martedì 29 marzo 2011

Ah i tempi delle ragazze, quelle vere ...


Brown Ribbon era il nastrino di una vecchia campagna contro l'ipocrisia "Politically Correct"; ora è il titolo della rubrica di RightRugby per le polemiche controcorrente. Una rubrica che non ha paura di rischiare tackle un po' alti o prese di posizione apparentemente imbarazzanti, come quella di Bakkies Botha su Jimmy Cowan nel logo. Del resto: "If you can't take a punch, you should play table tennis".
Stavolta la testa nel vespaio la infiliamo andando a ripescare una scorrettissima battuta che l’attore inglese Hugh Grant ha espresso nel corso della partita tra Inghilterra e Scozia nel 6 Nazioni da poco alle spalle.Intervistato dalla BBC mentre seguiva il match dalla tribuna di Twickenham, il protagonista di “Quattro matrimoni e un funerale” e “Notting Hill” ha ricordato i tempi in cui, da bravo inglese di buona famiglia, praticava la nobile arte del rugby a scuola, dove apprese che “fa molto meno male placcare l’avversario duramente, piuttosto che come una checca”.
Magari si stava riferendo proprio alla sfida in corso, nella quale gli inglesi non brillavano certo per concretezza difensiva. Horribile dictu, l’emittente pubblica britannica chiese immediatamente scusa a tutti gli ascoltatori, sia mai che qualcuno poteva rimanere offeso. Da Hugh Grant non è poi arrivata alcuna rettifica nè un passi indietro (meglio di no, visto il contesto?). Tant’è, ha sollevato il solito vespaio, soprattutto nella comunità mondiale gay e anche tra alcuni commentatori della palla ovale, anche tra i nostri confini.

C’è da comprenderli. Il rugby è uno dei pochi sport dove gli atleti e non solo (l'arbitro Nigel Owens) hanno avuto il coraggio di fare coming out, al punto che la storia del gallese Gareth Thomas sarà ben presto immortalato in una pellicola cinematografica con Mickey Rourke nel ruolo di protagonista. Pare logico: dopo il duro Clint Eastwood alle prese col mito di Nelson Mandela, meglio dare una spruzzatina di rosa, sia pur peloso, all’intero contesto per scacciare lo spettro dell’omofobia. Sia mai!
È scorsa un sacco di acqua sotto i ponti sulla Senna da quando l’istrionico Max Guazzinì (con l'accento sulla ì e quella vaga aria da personaggio de Il Vizietto), pàtron della squadra Stade Francais di Parigi, ha inaugurato il filone dei calendari dei “Dieux du Stade”, rugbisti ignudi in posa (quelli della sua squadra, alcuni dicono selezionati tenendo presente ANCHE questo "compito"), con tanti di quei muscoli guizzanti in mostra che occorre ripassare i manuali di anatomia per sapere se esistano proprio tutti per davvero. Basta digitare le magiche tre parole francesi su Google e si è invasi di immagini di machos depilatissimi che a stento coprono le zone pubiche. Il successo mediatico non si è fatto attendere, con gli ormoni del gentil sesso – in ogni senso – schizzati alle stelle. E se nell'Europa Continentale non è ancora del tutto "thumbs up" per le gentili signore/ine lasciarsi andare ad apprezzamenti pubblici su natiche e pettorali maschili (pubblici abbiamo detto, non tra di loro) o peggio appendersi il calendario nel cubicolo lavorativo o in cucina, lo stesso tabù non si applica certo alle più aperte "lei" nate "lui". Noi stessi, lo confessiamo, ne recuperammo qualche anteprima ai tempi da un sito molto queer e le pubblicammo in quello che è ancora oggi uno dei post più visitati di RR!
Si è accettato di tutto nel nome della "correttezza". Anche i fratelli Mauro e Mirco Bergamasco ospiti al Chiambretti Night, in una puntata dalla quale il rugby ne è uscito con le ossa rotte, perché infilato di forza nei cliché molto fashion e quindi molto gay friendly tipici della trasmissione, senza ovviamente chiarire in cambio nulla rispetto ai falsi clichè duri a morire (la differenza col League e violenze di gruppo su donne ad esempio). Mirco si è spogliato ancora a onor di telecamera lo scorso dicembre, in compagnia di Fabio Ongaro e Andrea Lo Cicero durante una trasmissione per raccogliere fondi da investire nella lotta all’Aids: nobile intento, siamo convinti che ad alcuni/e dei/delle contributori/ici non gliene fregasse molto della ricerca scientifica con tutti quei pettorali in bella mostra, ma tant'è. Nemmeno ai presenti, dato che se ne stavano tutti lì a ribadire tutti goduti, ma quanto saranno autoironici e spiritosi i rugbisti.

Stranamente invece, qualche settimana prima la solfa era diversa, si respirava aria di indignazione e protesta. Cos’era accaduto? La Federazione italiana aveva individuato in Melita Toniolo la madrina dei Test Match di novembre. Oddio, quella sciagurata fu fotografata con la maglia Azzurra dipinta sulle tettone, in slip e nient’altro. La Fir venne presa d’assalto su Facebook dai soliti reprobi, quelli che si vergognano sempre ma solo al posto degli altri, al grido “queste cose non si fanno”, “perché non le mamme dei piccoli rugbisti?”, “ma chi ha avuto quest’orribile idea?”. E avanti a giri su giri di correctness ; un altro caso di doppiopesismo, di incompreso anelito di "purezza" che sembra ultimamente animare il tagliano medio, purchè non si guardi tra le sue di mutande? Possiamo dire, osiamo, ci sbilanciamo: per fortuna che in giro c’è ancora qualche Hugh Grant che osa affermare la dura ma incontrovertibile verità: la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca.
Intendiamoci: non siamo omofobi, i "gai" li abbiamo sempre visti e trattati istintivamente come concorrenza in meno, qualche volta addirittura come prezioso ausilio e consigliori, nei confronti della eterna lotta per la impossibile comprensione del gentil sesso, finalizzata ad utilitaristica "conquista" (ebbene si, ci dichiariamo orgogliosamente proni ai disegni perversi, finalistici, senza cuore e razionalità di Madre Natura, noi). Domenico Dolce e soprattutto Stefano Gabbana ci stanno simpatici - tranne quando si fanno prendere dal sogno consumista di "far produrre" un figliolo tutto loro (ma questo è ben altro discorso, dannatamente più serio).
Non siamo nemmeno invidiosi di quei super atleti intenti a mettere in mostra l’armatura: fossimo rugbisti professionisti pure noi, ma per campare purtroppo facciamo altro. Tra l’altro, nell’ambiente girano certe battutine taglienti, del tipo che questi narcisi si mettano come mamma li ha fatti davanti allo specchio e gongolino nel valutare gli effetti dell’ultima sessione in palestra. Altri invece hanno confessato che non ce la facevano più a depilarsi regolarmente per essere prescelti alla posa dal Guazzinì, e come quello sia stato uno dei motivi che ha spinto qualcuno a lasciare la squadra parigina (non per Mirco Bergamasco).

Se con gli anni, come tutti abbiam dovuto fare i conti con una scala di valori che si è modificata e con delle richieste inclusive prettamente mediatiche e "marketing oriented", ciò non toglie che ci sentiamo ancora dei "resistenti" in un mondo orientato alla "correttezza" ma non per questo meno crudele e spietato di prima, solo più ipocrita. Anche il rugby "resiste", come noi: ha dovuto fare gli stessi conti, riuscendo ad adeguarsi ma anche a conservare la sua essenza. Lo spirito cameratesco ne fa sicuramente parte, intendendo quello degli spogliatoi, dell'inno, della Haka o tra una birra e l’altra nel Terzo Tempo.
Quelli che ritraggono il rugby indulgendo al romanticismo tra fango, sacrificio, sudore, sangue e niente lacrime ma poi alzano il ditino per dissociarsi da certe uscite da puttanieri alla Hugh Grant ?! Invece, diranno, come tutti sanno, nell'antica Grecia e pure a Roma ... Occhio se, mentre lo declamano, con noncuranza caleranno la mano sulle vostre spalle.

3 commenti:

Irish Boy ha detto...

Ringo, avrò letto un pò distrattamente ma non ho capito bene il nesso fra il caso Hugh Grant e il caso Toniolo. Mentre sul secondo sono daccordo con te riguardo al "doppiopesismo", il primo mi sembra una cosa diversa: una battuta che resta di cattivo gusto poiché in un intervista pubblica si è usata la parola "checca", un chiaro termine dispregiativo che lascia intendere che il nostro Hugh considera gli omosessuali come debosciati. Ci si può girare sopra quanto si vuole ma il senso è questo.
Continuo a credere che da parte di un personaggio pubblico ci debba essere un controllo ancora maggiore delle proprie dichiarazioni e atteggiamenti. Piaccia o no è come essere sotto una lente d'ingrandimento. Se non lo si accetta si evita di rilasciare dichiarazioni. Punto e basta. Troppo facile godere per essere sulla cersta dell'onda e parlare a ruota libera come si fosse al bar.

ringo ha detto...

E' una battuta politicamente scorretta, da "Brown Ribbon", per l'appunto. Usare la parola "checca" non mi pare sia contro la legge, casomai come dici tu di cattivo gusto, ma quella è appunto una questione di gusti sulla quale nemmeno stiamo a disquisire. Ma fare quelli scandalizzati, è ancor più di pessimo gusto. Quelli della BBC lo sanno chi è Hugh Grant: uno che lontani dagli schermi non ha mai mancato di sporcare il linguaggio politically correct.

Abr ha detto...

La mia opinione personale: la tua posizione Irish Boy, non farebbe una grinza - vivere in un modo più rispettoso del linguaggio e degli altri - se vivessimo su Marte.

Invece l'attacco all'uso della parolina un tempo innocua ancorchè un po' volgare usata da Hugh Grant, è contemporaneo allo stracciamento di vesti contro la repressione brutale dell'uso delle bestemmie in tv, solo per fare un esempio.

Della serie, siamo sempre al solito bacchettonismo IPOCRITA, solo con i conseguenti stracciamenti di vesti scandalizzate indirizzato su bersagli più politically correct, secondo l'epoca ele sensibilità. Nulla di nuovo sotto il sole, sempre in mano a Gran Sacerdoti tenutari del Giudizio Supreno su ciò che sia volgare o meno, siamo.
In tal senso la rivolta popolare contro le tette della Tonolo c'entra, eccome: è indicativa, e un segnale forte.

Ecco perchè siamo costretti a segnalare e rivendicare al "cacca cacca" di Hugh Grant il ruolo di PROVOCAZIONE (pensa te come siamo messi); un ruolo patetico e del quale faremmo volentieri a meno, se vivessimo su Marte e non tra neo-bacchettoni in perenne richiesta di compatimento peloso e capzioso, secondo i più puri dettami del chiagni e fotti.

Opinione personale, di uno che da tempo ha finito di credere al "progresso" e vede solo "corsi e ricorsi", tra furbacchionate, stracciamenti di vesti e "Che altro dobbiam sentire ancora?!".

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