Cup. La beffa è che oltre al danno, gli arlecchini manco hanno vinto quel quarto: la domanda sorge dunque spontanea, perché rovinarsi comunque un futuro interessante con questa pagliacciata?

Gli angeli si sono sporcati le vesti e i volti si guardano a vicenda molto preoccupati: come è possibile che nel rugby stia accadendo tutto questo? La risposta rimane sempre la stessa: i furbi esistono da quando Dio ha creato gli uomini, se poi ci si mette di mezzo il professionismo, anche l’immacolato rugby finisce al purgatorio, se non all’inferno.

Stranamente la vicenda non ha trovato molto spazio nei media di casa nostra, perché altrimenti la musica sarebbe stata: ecco, pure questo è uno sport venduto al dio denaro e altre sinfonie molto simili. Come accaduto in occasione dei rugbisti australiani apparentemente coinvolti in stupri seriali. Certo, la palla ovale non ci fa una bella figura, ma siamo onesti e viviamo in un mondo che gira così, quindi proviamo a trovare non proprio delle soluzioni, quanto delle nuove vie da percorrere.

Il rugby as we know it è finito da un pezzo, lo abbiamo ribadito in diverse occasioni, ma questo sport ha la fortuna di essere nato in una nazione che da secoli si regge su regole non scritte, la Gran Bretagna. Il rugby è tanto uguale: sono regole non scritte quelle di bersi una birra post partita con l’avversario, come quella di ripagare il torto subito senza sceneggiate calcistiche, ma semplicemente puntando colui che ha compiuto una scorrettezza, come un pungo in fase di ruck, e ridarglielo con gli interessi, magari sempre in ruck, per poi farla finita lì. Non è violenza gratuita, è rispetto reciproco. Oppure prendersi giusto qualche secondo per il colletto e guardarsi con occhi infuocati. E poi salutare i vincitori o i vinti con un corridoio prima di andare sotto le docce. Insomma, ci siamo capiti.

Il bloodgate non è la fine del rugby o il suo ingresso ufficiale nel mondo dei peccatori, perché se i rugbisti non fossero peccatori, non si metterebbero a prendere e dare colpi per espiare i propri peccati. Questo lasciamolo dire ai soliti benpensanti che non saranno in grado comunque di rovinare il giocattolo, dal momento che si muovono sempre con i paraocchi per binari decisi dal pensiero comune, e non dalle regole non scritte.

Occorrerà un mea culpa, di quelli che fanno bene ogni tanto. Ma sopravviveremo a queste ore di sbandamento: Richards passerà tutti i tre anni lontano dalla panchina, Brennan si dedicherà ad altro, Williams a novembre sarà ancora a correre in campo. Le sentenze saranno rispettate. Non accade in molti altri posti una cosa del genere. La palla bislunga continuerà a farci divertire e a offrirci spunti per parlare di tutto un po’, compresi i fatti della vita. Perché chi di noi non ha mai dovuto fare i conti qualche stronzo furbetto che provava a farci fare brutta figura? Basta essere altrettanto furbi – onestamente – per rimettere i pezzi in ordine.

14 commenti:

Abr ha detto...

Molto d'accordo Socio: essere diversi non vuol dire essere "puri" ma reagire e fare ammenda. Col "non scritto", da uomini come si diceva una volta, prima e magari al posto del legalese.
Non ci cambieranno, spero, nè Quins nè le balle poco innocenti di Bastareaud, nè gli spintoni all'arbitro in Currie Cup.

Panta ha detto...

il buon rugby, quello che fa di quell'ambiente un ambiente sportivo nel più bel senso della parola, è fatto pur sempre di uomini e per di più è sotto il tiro del professionismo, che di guasti ne provoca ma dal quale non si può più prescindere. Per cui sarà bene sviluppare i dovuti anticorpi (in questo caso la reazione positiva c'è stata, eccome) E questo episodio ci fa ben sperare perchè tiene alto, anche se con sobrietà tutta anglosassone, il livello d'indignazione, quella vera, quella che mira all'isolamento, magari temporaneo, a livello individuale e collettivo, di chi compie i più gravi tradimenti di uno spirito che, anche da parte di chi non ha motivo di particolare affetto, è dai più considerato meritevole d'essere salvaguardato.

tagus ha detto...

ragazzi,senza tornare a maci che piazza da seduto con una caviglia andata,ma vi ricordate quando c'era solo la sostituzione x infortunio e se serviva buttare dentro uno fresco il sostituito iniziava goffamente a fingere di zoppicare?non era il paleozoico.
era un mondo + naif(del quale,credo si sia inteso,ho una certa nostalgia)ma che non tornerà.
magari qualche quattrino in meno sta iniziando a girare ma non torneremo all'apertura/bancario che va a provare i calci nella pausa pranzo.
ciò detto sono d'accordo che il rugby non morirà, ma un certo rugby,ai massimi livelli, temo sia già morto.
mi riferisco più al rugby fuori campo che al rugby giocato.
ho avuto la ventura di partecipare(da invitato non certo da giocatore,visti i livelli ridicoli cui ho giocato)a 2 terzi tempi dopo match della nazionale;uno alla fine degli anni '80 a brescia dopo un italia franciaA ed uno pochi anni fa a roma;il primo era un vero terzo tempo in poco o nulla diverso da quelli cui partecipavo ogni domenica.
il secondo differiva da un happening di calciatori in disco a formentera solo per la presenza della ceres al posto del mojito.
per carità meglio uscire abbracciati ad una gnocca che ad un pilone del dax ma dove girano soldi poi può succedere che passare in semifinale voglia dire quattrini e possa generare anche sciocchi espedienti alla dario argento o,molto peggio, che un ragazzino bravo che però pesa 70 kg a 18 anni, a 18 anni e 6 mesi misteriosamente ne pesi 95.

Anonimo ha detto...

Ringo,
pienamente d'accordo. E' impensabile immaginare il rugby come un mondo di cavalieri medievali fatto solo di onore, duelli e sangue (e poche dame!). Il rugby è fatto da uomini e gli uomini vivono nella società. Come i geometri, i golfisti o i banchieri...
Se ci sono geometri disonesti, ci saranno rugbisti disonesti. Punto. Inevitabile.

Vedo però - forse ingenuamente - ancora una bella differenza tra i rugbisti e, tanto per fare un esempio a caso ;-), i calciatori.
In tutti i casi successi ultimamente i colpevoli hanno subito confessato - e non credo sotto tortura!
Se pensiamo che uno come Marcello Lippi - osannato da tutti i media - ancora oggi, se interrogato sui fatti di calciopoli, fa finta di cascare dal pero e di non ricordare... e lo stesso per tutti i giocatori interrogati durante il processo. Nessuno ricorda, nessuno sa nulla.

P.S.
Qui in italia quello del delineare una figura idilliaca del rugby, credo facesse parte del tentativo de La7 (d'accordo con FIR e ambienti del rugby nostrano) di allargarne il pubblico. Sfruttando l'onda lunga di calciopoli che aveva fatto effettivamente disamorare molti calciofili, hanno tentato di offrire un'alternativa "pulita" (più di quanto non lo sia?) al pubblico sportivo italiano. Da qui IMHO le iperbole stucchevolmente romantiche di Cecinelli & co durante le partite della nazionale.

Panta ha detto...

l'immagine che da Cecinelli del rugby, più che stucchevole è melensa, al limite del del nauseante. Le tecniche pubblicitarie non mi vanno a genio fuori del loro stretto ambito commerciale, e ciò nel rugby e fuori del rugby. E' vero, il vecchio rugby, quello dilettantistico a tutto tondo, era tutt'altro che frequentato solo da cavalieri nobili e puri. Io ricordo porcate epocali in campo e negli spogliatoi; e parlo del rugby veneto che era al centro del panorama nazionale. Eppure c'è sempre stato un certo stile, improntato ad un sincero rispetto dell'avversario dato sicuramente dal fatto che quando la battaglia è fisica, quando si condividono anche con l'avversario i costi dello scontro, si finisce per creare un senso di appartenenza anche con l'altra squadra, o almeno con certi suoi componenti E di questo, ancora, nelle grandi squadre rimane una traccia ed anzi un segno di distinzione a cui non vogliono rinunciare. Il professionismo, questo si, ha eliminato tutta una serie di brutalità alle quali rinuncio volentieri e che hanno a mio avviso sempre costituito il lato veramente debole di questo sport

Abr ha detto...

Dico la mia, sul tema concordo con Panta: un certo livello di "contaminazione" col professionismo è inevitabile.
Che del resto è anch'esso inevitabile s enon auspicabile a un certo livello.
Certo con tutti i rischi che ne derivano e su cui occorre vigliare, incluso quello del doping cui fa cenno tagus (uno sport fisico ...).

Del resto questo è il mondo in cui viviamo: basti guardare la faccia paonazza e contratta e la pelle liscia del "normale" palestrato lontano da ogni progetto di crescita sportiva, così simile a quella del bravo bambino in preda a trip da omogeneizzato. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano ...

Del resto inutile far le verginelle: come ricorda tagus anche ai tempi eroici del "dilettantismo" che furono, l'allenatore faceva l'occhiolino all'uomo da sostituire e questo si metteva a zoppicare.
Mi pare che il caso dei Quins non sia così diverso a livello di rustichezza, se non fosse per la farsa successiva del taglio in spogliatoio.

Sin qui tutto rimane sempre relativo: come forthose, ci vedo ancora abbondanti differenze intrinseche col mondo del calcio.
Sotto questo profilo, più di questa storia (da stigmatizzare e colpire comunque) mi preoccupano le agonie esagerate dei mediani investiti in leggero ritardo dalla foga dei flanker per farlo espellere, o le balle inventate da Bastareaud per coprire chissa' che cosa.
Sono i piccoli segnali preoccupanti su cui intervenire fin che sono piccoli.


Interessante il ps di forthose.
Per esperienza riportata direttamente, so del boom del rugby a Roma in chiave snob, per differenziare i rampolli dal calcio frequentato dai figli dei borgatari e peggio. E' una ragione come un'altra beninteso, ma in tale ottica si spiega e anzi, diviene fondante il richiamo Cecinelliano alla "mistica" (che è una estetica avaloriale) romanzata falsa e mai esistita.

Che ci vuoi fare, solo in poche parti della Penisola (Nordest, Abruzzo, Bassa) regna il "tasi e tira" e poteva (ai tempi) svilupparsi un set valoriale anti estetico per definizione, fatto di fango, fatica e distinzione dei ruoli quasi Imperiale (che sarebbe la traduzione corretta della mentalità che ci hanno insegnato a definire spregiativamente "coloniale").

Abr ha detto...

Panta, la differenza nei vecchi tempi la faceva il giocare mettendoci la faccia, rispetto all'opinionismo dal di fuori.
Anch'io ricordo perfettamente le porcate sotto le mischie e in panchina, le manate in faccia e l'autentico odio razziale a tutti i livelli, ma il bello era che per motivi ignoti a chi non ha provato, sia pur per poco e a qualsiasi livello, rimaneva sempre tutto in campo.
La spiegazione che mi son sempre dato è analoga a quella di Panta.
L'avvento del prof. come sempre ha dei pro e dei contro, tutto sta a valutare il bilancio.

Uno dei rischi insiti è la trasformazione (inevitabile anch'essa) del tifoso da ex giocatore (a qualsiasi livello) a tifoso e basta, col rischio di bandieroni e derive calcistiche.
Ma tant'è, oasi di illibatezza, pur con tutti i distinguo del caso, non ce ne sono più nemmeno negli scacchi.

Anonimo ha detto...

Aggiungerei, abr, che il rugby è considerato sport snob anche nel suo paese natale.
La working class gioca a football, mentre sir Wilko e i suoi compagni di università d'elite giocano a rugby.
Per non dire del Sudafrica dove, più che distinzione di classe, ce n'è (ce n'era?) di razza.
Panta, a dire il vero io - pur avendo sembre imprecato contro le telecronache del Cecio - considero il tentativo fatto da La7 molto positivo. Nelle intenzioni almeno. Il dispiegamento di mezzi che mettevano in campo durante il 6N era enorme. Dei pre-partita come i loro quasi non li fa la RAI durante i mondiali di calcio!
Poi sul risultato e sul "miele" nulla da dire. Hai ragione! :-)

ringo ha detto...

Intervengo solo per ringraziare i nostri lettori per il dibattito. Pacato, educato, ma non per questo senza placcaggi. Bene, anzi benissimo. Offro un giro di birra scura a tutti.

Abr ha detto...

.. ne approfitterò!

Forthose, Nial Ferguson sostiene che gli sport di squadra costituivano un elemento fondamentale dell'Impero Britannico (il più esteso di tutti i tempi, va ricordato).
In Sudafrica il rugby è sicuramente lo strumento dell'unione tra anglosassoni e boeri, e non si creda sia stato semplice arrivarci, come il cricket lo fu tra bianchi e indiani, o lo è tra indiani e poakistani.

In Inghilterra gli sport con contenuto "educativo" come il rugby si basano nelle scuole, giocoforza che il rugby risulti più che snob, "alto" rispetto al calcio e altri "giochi- Il rugbyxiii stesso nasce quasi per reazione nel Nord industriale a questo status "alto" dello union.

In Francia e in Italia è diverso: aldilà delle origini nel ventennio, quando bastava facessero sport e andava bene sempre e ovunque, e aldilàa delle capitali (stesso motivo), la base è territoriale: come dicevo sopra, il rugby si afferma soprattutto dove si "adatta" meglio la sua mentalità.
Bello, facciamo filologia!

Nicola ha detto...

Niente male "Impero" eh? Essendomi laureato con una tesi di storia economica ti lascio immaginare quanto l'ho apprezzato.

Abr ha detto...

Grandissimo libro Nicola, denso di lezioni e paralleli sulle contraddizioni riportabili all'oggi: Stanley & missionari come le ONG, free trade uguale no war non è detto, democrazia & schiavismo etc.etc.

Oltre all'interesse storico del disvelamento di come nasce l'Impero britannico e alla fine ciò che chiamiamo la civiltà occidentale stessa. Altro che "colonialismo" e relativi risarcimenti danni!
a frase chiave del libro: come sarebbe oggi il mondo e l'Africa stessa, per non dire l'India, se non ci fosse stato l'Impero? Meglio o peggio?
Sicuramente peggio, non avremmo il rugby australe! :)

tagus ha detto...

i agree abr: il rugby in inghilterra,ma pure altrove, ad esempio fra l'alta borghesia argentina,è apprezzato per la sua valenza educativa,dove per educazione si intende fra le altre cose,anche acquisizione di una certa consuetudine al combattimento.
nel '93 fui invitato dai ragazzi del sondrio ad un paio di partite in scozia,era la mia prima esperienza oltremanica,e ricordo che arrivati al campo un'oretta prima della partita i nostri avversari, che fino alle 3 della notte precedente si erano fraternamente piegati di bitter insieme a noi,ci accolsero con un saluto tiepido quasi al limite dello scostante:erano già in clima da battaglia.
questo atteggiamento in inghilterra si sublima e fa il paio con i famosi primi 20 minuti delle squadre inglesi sul loro campo(che ha come gradevole rovescio della medaglia il fatto che se tieni botta, può capitare poi negli ultimi minuti di dover evitare più degli avversari le loro lingue striscianti sul terreno).
ad ogni buon conto temo di dover iniziare a dare un taglio meno vintage ai miei post,in effetti a 41 anni sto assumendo una posa da grande vecchio che manco il numero uno del gruppo tnt.
tornando a bomba sono convinto anch'io che il rugby alla fine uscirà da questo guado e delle mie previsioni potete fidarvi:fui io nell' ottobre del '29 a rassicurare tutti sul fatto che non ci sarebbe stato nessun crack azionario

Abr ha detto...

Grande tagus, tra il tuo atteggiamento filologico vintage e il mio "didascalico", ci siamo ritagliati la nostra riserva indiana e non ti preoccupare che qui non si scoccia nessuno, sempre che qualcuno non tiri in ballo Scanavacca!

L'atteggiamento inglese che ben descrivi è il contraltare inevitabile (e per certi versi auspicabile) del "far rimanere le cose del campo in campo" che dicevo io.

Quanto all'età, non biasimarti troppo, c'è anche chi, tra noi, voleva espellere mr.Webb Ellis quella volta che a Rugby, England, raccolse la palla con le mani ...

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