Bilanci economici a proposito di 6 Nazioni
Business del rugby, Italia ancora fuori dalla mischia
di Dario Mazzocchi, Linkiesta
Nel calendario della palla ovale, il periodo a cavallo tra i mesi di gennaio e febbraio vuol dire Sei Nazioni, l’ultracentenario torneo di rugby nato nel 1883 come affare tra Inghilterra e Scozia e che in seguito ha allargato i confini, inglobando anche l’Italia a partire dal 2000. Nell’edizione di quest’anno, gli Azzurri hanno debuttato oggi al Flaminio di Roma contro l’Irlanda, rimediando una sconfitta per 13 a 11 a due minuti dalla fine del match. L’Italia incontrerà ora Inghilterra, Galles, Francia e Scozia per mantenere viva una tradizione sportiva che, soprattutto con l’avvento del professionismo dal 1995, vuol dire anche soldi.
Il valore economico del torneo aggiornato al 2010 si aggira infatti attorno ai 465 milioni di euro, secondo uno studio condotto dal Centre for the international business of sport su mandato della Mastercard, partner finanziario del rugby, giusto per ribadire il concetto. A guidare la particolare classificata è stata l’Inghilterra con 97 milioni, seguita dall’Irlanda con 90,5 milioni, mentre al terzo posto si era piazzata la Francia, vincitrice del torneo, con quasi 90 milioni. A chiudere la graduatoria il Galles (80 milioni), Scozia (69) e l’Italia, staccata a 37,7 milioni di euro.
In questo scenario, si sono registrati 1 milione e 54mila spettatori negli stadi nel corso delle cinque giornate che scandiscono i giorni del calendario, con una media di 70.000 persone per match. Sono stati invece oltre 125 milioni i telespettatori, con una media di 8,3 milioni per partita.
C’è già chi ha fatto i conti per il 2011: in Irlanda si augurano che questo Six Nations possa valere qualcosa come 35 milioni di euro per l’economia di un Paese duramente colpito dalla crisi economica. I ristoratori, per esempio, potrebbero guadagnare fino a 9 milioni, mentre agli albergatori ne vengono assicurati dieci. Una festa che, purtroppo per loro, non dura tutto l’anno.
Qual è invece il vero peso dell’Italia? Mediaticamente, si può dire che gli Azzurri valgono 13 milioni di euro, quelli assicurati da Sky Sport per l’esclusiva nel triennio 2010-2013, mentre La7 nel periodo compreso tra il 2005 e il 2009 ne aveva spesi 6,5 per assicurarsi i diritti. Un peso non da poco se si pensa che la succursale italiana dell’impero di Rupert Murdoch paga più della Rte, la televisione pubblica irlandese. Ma c’è un altro lato della medaglia.
Perché se è vero che oltre 14 milioni di italiani si dichiarano interessati alla palla ovale, è altrettanto vero che questa è una cifra che sale in occasione degli eventi internazionali come il Sei Nazioni, ma che torna tremendamente nella norma quando si parla di campionati, nonostante l’ingresso a settembre di due squadre come Benetton Treviso e Montepaschi Aironi Viadana nella Magners League che racchiude franchigie gallesi, scozzesi e irlandesi. Mentre il Super 10, il campionato autoctono, è ridotto al semiprofessionismo.
Certi paragoni possono risultare azzardati, ma almeno servono a farsi un’idea della materia. Si calcola che una squadra come i London Harlequins che militano nella Premiership inglese, registrino entrate pare alle dieci milioni di sterline all’anno (11 milioni di euro): in percentuale gli Harlequins devono il 32% delle entrate ai biglietti venduti ai tifosi, l’11% da cibo e bibite (non dimentichiamoci che quando si parla di rugby, si parla anche di birra), il 6% dal merchandising. Il 51% dei costi è invece assorbito dalle spese legate a giocatori e staff atletico.
Sul versante italiano, è interessante quello che sta accadendo a Viadana, dove gli Aironi rappresentano l’unico caso di franchigia nei nostri confini, nata dal connubio mantovano-parmense lungo gli argini del Po.
Silvano Melegari, dal ruolo di presidente che copre, si è trovato nell’arco di poco tempo, da marzo a maggio 2010, a mettere insieme squadra e società. In un certo senso, a ripartire quasi da zero perché lo scenario stava per cambiare, passando dal Super 10 italiano alla Celtic League.
«La condivisione non è stata subito facile per via del poco tempo a disposizione per organizzarci», racconta oggi, «pur partendo dal know how degli ultimi vent’anni». Alla fine gli Aironi hanno spiccato il volo, con un budget di 7.500.000 di euro, le cui voci hanno un peso decisamente diverso rispetto al caso d’Oltremanica. Il 65% dei ricavi arriva da sponsor e pubblicità, solo il 5% da incassi e abbonamenti. Un altro 5% giunge dal merchandising. Il 65% dei costi invece viene assorbito dal personale. La media degli spettatori allo stadio Zaffanella nel frattempo si è consolidata attorno alle 3.500 unità, in linea con quelli di Glasgow ed Edimburgo, due realtà ben più consolidate e con un bacino d’utenza più ampio.
«La sfida più grande è quella del primo anno», dichiara Melegari, ricordando più volte i tempi stretti nei quali si è dovuta costruire una squadra «con il mercato chiuso, molti contratti già sistemati e l’opera per convincere alcuni giocatori della nazionale appartenenti a club esteri».
Dati alla mano, sarebbe quindi buona cosa adottare il classico atteggiamento low profile, tanto sul campo quanto nel biglietto da visita, evitando di pretendere troppo perché di strada da fare ce n’è ancora tanta, in Italia.
di Dario Mazzocchi, Linkiesta
Nel calendario della palla ovale, il periodo a cavallo tra i mesi di gennaio e febbraio vuol dire Sei Nazioni, l’ultracentenario torneo di rugby nato nel 1883 come affare tra Inghilterra e Scozia e che in seguito ha allargato i confini, inglobando anche l’Italia a partire dal 2000. Nell’edizione di quest’anno, gli Azzurri hanno debuttato oggi al Flaminio di Roma contro l’Irlanda, rimediando una sconfitta per 13 a 11 a due minuti dalla fine del match. L’Italia incontrerà ora Inghilterra, Galles, Francia e Scozia per mantenere viva una tradizione sportiva che, soprattutto con l’avvento del professionismo dal 1995, vuol dire anche soldi.
Il valore economico del torneo aggiornato al 2010 si aggira infatti attorno ai 465 milioni di euro, secondo uno studio condotto dal Centre for the international business of sport su mandato della Mastercard, partner finanziario del rugby, giusto per ribadire il concetto. A guidare la particolare classificata è stata l’Inghilterra con 97 milioni, seguita dall’Irlanda con 90,5 milioni, mentre al terzo posto si era piazzata la Francia, vincitrice del torneo, con quasi 90 milioni. A chiudere la graduatoria il Galles (80 milioni), Scozia (69) e l’Italia, staccata a 37,7 milioni di euro.
In questo scenario, si sono registrati 1 milione e 54mila spettatori negli stadi nel corso delle cinque giornate che scandiscono i giorni del calendario, con una media di 70.000 persone per match. Sono stati invece oltre 125 milioni i telespettatori, con una media di 8,3 milioni per partita.
C’è già chi ha fatto i conti per il 2011: in Irlanda si augurano che questo Six Nations possa valere qualcosa come 35 milioni di euro per l’economia di un Paese duramente colpito dalla crisi economica. I ristoratori, per esempio, potrebbero guadagnare fino a 9 milioni, mentre agli albergatori ne vengono assicurati dieci. Una festa che, purtroppo per loro, non dura tutto l’anno.
Qual è invece il vero peso dell’Italia? Mediaticamente, si può dire che gli Azzurri valgono 13 milioni di euro, quelli assicurati da Sky Sport per l’esclusiva nel triennio 2010-2013, mentre La7 nel periodo compreso tra il 2005 e il 2009 ne aveva spesi 6,5 per assicurarsi i diritti. Un peso non da poco se si pensa che la succursale italiana dell’impero di Rupert Murdoch paga più della Rte, la televisione pubblica irlandese. Ma c’è un altro lato della medaglia.
Perché se è vero che oltre 14 milioni di italiani si dichiarano interessati alla palla ovale, è altrettanto vero che questa è una cifra che sale in occasione degli eventi internazionali come il Sei Nazioni, ma che torna tremendamente nella norma quando si parla di campionati, nonostante l’ingresso a settembre di due squadre come Benetton Treviso e Montepaschi Aironi Viadana nella Magners League che racchiude franchigie gallesi, scozzesi e irlandesi. Mentre il Super 10, il campionato autoctono, è ridotto al semiprofessionismo.
Certi paragoni possono risultare azzardati, ma almeno servono a farsi un’idea della materia. Si calcola che una squadra come i London Harlequins che militano nella Premiership inglese, registrino entrate pare alle dieci milioni di sterline all’anno (11 milioni di euro): in percentuale gli Harlequins devono il 32% delle entrate ai biglietti venduti ai tifosi, l’11% da cibo e bibite (non dimentichiamoci che quando si parla di rugby, si parla anche di birra), il 6% dal merchandising. Il 51% dei costi è invece assorbito dalle spese legate a giocatori e staff atletico.
Sul versante italiano, è interessante quello che sta accadendo a Viadana, dove gli Aironi rappresentano l’unico caso di franchigia nei nostri confini, nata dal connubio mantovano-parmense lungo gli argini del Po.
Silvano Melegari, dal ruolo di presidente che copre, si è trovato nell’arco di poco tempo, da marzo a maggio 2010, a mettere insieme squadra e società. In un certo senso, a ripartire quasi da zero perché lo scenario stava per cambiare, passando dal Super 10 italiano alla Celtic League.
«La condivisione non è stata subito facile per via del poco tempo a disposizione per organizzarci», racconta oggi, «pur partendo dal know how degli ultimi vent’anni». Alla fine gli Aironi hanno spiccato il volo, con un budget di 7.500.000 di euro, le cui voci hanno un peso decisamente diverso rispetto al caso d’Oltremanica. Il 65% dei ricavi arriva da sponsor e pubblicità, solo il 5% da incassi e abbonamenti. Un altro 5% giunge dal merchandising. Il 65% dei costi invece viene assorbito dal personale. La media degli spettatori allo stadio Zaffanella nel frattempo si è consolidata attorno alle 3.500 unità, in linea con quelli di Glasgow ed Edimburgo, due realtà ben più consolidate e con un bacino d’utenza più ampio.
«La sfida più grande è quella del primo anno», dichiara Melegari, ricordando più volte i tempi stretti nei quali si è dovuta costruire una squadra «con il mercato chiuso, molti contratti già sistemati e l’opera per convincere alcuni giocatori della nazionale appartenenti a club esteri».
Dati alla mano, sarebbe quindi buona cosa adottare il classico atteggiamento low profile, tanto sul campo quanto nel biglietto da visita, evitando di pretendere troppo perché di strada da fare ce n’è ancora tanta, in Italia.
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