giovedì 25 marzo 2010

In Galles più che Blair, ha potuto il rugby

Che trionfi o faccia brutte figure, la nazionale di rugby del Galles compie un’operazione sociale non da poco: unisce attorno a sé l’intera regione, abbattendo le barriere tra la classe operaia e quella manageriale. Non si tratta solo di un quadro allegorico, ma di una scienza ben precisa al punto che sul tema è stato inaugurato un nuovo corso e pubblicato un libro da parte della Open University sulla Storia contemporanea del Galles.

Dal pub al circolo, passando per una grigliata nel giardino di casa, nelle scorse settimane tutti hanno affrontato temi come le difficoltà della difesa del XV di Gatland, i diversi ruoli che James Hook potrebbe ricoprire, il logoramento fisico di alcune pedine importanti per questo gruppo e così via. Durante il 6 Nations, l’audience televisiva in occasione dei match dei red dragons ha raggiunto quota 60%.

Devolution - Il Galles dal 1997 ha una propria assemblea rappresentativa che sorge a pochi passi dalla Opera House di Cardiff, nell’area del porto interamente riqualificata. È l’effetto più tangibile della devolution portata avanti anche in Scozia dal New Labour di Tony Blair, anche se la percezione dell’opinione pubblica è stata ed è ben diversa da quella scozzese: i “sì” al referendum di tredici anni fa ottennero una risicata maggioranza e nel 1979 addirittura la proposta di un’assemblea autonoma venne sonoramente bocciata. Perché non è tanto la politica che fa la differenza, quanto lo sport: attorno alla nazionale di rugby il Galles si sente un’entità ben diversa dal resto della Gran Bretagna, in particolare dall’Inghilterra. Non è un caso che il derby con gli uomini dalla rosa sul petto sia molto sentito, sia che si tratti di giocare con un pallone ovale che con quello rotondo del calcio.

Tradizionalmente, il rugby è stato elemento di identificazione usato con sapiente regia dai laburisti gallesi: nel 2005 l’allora coach della nazionale Mike Ruddock era presente al lancio del programma per le elezioni generali. Oggi la musica è però cambiata, il rugby è diventato ufficialmente un fattore trasversale che riguarda i Lib-Dems, i Conservatori e, ovviamente, il Plaid Cymru, il partito nazionalista che ha numeri ben inferiori allo Scottish National Party.

Nord e Sud - Nell’era industriale, riporta la ricerca della Open University, i gallesi si radunavano attorno alle loro chiese, ai sindacati e, soprattutto nel South Wales, ai club di rugby. Una vera e propria militanza che consisteva in un forte senso di lealtà per la squadra locale e un’accesa rivalità verso le altre: oggi la nazionale fa da collante. Nel Nord il clima era diverso: data anche la vicinanza geografica con alcuni grandi società come il Liverpool o il Manchester United, era soprattutto il calcio ad essere maggiormente diffuso. Lo è ancora oggi, ma la nazionale di rugby ha trovato più spazio.

"Arms Park Nationalism" - Cambiamenti sociali, dunque. E cambiamenti sportivi: l’avvento del professionismo e della commercializzazione del prodotto hanno permesso al rugby di entrare a piedi uniti negli ambienti più alti della società. Così mentre le fasce più povere, di fronte ai biglietti sempre più cari, si danno appuntamento nei pub per guardare in Galles in televisione, quelle più abbienti o comunque medio borghesi, hanno occupato sempre più posti al Millennium Stadium. Nonostante il lievitare dei prezzi, persiste tuttavia quel fenomeno che lo storico KO Morgan ha definito “Arms Park Nationalism”: l’identità nazionale dell’Arms Park, il vecchio stadio che ha ceduto il posto al modernissimo Millennium (un Arms Park esiste ancora, accanto al nuovo impianto: è lo stadio dei Cardiff Blues).

In the Valley - In questo contesto, un ultimo fattore da prendere in considerazione: la lingua. Nel Nord/Ovest del regno, la politica si rivolge ai cittadini preferibilmente in gallese, creando in certi casi due mondi paralleli tra chi vive nelle Valleys e chi nelle aree urbane dove si usa volentieri l’inglese, portando i primi a sentirsi esclusi. Ma il rugby non è una questione di accenti o di idiomi e così i due “fronti” si ritrovano uniti quando c’è da tifare per la nazionale.

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