sabato 11 giugno 2011

L'etica protestante e lo spirito del rugby

ItavNzlL'amico Carlo ci racconta il primo turno di Junior World Championship da un originale punto di vista. Che merita di essere letto.
 A volerla buttare sul credo, per una volta, dovremmo dire che sono i protestanti ad aver fatto da padrone nella prima giornata della Junior World Cup. I poveri cattolici di Italia, Irlanda e Argentina (c'è solo una felice eccezione, la Francia, che però – nella sua storia – non ha mancato di essere più volte, “protestando”, Gallicana) hanno dovuto soccombere alla potenza britannica e allo strapotere Baby(?) All Black.
Questione di Credo? E' certo che il rugby premia con i risultati chi si sacrifica in esso. E la Grande Bretagna sembra aver posto, nei suoi Domini, le condizioni per lo sviluppo di questo grande gioco, a guardare i risultati. Se andrà come il capitalismo, arriveremo anche noi nel G8, per il momento dobbiamo ancora lavorare, lavorare e lavorare. Partendo da dove?
In Italia siamo all'opposto della Nuova Zelanda sul mappamondo. E non solo sul mappamondo... Le basi, gli skills, quelle cose che da noi “si impareranno” (pare d'obbligo il riferimento alle parole dell'apertura airone Marshall), loro sembrano avercele già nel Dna.
E' questione di sistema, non solo di fisico. La Francia (anche l'Irlanda per un certo periodo, ma oggi è stata sconfitta e quindi la lascio là..), in questi anni, sembra essere l'unica “cattolica” ad aver capito quale potrebbe essere una “via latina al capitalismo”, e l'ha fatto senza porre limiti di altezza o peso (Elissalde, Clerc, Medard – i primi che mi vengono in mente – non sono bestioni eppure hanno fatto cose egregie). Sarà quindi un francese come Brunel, piuttosto che il “protestante” Mallet, che potrà meglio aiutare la nostra nazione in via di sviluppo? Staremo a vedere.


La prima giornata di questo Mondiale veneto ha visto delle vittorie nette: Australia su Tonga 54 a 7, Sud Africa su Scozia 33 a 0, Nuova Zelanda sull'Italia 64 a 7 e il Galles sull'Argentina 34 a 5, Francia su Fiji 24 a 12. Solo una partita è stata combattuta davvero, anche se la nazionale inglese, a mio parere, ha dato l'impressione per tutta la partita di poter fare bello e cattivo tempo: Inghilterra-Irlanda, conclusasi 33 a 25.
Proprio questa la partita che ho seguito con maggiore attenzione, grazie alla messa in onda Rai.
L'Inghilterra parte bene, con un gioco aggressivo in difesa, semplice e veloce in attacco. Vanno in meta quasi subito in prima fase con un'azione da mischia. Palla che dal mediano di mischia (mi sento di dire che i mediani di mischia, sia quello irlandese che quello inglese, erano dotati di un buonissimo passaggio) passa ai trequarti che non fanno un-incrocio-uno, passano velocemente la palla con un paio di “salti” e la palla arriva all'ala che schiaccia in meta alla bandierina. Semplicità disarmante, quella che – purtroppo – non vediamo mai dalle nostre parti. La nazionale inglese è dotata fisicamente e tecnicamente, ha un'apertura (Ford) dotata di un piedino fantasioso e telecomandato, sia dalla piazzola che in movimento, e due piloncini niente male. Gli irlandesi, invece, all'inizio sembrano buttati giù dal letto, stropicciati. Pian piano si riprendono: dopo aver regalato punizioni (piazzate) all'Inghilterra cominciano a farsi furbi, a guadagnare terreno e falli in zona buona, grazie anche ad una touche eccellente. Se in un primo momento l'Inghilterra si limita a rispedire indietro i folletti con il piede, mettendoli in difficoltà con sporadiche azioni prepotenti, l'Irlanda poi fa emergere il suo spirito “latino”: giocata dell'Inghilterra, Ford da 5 metri manda un grabber in area di meta, gara di velocità tra avversari, qualcuno schiaccia, gli inglesi esultano ma l'arbitro non ha nessun dubbio... ripartenza irlandese dai 22. Gli irlandesi vedono che c'è spazio, giocano veloce la ripartenza, Conway ripiglia, corre corre corre e schiaccia in meta. Robe da rimanerci secchi. Ma gli inglesi reagiscono, e gli irlandesi, praticamente perfetti fino ad allora in touche, perdono quella decisiva e regalano un pallone agli albionici che capitalizzano con una meta in poche rapide fasi. La partita rimarrà incerta fino alla fine, con l'emergere di alcune individualità, come l'estremo irlandese; ma non mi interessa la cronaca (giustamente interesserà magari a voi, ma ci sono altri che l'hanno già fatta): quello che mi preme è sottolineare il livello del rugby, del gioco basilare, quello che le individualità esaltano, ma che senza il collettivo non possono essere determinanti. E' il solido sistema di gioco che determina la fortuna di una o dell'altra squadra. La fortuna e il genio possono essere decisivi a volte, non sempre. 


La differenza “nelle basi” emerge ancor più nella nostra “disfatta di Monigo” contro i neozelandesi, una moderna Caporetto – peraltro ampiamente prevedibile e per questo non scioccante.
Gli Azzurri sembrano mancare nel placcaggio, nella tecnica. Contro hanno dei supereroi, è vero. Ma non è il gap fisico a fare sempre la differenza. L'apertura inglese, per fare un esempio, non è un armadio, eppure ha ben figurato nella sua partita.
Sono proprio le basi, lo “spirito di sacrificio”. Non che i nostri non si siano “immolati per la Patria”: hanno dato quello che hanno potuto. Deve far riflettere il sistema, ripeto ancora. Per entrare nel G8 del rugby serve una svolta di mentalità, dal minirugby alla dirigenza federale. Dalla speranza nel miracolo (il cui artefice dovrebbe essere il Mallet di turno) alla testa bassa e lavorare. Una cosa che nel nord-est abbiamo fatto, parlando di economia e imprese (il miracolo economico era frutto di sudore e sacrificio umani – per niente soprannaturali -, oltre che di circostanze favorevoli, senza dubbio). E che mi auguro si ripeterà un giorno – magari a livello nazionale stavolta – nel rugby.

16 commenti:

Abr ha detto...

Complimenti a Carlo per la disanima e i paralleli "alti", in linea col nostro approccio "narrativo-saggistico" e non cronachistico-gossipparo.

Riguardo ai francesi protestanti, good point: andrebbero ricordati tutti quegli UGONOTTI che, espulsi sotto il Re Sole, andarono a far le fortune del rugby e non solo sudafricano: i De Villiers, gli Olivier, i Duprè diventati Du Preez etc.etc....

Sugli Azzurrini, trovo che abbiano fatto con dedizione e convinzione, soprattutto senza arrendersi mai, quel che hanno potuto.
Il problema sono gli skills, certo, ma non tanto quelli individuali quando di insisme. Non li ho visti "puniti" su errori individuali, li ho visti non riuscire ad avanzare (se non con la solita mischia ordinata) nè in manovra nè in sfondamento.
E' la intensità, la velocità e le frequenze che sono palesemente su piani diversi. Questione "ambientale", che non si risolve portandone di più di giovani in Eccellenza: sarebbe come dire che i problemi del Terzo Mondo si risolvono consentendo ai loro "migliori" di emigrare ...

Abr ha detto...

Ah, dimenticavo: va segnalati gli oltre 5.000 spettatori a Monigo. Non so ma probabilmente è il record di ogni tempo per una partita Junior ...

Si, non parlerei di Caporetto visto che realisticamente la sfida non c'era proprio, con chi non perde da tre anni: tant'è che il pubblico ha capito e alla fine ha applaudito gli Azzurrini, convintamente.

for those... ha detto...

Sto guardando la differita di Galles-Argentina. A proposito di stazza fisica, vedo con enorme piacere che il mio idolo Shane è già stato rimpiazzato (seppure in diverso ruolo) da un altro piccoletto funambolico e divertente: Matthew Morgan.
E comunque bel gioco arioso e divertente questi baby gallesi!

for those... ha detto...

Non ho visto l'Italia ma la foto che avete messo è un po' impietosa:
un AB che corre vero la meta a massima velocità con espressione da killer e tre azzurri. Uno guarda indietro, uno sembra Alex Schwarzer a riposo e il terzo guarda preoccupato da distanza siderale! :-)

Abr ha detto...

Beh stiamo pur sempre parlando di una partita finita nove mete a una, in cui le mete AB son state marcate tutte tranne una dai trequarti: gli allargamenti e le fughe lungolinea, anche fortunosi ma sempre "credendoci", son gli indifendibili per questi Azzurrini ...

Abr ha detto...

Sui gallesi concordo, gran bella formazione pimpante. Altro rischio per i nostri ...
Gli argentini non mi hanno impressionato invece.

for those... ha detto...

Allora complimenti a voi per aver scelto la classica "immagine della partita"! ;-)

ringo ha detto...

A Carlo è passata la cotta per Maddock. E ha cominciato a bere lambrusco, con gli ottimi risultati che ne conseguono.

Anonimo ha detto...

Forse sono prevenuto e ormai anche vecchio, ma a Monigo c'è stato un applauso quando gli AB Junior hanno preso posizione per la haka tradizionale dopo la prima parte coreografata in cerchio? Bene incominciamo anche da queste piccole cose a non perdere mentalmente e fisicamente. Pubblico ammutolito a guardare i giovani pakeha e isolani schiantarci come se fossero all'opera. Mah! Qualche lettura del De Bello Gallico servirebbe ai giovanotti (i meno colpevoli), tecnici e pubblico per capire come si va alla pugna. O forse vivo in un altro rugby, ma mi sento male nel religioso silenzio di Monigo a vedere le intimidazioni e noi lieti di applaudire.

Abr ha detto...

Non mi pare che Haka non rivesta il ruolo che tu pare gli dia, della sfida priva di rispetto, tipo 'mo ti spacco. E' più un commitment (impegno preciso e formale) che chi la canta fa coi compagni prima di tutto, poi con gli avversari.

Ciò specificato (ricevere una Haka non è una offesa, è un onore), concordo con te sul comportamento del pubblico, ma solo in linea di principio.

Mettiamo infatti che il pubblico si fosse messo a cantare l'equivalente di "Swing low" (qual'è? La canzone del Piave?) per coprire la Haka come si fa a Twickenham o al Millennium; ok ma dopo? Dopo la batosta voglio dire?

Il canto del pubblico è un "commitment" (impegno formale) non tanto del pubblico, quanto per la squadra in campo.
Non mi pare il caso. Non ancora perlomeno. E non certo in ogni caso a partire da dei ragazzini. Sono i grandi a dover dare l'esempio (e per dir la verità, quella volta a San Siro, un quarto d'ora abbondante d'esempio lo diedero pure).

ringo ha detto...

I neozelandesi possono fare la Haka in ogni modo e in ogni luogo (tipo gli spogliatoi del Millennium Stadium). E poi tritarti come meglio possono. E' tipo il loro discorso alla "Any Given Sunday", per dirsi: signori, tocca a noi. Poi se li disturbi si innervosiscono (gli inglesi attaccano con Swing Low, i gallesi con Bread of Heaven, gli australiani con Waltzing Matilda e poi li rincorrono per tutto il campo, comunque, se gli AB sono in forma).

Abr ha detto...

Il ragionamento di rugbyverona è comprensibile: vengono a portare una sfida in casa, rispondiamo per le rime. Ma per replicare meglio avere i mezzi altrimenti, come dice ringo, dopo è pure peggio.

La Haka poi non è una sfida strafottente stile semo forti aò, è un affermare solennemente, a compangi ed avversari, "siam qui per impegnarci al massimo".
Se sbeffeggi questo commitment, si impegnano ancor di più. E chi ci rimette non è il pubblico ma chi sta in campo ...

ringo ha detto...

Assolutamente, il ragionamento degli amici veronesi è comprensibilissimo e quello non lo mettiamo manco in dubbio. E' la reazione, ecco, da considerare.

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con voi in tutti i ragionamenti rugbistici sulla haka e sul ruolo di questa e del pubblico. La reazione e l'impegno AB già l'abbiamo messo in preventivo. Allora, perso per perso è l'orgoglio che ci muove. Siamo le "vittime" di un avversario invincibile, faremo del nostro meglio per farlo ricredere di quanto duri e irriducibili siano questi italiani, grandi o piccoli, che fino alla fine muoiono in piedi. Mettere anche il tappeto e dire accomodatevi che vi guardiamo ammirati, questo non fa parte della mia educazione rugbystica. Eravamo isolati e autoctoni qualche anno fa e abbiamo giocato senza nessun complesso, eppure erano il mito disceso in Italia e noi molto figli di un rugby indigeno senza grandi contatti internazionali. Sarà stato un caso o gli AB erano stanchi resta, comunque di quelle partite, un ricordo di una fiera contesa senza remore riverenziali.

ringo ha detto...

"Mettere anche il tappeto e dire accomodatevi che vi guardiamo ammirati, questo non fa parte della mia educazione rugbystica": neanche della nostra, a Milano li abbiamo messi sotto il tappeto in mischia, in quegli epici ultimi dieci minuti ;)

Abr ha detto...

Tutto vero, rugbyvr.
Ma a Milano il pubblico (80.000) ha applaudito e in parte pure canticchiato la Haka. Eppure li abbiamo presi a schiaffi, non fosse per il braccino corto di Dickinson e il denial a posteriori di Graham Henry (non è successo niente, ni-en-te: come Sordi monsignore chiuso in ascensore con Stefania Sandrelli, ricordate?)

(Tra l'altro non si sentiva una fava dall'impianto audio, meglio dal vivo).

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