Galles - Australia, l'allievo e il maestro
Cardiff, Millennium Stadium: Wales 16 - 25 Australia
Wales: James Hook; Will Harries, Tom Shanklin, Andrew Bishop, Shane Williams; Stephen Jones, Mike Phillips; Jonathan Thomas, Sam Warburton, Dan Lydiate; Alun-Wyn Jones, Bradley Davies; Adam Jones, Matthew Rees (capt), Gethin Jenkins
Replacements: Huw Bennett, Paul James, Deiniol Jones, Martyn Williams, Richie Rees, Dan Biggar, Chris Czekaj
Australia: Kurtley Beale; James O’Connor, Adam Ashley-Cooper, Matt Giteau, Drew Mitchell; Quade Cooper, Will Genia; Ben McCalman, David Pocock, Rocky Elsom (capt); Nathan Sharpe, Mark Chisholm; Ben Alexander, Stephen Moore, Benn Robinson
Replacements: Saia Faingaa, James Slipper, Dean Mumm, Richard Brown, Luke Burgess, Berrick Barnes, Lachie Turner
Ci sono delle evidenti analogie ad accomunare le prestazioni delle rappresentative Britanniche andate in onda nel primo sabato di Test Match, non solo nel punteggio finale o nella grinta dimostrata: la principale è l'assenza di automatismi, con la conseguente inevitabile pena di fronte a compagini più che rodate dallo stadio più avanzato della loro stagione e dalla mentalità con cui vengono allestite; come se non bastasse, dotate oltretutto di individualità mediamente superiori ruolo per ruolo, reparto per reparto, rispetto a quelle schierabili attualmente dai Boreali.
Vale anche per il Galles, il quale rispetto alle altre Britanniche ha la scusante delle numerose assenze, ma ha il torto di provare a imitare i maestri nel tipo di gioco che vorrebbe applicare, facendo la inevitabile figura di quelli che arrancano. Non li aiuta, va detto, la giornata non positiva del loro piazzatore solitamente molto affidabile.
Stessi limiti degli inglesi con gli All Blacks: se i Bianchi con la Rosa dei Lancaster han portato la sfida sul breakdown, trovandosi a giocare la partita preferita da McCaw & compagni, i Dragoni invece han provato a mettere in movimento la cavalleria, ma con i Wallabies sempre più confidenti e "assestati" di questi tempi, proprio non ce n'è. Non si tratta di mera presunzione Boreale, chiariamolo: sono piuttosto i limiti dei rispettivi movimenti, accentuati dalle idiosincrasie dei coach Martin Johnson e Gatland.
Eppure, nel caso in questione, i Wallabies continuano a mostrare i loro classici limiti - spreco di possessi e mischia ordinata - ma i Gallesi nella loro mono-dimensionalità ne approfittano too little, too late. Una lezione interessante per gli Azzurri, alle prese ora e ai Mondiali con questa Southern Force impressionante. Ma procediamo con ordine.
La cronaca - Marcature aperte da Stephen Jones dopo soli due minuti dalla piazzola, ma sono i Wallabies a dominare la scena: prima sventano le timide iniziative dei padroni di casa iniziando la saga degli ovali rubati in ruck da un Pocock sempre più sulle tracce di McCaw in termini di spettacolare efficacia in campo. Gli Australiani operano i primi break con la cavalleria leggera arretrata, per poi affidarsi al pack veloce e potente in fase aperta. Al sesto minuto il rhodesiano di nascita Pocock si propone a Genia a fianco di una ruck a due metri dalla linea di meta che ha assorbito troppi avanti Rossi, sfrutta la finta del mediano che attira Shanklin e sfonda quasi intonso vicino al pole destro, è 3-7 dopo la facile trasformazione di O'Connor, ventenne con già 24 caps in nazionale (il quale piazza con stile simile a quello di Stephen Jones, calciando di collo "a gamba diritta" e non a giro di esterno come i suoi imprecisi colleghi Giteau, Cooper e Beale, dai quali ha ereditato per disperazione il duty dei piazzati).
Se con la Nuova Zelanda il pack Wallabies aveva retto per almeno mezz'ora in mischia ordinata, qui c'è Adam Jones nella posizione tight davanti, e in venti minuti è già buio notte per gli Australi: la cosa produce molti possessi per i gallesi, che però sono incapaci di sfruttarli come si dovrebbe per i motivi già detti. Per Phillips in mediana è la scusa buona per prodursi in una serie di iniziative individuali spesso velleitarie. Demeriti di tutti, a partire dall'esordiente Walburton, un openside oggi troppo irruente e falloso, forse tradito dall'emozione del confronto impari con Pocock.
Credito va dato alla difesa in fase aperta dei Wallabies: implacabile, con Pocock e McCalman in evidenza; persino Quade Cooper, criticato per la sua sinora ridicola media di quasi 50% di placcaggi falliti, ha trovato un suo modo di rendersi utile: punta regolarmente a strappar palla di mano dall'avversario prima che cada a terra, rubando così diversi possessi. Cooper che incanta ovale in mano con la fantasia, abilità e colpo d'occhio che ricorda il miglior Carlos Spencer senza i narcisismi più estremi (anche se a volte manco i compagni riescono a interpretarlo: ad esempio nel caso di un suo preciso sottomano nel traffico, rimbalzato sul petto di Ashley Cooper che mai se l'aspettava).
Sia come sia, i Dragoni detengono un po' più di possesso e ogni tanto riescono a pervenire nel territorio giusto: alla mezz'ora St. Jones centra la seconda penalità dopo averne sbagliata una non impossibile, portando i suoi sul 6-7, ma fallisce ancora la punizione del sorpasso subito prima dell'intervallo: primo tempo col 50% al piede, decisamente fallimentare per il solitamente preciso calciatore di Llanelli.
Secondo tempo da intitolare alla "cavalleria leggera" dei Wallabies; detto dell'incantevole Cooper, non si può non menzionare le individualità di un reparto di backs meravigliosi, in cui il pur talentuoso Giteau scompare nell'anonimato e un Berrick Barnes rimane seduto in panca, assieme al mediano Burgess col ruolo quasi da closer designato del baseball a gestire l'ultimo quarto di gara, il che è tutto dire. C'è il il razzente James O'Connor, ventenne dalla personalità del campione, il solido Ashley Cooper riciclato nel ruolo che fu di Mortlock, pedina indispensabile, ha giocato tutte le ultime annate dei Wallabies in tutti i ruoli dietro, mancando solo un paio di gare; Drew Mitchell, la sicurezza, uno che non lo spingi fuori come un Hape qualsiasi, uno che non si fa saltare da ultimo uomo come un Aplon qualsiasi; dulcis in fundo, là in fondo ma non certo ultimo, Kurtley Beale dai progressi impressionanti negli ultimi quattro- sei mesi, giustamente Man of The Match.
Al 47' l'apoteosi del reparto: se attacchi i Wallabies, fai in modo di non perder palla altrimenti sono guai. Attacco gallese, turnover sulla linea dei 22m australiana, l'ovale finisce in mano a Will Genia, O'Connor è già in corsa lungo l'out destro e viene immediatamente servito trasformando l'azione da difensiva a offensiva, urlerebbe il cronista di calcio Sky; il ragazzo vola assorbendo Shane Williams e James Hook schierato estremo e apre al sostegno di Beale col corretto timing per mandarlo in meta. Una di quelle mete da 70 metri in prima fase che solitamente le Grandi segnano alle Italie: qui la difesa in scrambling c'è e non con sprovveduti, ma la tecnica e le doti atletiche di questi ragazzi in gialloverde rendono tutto così apparentemente facile e lineare.
I gallesi rimangono aggrappati alla partita con un piazzato di Jones per il 9-14, quando Beale ribadisce di cosa stiamo parlando con una quasi meta da ooohhh: pressa, recupera palla, scavalca Phillips col un chip, riprende il suo calcio e ricalcia subito, stavolta basso a fregare Hook, se la riprende ancora ma perde il controllo della palla quando sta già rotolando sul palo.
Non ci sono dubbi su chi ha in mano il pallino della gara: all'ora di gioco, attacco avvolgente veloce dei Wallabies che, rubata l'ennesima palla, prima esplorano il lato sinistro con Drew Mitchell su cui rimbalzano un paio di difensori; riciclo a Cooper che apre lungo e preciso sul lato opposto a O'Connor, che ancora sfutta da maestro il sostegno, stavolta del pilone Alexander, il più in crisi della sua prima linea continuamente messa sotto dai Dragoni. O'Connor manca la trasformazione angolata ma poco dopo centra il penalty derivante dal giallo per il fallo da ultimo uomo si direbbe nel calcio, di Shanklin su Pocock, portando gli ospiti avanti 22-9.
Gatland cambia tutta la mediana, inserendo Biggar e Richie Rees con precise istruzioni. Da quest'ultimo arriva la meta di consolazione al 70' alla fine di un periodo di prolungata pressione del reparto avanti, che finalmente trova la maniera di sfruttare come dovrebbe la superiorità in mischia ordinata; è 16-22, under break, ma poco dopo O'Connor riporta le distanze a un più corretto 25-16 per quel che s'è visto in campo.
Dragoni vicini per gran parte della gara, ma l'impressione anche per loro come per gli inglesi è che si tratti di mestiere e risorse nervose: la superiorità dei Wallabies a tratti pare imbarazzante, da maestri (ventenni) nei confronti di allievi (da scuola serale?). Si giustificano anche come detto con la squadra rimaneggiata, ma rimane la prova opaca della mediana e lo "schiacciamento" di Shane Williams, James Hook, Shanklin, Bishop, Lidyate, Jonathan Thomas e Sam Walburton fino all'irrilevanza nel confronto coi pari ruolo avversari. Nota positiva per una delle migliori prime linee del mondo, che va oltre Adam Jones e con Gethyn Jenkins e il neo-capitano Matthew Rees si distingue anche in fase aperta (Jenkins attua più grillotalpa di Walburton).
Di lodi sperticate (e meritate) alla squadra giovane di Robbie Deans ne abbiamo già fatte a sufficienza nel corso del post: ribadiamo quanto andiamo scrivendo da prima del TriNations, sono sempre più la prima candidata a sfidare i favoriti All Blacks in Nuova Zelanda 2011. Va sottolineato che hanno dominato la gara ma non le statistiche: continuano a perdere molti ovali facendo più errori degli avversari. Ma il tutto viene assorbito nelle quantità e nelle capacità di recupero del possesso, di sfruttamento dei rovesciamenti di fronte, nella unicità nel saper allargare rapidamente il gioco.
I Wallabies di fatto sono ben più che dei favolosi trequarti come qualcuno afferma: la terza linea Elsom-Pockock-McCalman rivaleggia con quella All Blacks, la seconda Sharpe-Chisolm è forse anche meglio. Se li affronti aperto non hai scampo, sono i re del "gioco rotto" e delle prime/seconde fasi, ma anche se ci provi col pick and go o con le percussioni, rischi di perdere il conto degli ovali che ti rubano o ti strappano di mano.
Cari Azzurri, prossimi a passare l'esame Australe non certo da legittimi allievi come i gallesi ma diciamo più stile "privatisti": con questi qui volare basso, no tentativi di cosiddetto "bel gioco". Bisognerebbe Mallett avesse l'impopolare coraggio di mettere in campo una squadra bien serrè "alla basco-catalana", passiva, tanti calci alti di McLean in attesa dei loro errori, con una prima linea rullo compressore e un bouteur infallibile (ah, avercelo). Non per caso con loro abbiamo fatto sempre ragionevoli buone figure pur senza mai vincere, quando giocavamo pieni di complessi di inferiorità.
A proposito di Italia, off topic cogliamo l'occasione per una doverosa e opportuna rettifica: il Presidente Dondi aveva effettivamente dichiarato che di mercato allenatori per la Nazionale si parlerà da dicembre, ma nella sua dichiarazione, finalmente vista nella sua completezza ieri su Sky, faceva chiaramente riferimento a un eventuale (e improbabile, aggiungiamo) rinnovo di Mallett per il dopo Mondiale 2011. Ci scusiamo per la negligenza e per quanto in seguito "ricamatoci sopra": pur standoci attenti, alla fine ogni tanto cadiamo anche noi nei difetti dei giornalai. Ma ci differenziamo essendo sempre pronti a fare pubblica ammenda, se capita.
3 commenti:
Le magliette football style del Galles non si possono vedere...
(il Socio, quando va male ai Dragoni, mette a fuoco solo i contorni ....) :)
Noi aspettiamo al varco i neozelandesi... Ho detto noi? Opsss ;)
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