E' una questione d'immagine. Ma non solo
Potremmo metterla giù in questo modo: "It's the end of the game as we know it?". I tempi cambiano, la gente si adegua e gli indizi non mancano. Basta dare un'occhiata ad alcuni gesti di alcune partite dello scorso week end: giocatori che parlano troppo, giocatori che dopo il fischio arbitrale continuano nell'azione, ma non per inerzia quanto piuttosto per dispetto, allontanando il pallone una volta arrestata la corsa con un pedata gratuita, giocatori che si sbracciano per sottolineare un fallo o un comportamento poco sportivo. Le telecamere a bordo campo evidenziano il tutto, la stampa ne parla e le querelle tengono banco per qualche ora: per fortuna non per tutta la settimana, come ci insegna tristemente il calcio.
Il rugby, appunto, starà mica diventando come il football? No, tendiamo a tranquillizzare gli animi perché comunque siamo di fronte a due mentalità e tipi di gioco molto diversi tra di loro e nonostante alcuni eventi mondani come il matrimonio tra il trequarti campione del mondo inglese Mike Tindall e Zara Phillips, nipote della regina: siamo ben lontani dalle luci della ribalta. Certo rimane il fatto che negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla stesura di nuovi capitoli della palla ovale. E non c'entrano le trovare di marketing del proprietario dello Stade Francais, quel Max Guazzini che mostra estro e genialità dal momento che lui quello deve fare, vendere il prodotto nel quale investe denaro e tempo. Sarebbe strano non lo facesse. Più che altro c'è un'altra squadra della quale abbiamo già parlato e sulla quale ritorniamo, i London Saracens, che hanno nel loro coach, il sudafricano Brendan Venter, un marchio da esportazione.
Evitando accuratamente di tirare in ballo Josè Mourinho, Venter ha sfrontatezza e un dna politicamente scorretto che lo hanno messo nei guai "giudiziari" più volte. A maggio non poteva essere a Twickenham per la finale della Premiership tra Sarries e Leicester Tigers a causa di uno scazzo in tribuna contro i Northampton Saints nei riguardi di una spettatrice. Settimana scorsa ha protestato a suo modo contro la European Rugby Cup per le scelte arbitrali - un malumore diffuso in tutto l'ambiente europeo, mica solo nel club londinese. E così, nella perfida Albione, hanno provato a trovare un paragone e lo hanno pescato in Graham Taylor, ex manager dell'Inghilterra di calcio tra il 1990 e il 1993, uno che con i media ingaggiò battaglia da subito, a causa dei risultati della sua nazionale. Taylor è figlio di un cronista sportivo per lo Scunthorpe Evening Standard ed è cresciuto guardando le partite dalla tribuna stampa: lì ha capito come gira il mondo dell'informazione. E in particolare come ragionano i giornalisti. Per fare un esempio dei giorni nostri, Ivan Zazzaroni commenta la scomparsa del ct Enzo Bearzot scrivendo su Libero che il friulano badava sì alle marcature e alla difesa, ma affidava a Gaetano Scirea e Antonio Cabrini il compito di lanciarsi in avanti. Chiunque ne capisca un 5% di balun, intuisce che a un qualsiasi libero e terzino tocca fare anche quello in campo. Dicesi: alzare il baricentro della squadra.
Ecco, Taylor aveva imparato questo genere di cose, frequentando alcuni pennivendoli. Tornando a Venter, il suo boss è tale Ed Griffiths, che in Sud Africa ha lavorato per quotidiani, magazine e televisioni, seguendo la World Cup del 1995. Sorge allora non un dubbio, ma una conclusione logica: il caro Venter può contare su uno spin doctor, quelli che nella politica si muovono dietro le quinte per rendere il più cool possibile l'immagine dei candidati per i quali lavorano.
La coppia Venter-Griffiths sa come gira il mondo della stampa e ne approfitta. Anche questa cosa è un segno dei tempi che sono radicalmente cambiati. Se in Nuova Zelanda la federazione chiede ai cronisti di collaborare con gli All Blacks, evitando di sottoporli ad inutili pressioni alla vigilia di un anno cruciale, nell'Emisfero Nord i Saracens sono gli ambasciatori di un nuovo atteggiamento che contrasta con la compostezza delle Unions di quassù.
E' pur sempre una questione di immagine, anche quando si tratta di fare gli scontrosi, i fastidiosi, gli antipatici. Sotto sotto, Venter alza il sopracciglio e apre parole per dare forma alle lamentele di molti addetti ai lavori e non è un caso che nella maggior parte dei casi, sia alle prese con polemiche sui metri di giudizio arbitrarli, una costante delle ultime competizioni. Tanto che quando arrivano i Test Match o i Mondiali, l'argomento si trasforma nella big issue di turno: Sud contro Nord, gente nei raggruppamenti e mischie disordinate, uomini che non si levano dopo aver placcato e mani a caccia di palloni nelle ruck già formate. E la linea del fuorigioco che non si sa mai in che punto venga tracciata.
Chiedetelo al coach degli Springboks Peter de Villiers. Ne sa qualcosa anche lui.
Il rugby, appunto, starà mica diventando come il football? No, tendiamo a tranquillizzare gli animi perché comunque siamo di fronte a due mentalità e tipi di gioco molto diversi tra di loro e nonostante alcuni eventi mondani come il matrimonio tra il trequarti campione del mondo inglese Mike Tindall e Zara Phillips, nipote della regina: siamo ben lontani dalle luci della ribalta. Certo rimane il fatto che negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla stesura di nuovi capitoli della palla ovale. E non c'entrano le trovare di marketing del proprietario dello Stade Francais, quel Max Guazzini che mostra estro e genialità dal momento che lui quello deve fare, vendere il prodotto nel quale investe denaro e tempo. Sarebbe strano non lo facesse. Più che altro c'è un'altra squadra della quale abbiamo già parlato e sulla quale ritorniamo, i London Saracens, che hanno nel loro coach, il sudafricano Brendan Venter, un marchio da esportazione.
Evitando accuratamente di tirare in ballo Josè Mourinho, Venter ha sfrontatezza e un dna politicamente scorretto che lo hanno messo nei guai "giudiziari" più volte. A maggio non poteva essere a Twickenham per la finale della Premiership tra Sarries e Leicester Tigers a causa di uno scazzo in tribuna contro i Northampton Saints nei riguardi di una spettatrice. Settimana scorsa ha protestato a suo modo contro la European Rugby Cup per le scelte arbitrali - un malumore diffuso in tutto l'ambiente europeo, mica solo nel club londinese. E così, nella perfida Albione, hanno provato a trovare un paragone e lo hanno pescato in Graham Taylor, ex manager dell'Inghilterra di calcio tra il 1990 e il 1993, uno che con i media ingaggiò battaglia da subito, a causa dei risultati della sua nazionale. Taylor è figlio di un cronista sportivo per lo Scunthorpe Evening Standard ed è cresciuto guardando le partite dalla tribuna stampa: lì ha capito come gira il mondo dell'informazione. E in particolare come ragionano i giornalisti. Per fare un esempio dei giorni nostri, Ivan Zazzaroni commenta la scomparsa del ct Enzo Bearzot scrivendo su Libero che il friulano badava sì alle marcature e alla difesa, ma affidava a Gaetano Scirea e Antonio Cabrini il compito di lanciarsi in avanti. Chiunque ne capisca un 5% di balun, intuisce che a un qualsiasi libero e terzino tocca fare anche quello in campo. Dicesi: alzare il baricentro della squadra.
Ecco, Taylor aveva imparato questo genere di cose, frequentando alcuni pennivendoli. Tornando a Venter, il suo boss è tale Ed Griffiths, che in Sud Africa ha lavorato per quotidiani, magazine e televisioni, seguendo la World Cup del 1995. Sorge allora non un dubbio, ma una conclusione logica: il caro Venter può contare su uno spin doctor, quelli che nella politica si muovono dietro le quinte per rendere il più cool possibile l'immagine dei candidati per i quali lavorano.
La coppia Venter-Griffiths sa come gira il mondo della stampa e ne approfitta. Anche questa cosa è un segno dei tempi che sono radicalmente cambiati. Se in Nuova Zelanda la federazione chiede ai cronisti di collaborare con gli All Blacks, evitando di sottoporli ad inutili pressioni alla vigilia di un anno cruciale, nell'Emisfero Nord i Saracens sono gli ambasciatori di un nuovo atteggiamento che contrasta con la compostezza delle Unions di quassù.
E' pur sempre una questione di immagine, anche quando si tratta di fare gli scontrosi, i fastidiosi, gli antipatici. Sotto sotto, Venter alza il sopracciglio e apre parole per dare forma alle lamentele di molti addetti ai lavori e non è un caso che nella maggior parte dei casi, sia alle prese con polemiche sui metri di giudizio arbitrarli, una costante delle ultime competizioni. Tanto che quando arrivano i Test Match o i Mondiali, l'argomento si trasforma nella big issue di turno: Sud contro Nord, gente nei raggruppamenti e mischie disordinate, uomini che non si levano dopo aver placcato e mani a caccia di palloni nelle ruck già formate. E la linea del fuorigioco che non si sa mai in che punto venga tracciata.
Chiedetelo al coach degli Springboks Peter de Villiers. Ne sa qualcosa anche lui.
2 commenti:
Penso che queste scenette di stampo calcistico si potrebbero ridurre se si evitasse accuratamente di intervistare giocatori e staff dopo le partite. Le dichiarazioni sono o polemiche o delle banalità, quando guardo una trasmissione è la parte che salto senza pensarci un solo secondo.
Dipende, Sebastiano: ovviamente dal tipo di domande che pone l'intervistatore. E' chiaro che se gli vai a rompere le scatole a caldo, il coach o il giocatore non farà nulla per nascondere una certa insofferenza, chiamiamola così. Se lo interroghi su aspetti della partita che vanno anche al di là del risultato, forse può andare diversamente. Ti porto un esempio pratico: quando eravamo a Viadana per Aironi-Biarritz, a Rowland Phillips ho chiesto quanto fosse soddisfatto dal fatto i suoi avessero tenuto testa ai francesi in mischia o nel breakdown, punti di forza del Biarritz. Una domanda che si può inoltrare anche se perdi, no?
Quanto al video ormai famoso di Venter: era programmato, nel senso che il manager inglese avrebbe tenuto lo stesso atteggiamento anche il giorno dopo. Era per sfottere la ERC che gli chiedeva maggiore collaborazione anche con i media.
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